Tutti i partiti contro lo Zan: chi blocca i diritti civili?

Affossato il Ddl Zan. Il Senato applica la Tagliola, i franchi tiratori tradiscono i loro schieramenti, le destre festeggiano e il disegno è archiviato. Niente, questo Paese non ce la può fare a superare i suoi grossi problemi di omobilesbotransfobia e a garantire finalmente alla comunità LGBTQIA+ almeno i diritti fondamentali.

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È passato ormai un mese dal definitivo affossamento del Ddl Zan, il disegno di legge presentato dal deputato dem Alessandro Zan nel 2018. Gli schieramenti parlamentari su un disegno di legge così controverso erano già chiari da molto.

Tuttavia, e complice la richiesta della cosiddetta Tagliola in Senato, le forze politiche che si opponevano all'approvazione sono riuscite a spuntarla, e non è forse un'eccessiva malizia il supporre che la mancata trasformazione in legge, o magari la mancata legiferazione sul tema in assoluto, stia tutto sommato bene a tutto il Parlamento.

In realtà, le apparenze dicono l'opposto: contrariamente all'armonia parlamentare di cui stiamo godendo in questi mesi - un idillio politico senza precedenti forse dall'Assemblea Costituente, e tutto grazie al Salvator Mundi Mario Draghi sceso dalla BCE a imporci le sue mani - sullo Zan c'è stata battaglia.

Guardiamo gli schieramenti: comunemente siamo abituati a pensare, malgrado il sostegno pressoché unanime a Draghi, non a un Parlamento quasi monocolore come l'attuale, ma a due blocchi contrapposti, uno di centrodestra e uno di centrosinistra.

Notoriamente, da parte del primo c'è stata opposizione strenua fin dal primo giorno, grazie all'intestazione di una retrogada battaglia pro-famiglia operata da figure fin troppo ingerenti sul tema come il senatore e avvocato Simone Pillon, su cui ci sarà modo di tornare dopo questo assaggio su lui e il suo operato, o la stessa Giorgia Meloni.

Invece il secondo blocco, quello (presunto, almeno in questo caso) di centrosinistra ha lasciato emergere dei problemi di natura interna.

Il voto parlamentare e i franchi tiratori

I franchi tiratori sicuramente ci sono stati, e la caccia, o sedicente tale, si è avviata immediatamente dopo il voto in Senato. Il blocco della discussione parlamentare, appunto la cosiddetta Tagliola richiesta dai parlamentari di Lega e Fd'I, è stato approvato con 154 voti favorevoli e 131 contrari - ma con un gran fiorire di astensioniassenze di comodo.

Circolano varie ipotesi e vari rumor sui nomi dei franchi tiratori in questione, ma a dire la verità non è questo il punto più importante.

Il punto più importante è naturalmente il naufragio di un testo che in un Paese civile sarebbe stato già legge da anni, con buona pace di tutte le persone direttamente coinvolte in problemi di discriminazione legata all'orientamento sessuale e all'identità di genere - e con buona pace anche di quelle che in generale mal sopportano le discriminazioni.

E non è da poco nemmeno il contorto percorso parlamentare che questo disegno - e purtroppo molti altri analoghi, su cui ci sarà modo di tornare - negli anni passati - ha dovuto affrontare prima dell'accantonamento, definitivo secondo il promotore Alessandro Zan. Due anni di tentativi in cenere.

Secondo le stime più semplici, i cambi di posizionamento dell'ultimo minuto, quelli dei franchi tiratori, dovrebbero essere circa una ventina, forse qualcuno in più, dal momento che c'erano dei sostenitori del Ddl in Forza Italia, e tutti di centrosinistra, come comprova la triste esultanza delle destre al termine del voto.

Tradotto, vuol dire che probabilmente provengono dal Partito Democratico, dal Movimento 5 Stelle e senza dubbio da Italia Viva (con lo stile per nulla meschino che la contraddistingue), benché Renzi e i suoi sgherri neghino e accusino gli altri due partiti.

Il dato consegnatoci da questa votazione parlamentare, ad ogni modo, è duro e inappellabile: ancora una volta, i diritti civili, e nello specifico quelli delle persone LGBTQIA+, possono aspettare.

L’ennesimo fallimento

Del resto, non è la prima volta che assistiamo a una situazione del genere e che ci ostiniamo a considerarla eclatante: sono anni che in Italia parlare di questo argomento conduce inevitabilmente a strilli irrazionali sull'eterofobia (termine usato perlopiù a sproposito), sull'indottrinamento e sulla sempreverde ideologia gender.

Non è forse un ozioso vezzo precisare che essa non esiste, e che, come dimostra anche il breve video, qui riportato, di Notizie.it, della sua non-esistenza sono perfettamente al corrente anche quanti e quante ne ventilano quotidianamente le minacce, come Giorgia Meloni.

Eppure essa torna spesso, anzi, il suo affacciarsi (ma poi si può affacciare una cosa che non esiste? Dove? Con che faccia?) nelle scuole è, come vedremo, forse la principale chiave di lettura di tanta ostinata resistenza contro un ddl il cui obbiettivo è sanzionare le violenze basate sulla discriminazione.

Torna spesso, si diceva, ma non più così spesso accompagnata da vecchi refrain come 'le priorità del Paese sono altre'. Una pur magrissima consolazione? Segno di qualche piccolo passo avanti?

La chiacchiera sulle priorità del Paese, peraltro non scomparsa del tutto - il benaltrismo è sempre in ottima forma - accompagnava il dibattito politico italiano in materia nei primi anni Duemila, quando, con la solita girandola della nomenclatura (PacsDicoCus), si discuteva di unioni civilimatrimoni gay.

Vari nomi per sancire la necessità di una differenziazione tra coppie, famiglie di serie A e di serie B; insomma, il massimo dell'inclusione. Un cortocircuito logico che non si arresta sul finire del primo decennio del 2000, ma continua fino a tempi recentissimi.

Risale, infatti, appena al 2016 la legge Cirinnà che finalmente legifera, sia pure a ribasso, sulle questioni delle unioni civili e dei matrimoni omosessuali, mentre restano ancora nel limbo dei temi inattaccabili le adozioni omogenitoriali, la stepchild adoption e la gestazione per altri.

Insomma, di fronte a questa serie di voragini normative, che tali sono indipendentemente dal punto di vista sull'argomento, il nostro Parlamento preferisce da anni chiudere gli occhi, rinviare, abbarbicarsi allo status quo e lasciarsi tacciare di essere rimasto al medioevo. Anzi, all'età vittoriana.

Ma davvero è solo colpa della classe dirigente inattuale e imbarazzante che ci ritroviamo? Davvero il più improvvido dei ceti politici non capirebbe che è controproducente costruire barricate pur di negare un diritto che un'ampia maggioranza degli Italiani ritiene sia ora di formalizzare?

La Chiesa e il Concordato

No, a ben guardare. Il tanto discusso articolo 4 del ddl, con le improbabili polemiche che ha sollevato, offre forse una chiave di lettura riassumibile in 'Il Vaticano non ha alcuna intenzione di mollare l'osso dell'ingerenza ormai centenaria che ha sulla scuola e sull'educazione'. Ecco perché tante moine sull'indottrinamento dei bambini, ecco perché tanta insistenza sul gender e sulla dittatura del politicamente corretto.

L'atto, formalmente senza precedenti ma sostanziale ennesima spia un'influenza che la Chiesa ritiene di poter rivendicare sugli affari dello Stato italiano, è stato l'agitazione dello spettro del Concordato.

Esso è un accordo stipulato in seno ai Patti Lateranensi del 1929, rivisto nel 1984, e attualmente inserito all'articolo 7 della Costituzione Italiana come strumento che regola i rapporti tra Stato e Chiesa.

A dire il vero, già minacce analoghe furono formulate nel 1974, in occasione della campagna referendaria sul divorzio, dall'allora pontefice Paolo VI, ma i risultati furono nettamente a favore del mantenimento della legge, e il divorzio rimase permesso.

Sebbene, in quel caso come in questo, l'obbiettivo fosse modesto, e cioè portare l'Italia al passo con la modernità di altri Paesi d'Europa e del mondo sciogliendo stantii legacci moralisti e reazionari, in quel caso come in questo il Vaticano ha preteso ascolto e considerazione alla pari, come se pari fossero un'istanza di conservazione e discriminazione, e dall'altra parte una di riconoscimento di diritti troppo a lungo negati.

La nota del segretario di Stato vaticano Paul Richard Gallagher, sobria nei toni come se stesse avanzando una perplessità legittima, non addita precisamente alcun articolo del Dddl Zan, ma parla di restrizione delle libertà che il Concordato dell'84 accorda alla Chiesa cattolica e ha, con tutta probabilità, il suo vero bersaglio nell'articolo 7s.

Questo perché, evidentemente, alla Santa Sede e ai suoi alti prelati non basta il riconoscimento legale e costituzionale di una posizione di privilegio politico rispetto alle altre confessioni e agli altri Stati - privi, beati loro, di un Vaticano proprio al centro - e non basta il riconoscimento, anch'esso costituzionale, delle scuole paritarie, quasi tutte religiose.

Non basta nemmeno il fatto che l'IRC, con tutte le sue infinite storture, qui impossibili da esaminare, non venga sfiorato una sola volta dal Ddl - nel cui testo non compare affatto - né sia stato in alcun modo messo in relazione con questa tanto temibile Giornata nazionale contro l'omobilesbotransfobia.

Si diradano, man mano, i dubbi sulla possibile buona fede che chiunque, singolo o categoria, possa mai vantare nell'osteggiare i progressi - giuridici, culturali, sociali - in tal senso; e si fa strada, sempre più lampante, l'idea che a fare paura sia la semplice inclusione.

Una paura irrazionale e gravida di conflitti, dunque, ma spacciata per libertà di espressione: il Ddl stesso, del resto, la prevede all'art. 4...

Intersezionalità: l’omicidio razziale e il femminicidio

Un problema, questo, che negli ultimi anni è stato oggetto di dibattito in riferimento non solo alla comunità LGBTQIA+, ma anche alle altre categorie generalmente discriminate.

A questo proposito, è interessante sottolineare quanto fosse piccola, in senso esclusivamente giuridico, la modifica che il Ddl Zan avrebbe apportato al corpus legale di questo Paese.

Se esso si è evidentemente rivelato un'enormità da deglutire sul piano culturale (ma poi enormità per chi? Non certo per la maggioranza dei cittadini!), su quello legale le sue pretese erano decisamente minimali: inserire la discriminazione omobilesbotransfobica tra le aggravanti di un'aggressione già previste da vari passi del codice penale specificati agli artt. 1-3 e 5 del Ddl.

Essi equiparano le ragioni di discriminazione - etnica, religiosa, di genere - rendendole tutte aggravanti di reati di violenza, e il Ddl Zan proponeva l'integrazione di dette ragioni con quelle di ordine omobilesbotransfobico. Senza cancellare nulla, insomma, solo introducendo nuove tutele che la storia anche solo recentissima sembra indicarci come urgenti!

Già, ma com'è messa la tutela e l'inclusione delle categorie discriminate al di là di questi pochi articoli?

Voce chiara e affidabile del valore dell'intersezionalità, Non Una di Meno giustamente chiede molto più di Zan, anche se prende atto dell'avanzamento del dibattito in meglio (almeno, fino a prima dell'affossamento: ora siamo al punto di partenza).

Molto più di Zan in termini di omobilesbotransfobia, infatti, fa il paio, in ottica intersezionale, almeno con adeguate misure legislative su inclusione/occupazione femminilegender pay gap, femminicidio, cittadinanza e immigrazione, inclusione della disabilità.

Il punto fondamentale di tutta questa critica intersezionale è appunto che per garantire l'inclusione e la non-discriminazione non basta il semplice inasprimento delle pene in caso di aggressione o violenza aggravata dalla discriminazione, ma bisogna ragionare sulle ragioni profonde dell'esclusione, sulla mancata messa in discussione del privilegio, sulla logica abbietta che porta a considerare la concessione di un diritto come una strada a due velocità - una per chi ha già il privilegio, dalla nascita o meno che sia, l'altra per chi, mancandone, i diritti se li deve meritare.

Un sistema di leggi giusto in materia di questi argomenti, dunque, smetterebbe innanzi tutto di considerare alcune persone 'degne' di diritti a priori e altre da mettere alla prova con sterili parametri meritocratici che guardano al proprio ombelico. Un sistema giusto, appunto. E invece...

Uno sguardo all’Europa: i casi polacco e ungherese

Il silenzio dell'Unione Europea su argomenti non strettamente pertinenti alla sfera dell'economia e della moneta è sempre stato assordante. I vincoli di bilancio si sono insinuati nelle Costituzioni dei Paesi membri, eppure, anche solo andando a memoria, non c'è ancora traccia di alcuna legge comunitaria in materia di:

  • immigrazione;
  • equipollenza dei titoli scolastici e delle patenti minori;
  • alcune normative igienico-sanitarie, come quelle relative al marchio biologico sui prodotti alimentari;
  • reddito e welfare;
  • tassazione delle imprese e sovranità fiscale;
  • questo: discriminazioni e inclusione, appunto.

Non c'è da stupirsi, e non c'è da difendere le istituzioni europee dietro il dito di regolamenti insufficienti e deleganti come quelli di Dublino e di Lisbona in materia di cittadinanza, immigrazione e asilo.

Si potrebbe ribattere, nella fattispecie della violenza omobilesbotransfobica, che, questo sì, non tutti i Paesi europei hanno il Vaticano pronto a salire sulle barricate - e forse, se anche ce l'avessero, non avrebbero classi politiche prone a interessi così retrogradi.

Si potrebbe, se non fosse per un dettaglio: la Caccia all'omo. Il libro di Simone Alliva si concentra in realtà sulle aggressioni a sfondo omofobico in Italia, ma l'espressione è stata usata anche per definire le agghiaccianti politiche in materia che alcuni Paesi UE stanno attivando.

Si parla ovviamente di quello che fino a poco fa era conosciuto come blocco di Visegrad, e in particolare della Polonia di Andrzej Duda e dell'Ungheria del 'democratico illiberale' (ipse dixit) Viktor Orbán.

Esse hanno, nemmeno troppo lentamente, varato una serie di provvedimenti legali volti dapprima a mettere ai margini, poi a perseguitare fino alla violenza fisica e all'incarcerazione le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+.

E l'Unione Europea, come al solito abituata a non andare oltre la pecunia nei propri ragionamenti, ha semplicemente optato per valutare se esiste la possibilità di sanzionare i due Paesi che stanno violando le dichiarazioni europee di valori condivisi.

Sanzionare, s'intende, economicamente, con buona pace dei popoli polacco e ungherese come con buona pace, illo tempore, di quello greco. Il braccio di ferro è ancora aperto, ma almeno le zone LGBT-free sembrano al tramonto della propria era...

Speriamo vengano presto giorni migliori, anche in sede europea, per promuovere l'inclusione e scongiurare le discriminazioni - andando ben oltre la sola violenza, che naturalmente va repressa con urgenza - ma forse non c'è da sperare troppo in bene da un'Europa che si autodefinisce dei popoli e non fa che dimostrare terrore e intolleranza verso chi è semplicemente di altri popoli...

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