Elezioni Amministrative, la sconfitta del centrodestra

La sconfitta nelle elezioni amministrative ha aperto molti dubbi all'interno del centrodestra. Tra astensione alta e elettorato diviso, i litigi tra Salvini e Meloni hanno spianato la strada alla vittoria del PD. Intanto il Movimento 5 Stelle si è mostrato in difficoltà, ancora alle prese con una fase transitoria che non sembra voler finire.

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Nelle giornate di domenica 3 e lunedì 4 ottobre si è votato in molte grandi città e piccoli comuni italiani, oltre che per l’elezione del presidente della regione Calabria. I risultati parlano di una netta vittoria del centrosinistra, data per probabile dai sondaggi ma non in modo così netto. 

In tutte le grandi città in cui si è votato il centrodestra non ha rispettato le aspettative. Milano, Napoli e Bologna sono andate al centrosinistra con percentuali clamorose, che nemmeno i sondaggi più estremi avevano pronosticato. Dove invece si andrà al ballottaggio, a Torino, Trieste e Roma, la coalizione di centrodestra ha comunque faticato più del previsto e c’è il rischio di un clamoroso “cappotto”. 

Le ragioni del tracollo della coalizione che i sondaggi nazionali danno come destinata a vincere le elezioni politiche del 2023 possono essere varia. Dalla scarsa presenza dell’elettorato di riferimento di Lega e Fratelli d’Italia nelle città alla bassa affluenza, fino ad arrivare alla scelta non sempre facile dei candidati sindaco. 

Da segnalare anche la totale bocciatura delle esperienze di governo delle città del Movimento 5 Stelle. Il partito di Giuseppe Conte non è mai stato forte a livello locale, ma aveva espresso 5 anni fa i sindaci di Torino e soprattutto Roma. In entrambi i casi i risultati di queste elezioni sono stati disastrosi, e il MoVimento ha vinto solo laddove si è presentato insieme a Partito Democratico. 

Elezioni Amministrative, tutti i risultati

Anche se i comuni in cui si votava erano oltre un migliaio, la luce dei riflettori dei media si è puntata soprattutto sui sei capoluoghi di regione coinvolti e sulle elezioni per il presidente della Calabria

Partendo proprio da quest’ultima, si registra una delle poche vittorie del centrodestra con Occhiuto che passa al primo turno. Il centrosinistra arrivato diviso non arriva al 30%, anche a causa della candidatura dell’ex sindaco di Napoli de Magistris. Una vittoria attesa, che ha rispettato i pronostici e di cui si è quindi parlato relativamente meno. 

Dei risultati delle città si è invece discusso di più, perché ovunque il centrosinistra ha superato le aspettative. A Milano il sindaco uscente Sala ha guadagnato la vittoria al primo turno, con il 57% dei voti, quasi il doppio di quelli dello sfidante di centrodestra Bernardo. 

Altre due roboanti vittorie del centrosinistra sono quelle di Bologna e Napoli, dove PD e Movimento 5 Stelle si sono presentati uniti. In entrambi i casi i candidati hanno superato il 60% delle preferenze, schiacciando i rivali presentati dal centrodestra. 

Anche nelle città dove si andrà al ballottaggio non ci sono buone notizie per Salvini, Meloni e Berlusconi. A Torino il candidato del centrodestra Damilano era dato in vantaggio, ma andrà al ballottaggio con cinque punti percentuali in meno del candidato del PD Lo Russo. Il M5S è quasi sparito, al 9% dei consensi con Sganga. 

Anche a Trieste, la più piccola delle grandi città al voto, il centrodestra non ha rispettato le aspettative. Il sindaco uscente Dipiazza sostenuto da Lega, FdI e Forza Italia, non è riuscito a vincere al primo turno, raccogliendo quasi il 47% dei voti. Il candidato del PD, Russo, è comunque lontano, al 30%. 

Roma invece ha una situazione più complessa. Andranno al ballottaggio come previsto Michetti per il centrodestra e Gualtieri per il centrosinistra, con il primo davanti al secondo, anche se con un vantaggio minore delle aspettative. La terza piazza è occupata da Calenda, candidatosi da solo, che è riuscito a superare la sindaca uscente Virginia Raggi del Movimento 5 Stelle.

Elezioni Amministrative, la situazione dei ballottaggi

Per capire quello che potrebbe accadere ai ballottaggi tra due settimane bisogna analizzare non solo i candidati per cui gli abitanti potranno votare, ma soprattutto quelli rimasti fuori. Il caso di Roma è esplicativo di quanto contino gli esclusi. 

A guardare soltanto i risultati dei due candidati al ballottaggio per diventare sindaco della capitale, si direbbe che Michetti, del centrodestra, sia in lieve vantaggio. Ma se si guarda ai risultati dei candidati esclusi, è facile prevedere come Gualtieri del centrosinistra abbia un chiaro vantaggio. Al suo già discreto 26% potrebbero facilmente aggiungersi i voti che ha ottenuto Calenda. 

L’elettorato dell’ex ministro del governo Gentiloni è infatti molto più allineato con un moderato come Gualtieri che non con Michetti, che ha dimostrato un certo estremismo nei suoi interventi in campagna elettorale. Rimane l’incognita 5 Stelle. Raggi non darà indicazioni su chi votare, ma non è chiaro se i grillini convergano sull’uno o l’altro candidato in maniera netta. 

A Torino la situazione è anche più complicata per il candidato di centrodestra. Damilano non solo parte in svantaggio, ma difficilmente potrà contare sulla comunque bassa percentuale di voti ottenuti dal Movimento 5 Stelle. Dall’altra parte invece Lo Russo potrebbe contare sull’appoggio delle altre liste escluse, quasi tutte di sinistra. 

Trieste è l’unico comune in cui il centrodestra è quasi sicuro della vittoria. Una rimonta di Russo su Dipiazza è quasi impossibile dati i sedici punti che li separano, anche contando le numerose liste civiche che hanno attratto una parte consistente del voto. 

Elezioni Amministrative, come ne escono i partiti di sinistra

La vittoria del centrosinistra sembra chiara su tutti i fronti di questa competizione elettorale o quasi. I risultati dei candidati del PD hanno superato le aspettative ovunque tranne che in Calabria, e dopo i ballottaggi si prospettano cinque sindaci democratici su sei città. 

Scorporando il risultato per partiti, il PD sembra il chiaro vincitore. Le liste che portano il simbolo dei Democratici sono arrivate prime in tutte le città tranne Roma, dove ha vinto di poco Fratelli d’Italia. Questo risultato conferma la forza del partito di Letta nelle aree urbane, un trend cominciato con la segreteria di Renzi e che sta continuando. 

L’altro partito che si è posizionato nel centrosinistra in queste elezioni, il Movimento 5 Stelle, ha invece poco di cui gioire. Queste elezioni hanno prima di tutto confermato la debolezza a livello locale dei grillini, che dove si sono presentati in solitaria hanno raggiunto risultati infimi. 

Si potrebbe dire che il MoVimento ha vinto laddove si è presentato insieme al PD, ma questa analisi è superficiale. Sia a Bologna che a Napoli, dove il centrosinistra unito ha ottenuto risultati straordinari, le percentuali dei Cinque Stelle non sono determinanti per la vittoria al primo turno. Insomma il PD ce l’avrebbe fatta anche da solo, o con l’aiuto delle sole liste civiche. 

Per il MoVimento queste elezioni rappresentano una clamorosa bocciatura delle esperienze di Appendino e Raggi a sindache di Torino e Roma. La prima non si è nemmeno presentata, lasciando alla sua sostituta un misero 9%, mentre la seconda si è vista sopravanzata anche da Calenda, presentatosi senza l’appoggio di un grande partito. 

Per il PD questo risultato è la conferma di aver cementato un nuovo elettorato. Per il Movimento 5 Stelle è il sigillo sul fallimento della transizione da partito di protesta a partito di governo. Conte dovrà ripartire da un’evidenza: almeno a livello locale, il MoVimento senza il PD non esiste. 

Elezioni Amministrative, come ne escono i partiti di destra

Nella coalizione di centrodestra la situazione che queste elezioni lasciano è per certi versi simile a quella degli avversari. Nella sconfitta evidente c’è un grande sconfitto e un relativo vincitore. La Lega di Salvini ha perso ovunque, mentre Fratelli d’Italia ha confermato di essere il primo partito della coalizione. 

La Lega è arretrata in ogni città. A Milano, capitale del nord che un tempo era la casa del partito di Salvini, è rimasta ai livelli delle precedenti comunali, quando ancora si chiamava Lega Nord. A Torino il candidato scelto dal partito ha deluso le aspettative. Le liste della Lega si sono viste sopravanzare dagli alleati in molti casi, confermando che la posizione di Salvini come capo della coalizione di centrodestra è sempre più in discussione. 

Chi ha di che festeggiare è invece Giorgia Meloni. I voti persi da Salvini sono stati in parte raccolti da Fratelli d’Italia, e l’unico candidato ad aver rispettato le aspettative, Michetti a Roma, è stato scelto da lei. Intanto Forza Italia conferma la sua progressiva perdita di rilevanza. 

Le ragioni di questa sconfitta e di questa inversione di ruoli tra Salvini e Meloni le chiarirà il prossimo paragrafo, ma un dato è certo: la Lega sta continuando a calare, mentre il nuovo astro nascente della politica italiana, Giorgia Meloni, sembra destinata a guidare il centrodestra alle politiche del 2023. 

Non è possibile capire se queste elezioni aumenteranno le tensioni tra i due leader o faranno loro capire che è necessario deporre le armi per non uccidersi a vicenda. In caso di pace, uno dei due dovrebbe rinunciare alla propria aspirazione di diventare presidente del consiglio, e al momento l’indiziato numero uno per questa rinuncia è proprio Salvini. 

Elezioni Amministrative, le ragioni dei risultati

Dare un’interpretazione unica ai risultati di elezioni locali è sempre pericoloso e raramente possibile. Esistono però alcuni temi che accomunano tutte le città coinvolte e che possono aiutare a raccontare le vittorie e le sconfitte di questa tornata. 

La prima è la crisi di identità del centrodestra. Lega e Fratelli d’Italia puntano entrambi all’elettorato che ha votato 5 Stelle negli ultimi anni. Voti di protesta, scontenti, da ricercare soprattutto nelle periferie. Ma in entrambi i partiti esiste un’ala più moderata, che è restia ad abbandonare il vecchio elettorato centrista. 

Questo ha portato a scelte dei candidati schizofreniche oltre che tardive. A Torino ad esempio, dove entrambi i partiti hanno stabilito la propria sede nel quartiere periferico della Barriera di Milano, il candidato Damilano era talmente moderato che molti analisti sostenevano che avrebbe potuto presentarsi con il PD. 

A Milano invece le periferie non hanno semplicemente risposto, premiando Sala e il suo operato da sindaco. Solo a Roma la strategia ha funzionato, ma ha lasciato un buco in centro (e al centro) che Calenda ha facilmente occupato, e che potrebbe rivelarsi fatale per Michetti al ballottaggio. 

Dall'altra parte il centrosinistra, soprattutto con il PD, conferma una caratteristica che solo il partito di Letta sembra avere nel panorama politico attuale: la capacità di esprimere nomi affidabili. Dove i democratici hanno infatti presentato amministratori locali, ex ministri e sindaci uscenti, il centrodestra si è affidato a nomi esterni alla politica, ritenendo i propri esponenti di partito difficilmente presentabili. L'inadeguatezza della classe dirigente di Lega e Fratelli d'Italia è stata dimostrata anche dalla vicenda Durigon e dall'inchista Lobby Nera di Fanpage. In entrambi i casi le connessioni con l'estrema destra dei quadri dirigenti dei due partiti sono state fonte di grande imbarazzo. 

Elezioni Amministrative, il problema della bassa affluenza

Ma la tematica più discussa è quella della bassa affluenza. Un dato ambiguo, che si presta a qualsiasi analisi politica. Ma tralasciando qualche parte possa aver favorito, è doveroso cercare di comprendere le ragioni di un calo così omogeneo nei votanti. 

Rispetto al 2016 tutte le città hanno perso circa il 5% di affluenza, finendo sotto il 50% totale. I risultati testimoniano come sia stato il centrodestra a soffrire più di questo calo, che lo rende riconducibile ad un preciso elettorato. Tolto il caso di Milano, in cui è stato il centro a soffrire dell’astensione, quasi ovunque sono le periferie a non essere andate alle urne. 

Qui si inserisce una possibile interpretazione di questa astensione. Quello che manca rispetto al 2016 è il voto di protesta. Sia perché è venuto a mancare il suo interprete principale, il Movimento 5 Stelle, sia perché non c’è un nemico contro cui protestare. Solitamente, anche quando viene richiamato a livello locale, questo voto è attratto dalla critica al governo centrale.

Il problema è che  è molto difficile attaccare l’esecutivo di Draghi, e non perché sia perfetto. È la composizione della sua maggioranza a renderlo un bersaglio complicato. Dalla Lega al Movimento 5 Stelle, nessuno può attaccare il governo senza attaccare se stesso. Un’ampia coalizione che anestetizza i partiti, e che lascia solo Fratelli d’Italia a fare una timida opposizione.