Triangolo d'oro, anzi Golden triangle per la precisione, è il nome che viene dato al sistema di previdenza sociale elaborato negli scorsi anni in Danimarca e conosciuto dai più contestualmente all'apertura della stagione delle crisi.
Ovviamente la questione si fa molto stringente di nuovo in questi anni: non c'è stato decisamente il tempo, per le generazioni Millennial e per molti degli appartenenti alle generazioni precedenti, di rialzarsi dalla crisi dei mutui immobiliari del 2008 che ecco un'altra crisi economica altrettanto potente - il terremoto Covid.
Urge quindi riaprire la riflessione, a maggior ragione adesso che, almeno in territorio europeo, si sta ripianificando la spesa pubblica con le iniezioni di denaro, parte a interesse, parte a fondo perduto, del Recovery Fund e di Next Generation UE.
Se volessimo, però, parlare di Triangolo d'oro in relazione all'Italia, dovremmo forse applicare dei distinguo di natura più metodologica che politica: il nome completo del Golden Triangle danese è Golden Triangle of Flexicurity, a indicare la sua ipotetica compatibilità tanto con gli sviluppi recenti del neoliberismo (in particolare la richiesta, da parte degli imprenditori, di assumere e licenziare con meno vincoli) quanto con la serenità mentale e materiale dei lavoratori.
I tre 'lati' del Triangolo d'oro danese sarebbero dunque:
- la flessibilità, con lavoratori formati per cambiare spesso mansioni, superiori e azienda, e che si stima, quantomeno in contesti privati, cambino annualmente lavoro in misura di circa il 25%;
- il sostegno alla disoccupazione, con varie forme di reddito erogate a chi è senza lavoro. Sulle criticità di questi e altri sussidi alla disoccupazione ci sarà modo di tornare in seguito;
- la spinta alle politiche occupazionali, con lo Stato che si fa promotore attivo di percorsi guidati per la ricerca di un lavoro e con liste di collocamento efficienti e capillari.
Questo almeno nella teoria - un triangolo, o una qualsiasi altra figura geometrica incluso l'essere umano, che definisca se stesso Golden non può godere della piena fiducia sulla parola!
In Italia di questi argomenti si è sempre parlato molto, ma forse, se non altro per ragioni storiche, ha più senso 'sostituire' un lato del triangolo: più che mettere in relazione flessibilità, reddito (o sussidi) e occupazione in un Paese in cui quest'ultima è a livelli tragicamente bassi, può avere senso, forse ancora per poco, parlare di un triangolo composto da occupazione, reddito e welfare.
Innanzi tutto, un po’ di storia!
Nell'Italia repubblicana un'attenzione particolare ai temi della previdenza sociale è stata viva fin dai primi vagiti, e l'orientamento post-bellico che essa assunse ricalcò in parte il modello sovietico, in parte il Welfare State teorizzato da Franklin Delano Roosevelt proprio durante la guerra: welfare, welfare, welfare.
Parallelamente alle grandi quantità di denaro e di aiuti economici provenienti dal Piano Marshall - un inquietante precedente storico? - già l'Assemblea Costituente, con la forte presenza comunista che le derivava dal CNL e con un Partito Popolare ancora molto attento all'assistenzialismo e alla previdenza, s'interrogò sui sistemi di welfare pubblico e sull'accessibilità ai servizi di base.
Così, ecco una rinnovata attenzione, ovviamente perdutasi negli ultimi anni del Ventennio, alla gratuità di scuola e istruzione, quantomeno dell'obbligo, della sanità, e primi tentativi sperimentali d'innervare anche le aree periferiche del Paese con trasporti pubblici capillari (spoiler: quest'ultimo passo, a distanza di settant'anni, compiuto così così).
Nei decenni successivi, complici anche i movimenti di piazza, studentesco e operaio, che infiammarono il conflitto sociale tra gli anni Sessanta e i Settanta con rivendicazioni a tema, la situazione migliorò ulteriormente.
Non più paghi di non essere manganellati dallo Scelba di turno, gli operai e i sindacati, allora ben funzionanti, che si misero alla testa della loro lotta, ottennero sempre più diritti in termini di rappresentanza e d'inquadramento contrattuale, arrivando fino alle famose centocinquanta ore di Bruno Trentin; intanto gli studenti riuscivano a mietere conquiste analoghe, dalla legge Codignola del 1969 ai decreti delegati sulla rappresentanza studentesca, divenuti legge nel 1974, a migliorare ulteriormente l'impostazione scolastica neoidealista, di matrice crociana e gentiliana, che per fortuna è sopravvissuta fino a oggi.
Il Sessantotto, signori.
L'erogazione di reddito e di sussidi, in quegli anni, era ancora un'idea lontana, almeno per l'Italia, ed è vero anche che le percentuali di occupazione dell'epoca erano in crescita e ancora lo sarebbero state per qualche anno.
Occupazione giovanile e lavoro povero
E poi? Qualcosa è andato storto? Ancora sul finire degli anni Settanta e addirittura nei primi anni Ottanta si parlava di maxi-infornate di assunzioni nel pubblico - scuola e ferrovie in particolare, con metodi ed esiti che a una lettura disattenta potrebbero essere considerati causa primaria dell'accumulo di precariato almeno in uno dei due settori suddetti, mentre ne sono, al più, causa secondaria.
Anche il privato continuava ad assumere parecchio, ed è forse paradigmatico della vivacità con cui si produceva in Italia il gran numero di differenti modelli Fiat usciti dai cantieri dei vari stabilimenti in quegli anni!
Poi però si è imposto il paradigma neoliberista, che ha consentito allo Stato di parcellizzare mercato del lavoro e forme contrattuali (Treu, Biagi, giù giù fino al fondo dell'amaro calice: il Jobs Act), ai privati di guardarsi attorno in cerca di una delocalizzazione vantaggiosa, ai privati stessi di avanzare pretese sugli 'eccessivi' costi della macchina statale. Che è un modo come un altro per dire tagliare fondi pubblici ai servizi essenziali.
Non è questa la sede per elencare gli scempi, firmati da maggioranze parlamentari di tutti i colori, consistiti nel tagliare spietatamente dalle manovre degli ultimi trent'anni i fondi necessari, se non a migliorare, quantomeno a mantenere intatto un sistema di welfare comunemente considerato virtuoso anche all'estero.
Non è possibile, d'altro lato, ignorare questa gravissima colpa dello Stato italiano - che non accenna a pentirsene, anzi! - che si è schierato senza se e senza ma dalla parte degli imprenditori, spesso di una Confindustria incapace di guardare oltre il proprio naso, ignorando totalmente le conseguenze in termini di smantellamento del welfare e di crollo dell'occupazione.
Perciò ora ci troviamo di fronte a una crisi occupazionale duratura e naturalmente inasprita dalle due crisi economiche del 2008 e del Covid.
Non solo: ormai si sono affermati, quantomeno in tutto l'Occidente e non solo, modelli contrattuali che progressivamente hanno garantito, legittimato e istituzionalizzato la precarietà. Il Jobs Act citato poco sopra non è che, appunto, la versione italiana di tale procedimento nell'ultima delle sue evoluzioni.
Anche di questo lo Stato sembra non accennare ad assumersi alcuna responsabilità, viste anche le direzioni intraprese dalla prossima legge di bilancio, con buona pace di progressività e contrattazione sindacale.
Anzi, il modello del lavoro gratuito o sfruttato, come evidenzia, tra gli altri, il video molto interessante di Matteo Flora qui proposto, viene ormai proposto addirittura come allettante. Cioè sdoganato, quando è già prassi da tempo...
Così, lo sfruttamento lavorativo assume nuove e variopinte forme, molte delle quali riassumibili sotto il cappello della parasubordinazione e molte delle quali accomunate da un unico esito: il lavoro povero.
Pochissime le voci, politiche e sindacali, che hanno o anche banalmente mostrano di avere a cuore questo problema. Pochissime, fortunatamente non zero.
Reddito, occupazione, tutele
Ma l'inerzia dei sindacati sta forse cambiando di direzione? No, almeno se mettiamo in relazione l'occupazione, l'occupabilità e il reddito di cittadinanza come strumento efficace per combattere il lavoro nero e lo sfruttamento.
A dire il vero, qualcosa si è mosso, labilmente in positivo, negli ultimissimi tempi: per la prima volta dopo essere stati capaci di scioperare contro il Jobs Act, nel 2015, due giorni dopo la sua definitiva approvazione, i sindacati confederali, anzi solo CGIL e UIL per precisione, hanno fatto sentire la loro voce proprio contro la manovra di bilancio, che prevede un'impennata dei costi delle utenze private ma una riduzione del numero di fasce di aliquota con conseguente risparmio delle classi sociali più ricche. All'indomani di una pandemia.
E così, almeno per questa volta, sarà sciopero. Non riguarda direttamente alcuna violazione dei diritti dei lavoratori, malgrado timidi e incoraggianti accenni alla precarietà del lavoro digitale e su piattaforme, non riguarda alcun peggioramento effettivo delle loro condizioni di vita né di lavoro - eppure non ne sono mancati negli ultimi anni! - ma ce lo facciamo andar bene, da sindacati che sembravano aver dimenticato anche il significato della parola...
Il reddito, dal canto suo, è invece un'operazione politica, per il momento di successo, cui i sindacati non hanno partecipato o hanno partecipato in minima misura, dal momento che la misura, convertita in legge a gennaio 2019, fa storicamente parte dei programmi del Movimento 5 Stelle.
E che ha avuto, per il momento, risultati più che egregi: malgrado il belato ininterrotto di chi assume lavoratori stagionali, il reddito di cittadinanza ha in realtà ridato fiato a un mercato del lavoro ormai spompato, selvaggio e preda di alte percentuali di nero.
Dati INPS alla mano, infatti, sono sorprendentemente aumentati i lavoratori stagionali con regolare contratto!
Che la lagnanza di albergatori e ristoratori riguardasse dunque il venir meno della possibilità di assumere in nero e senza diritti anziché della manodopera?
Riuscirebbe quasi difficile crederlo: in fondo, un'evasione fiscale arrivata, pochi anni fa, a sfiorare il 30% del gettito atteso, che attualmente si aggira sui 110 miliardi di euro stimati, da dove potrà mai provenire se non dai dipendenti con trattenuta delle tasse a monte?
Potreste mai credere a una responsabilità della classe imprenditoriale? Quella che trema come se avessero evocato Baffone ogni volta che si parla di patrimoniali, contributi di solidarietà, tasse di successione? Che comunque esistono più o meno in tutta l'area OCSE?
Quella stessa classe imprenditoriale cui, però, lo scudo fiscale non dà alcun fastidio?
Welfare e sussidi
Malgrado la sua evidente riuscita, dunque, quantomeno sul piano della lievitazione dei contratti stagionali regolari, il reddito di cittadinanza continua a subire numerosi attacchi, soprattutto dalla categoria degli imprenditori che evidentemente vogliono continuare a essere liberi di assumere dipendenti senza tutele.
Non è per nulla un ricordo lontano, ad esempio, né il riferimento di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, a un fantomatico Sussidistan, né il discutibile documento, a firma Confindustria stessa, su come spendere il PNRR guardando a nemmeno due centimetri dalla punta del proprio naso.
Il documento, che l'economista Marco Revelli ha definito senza giri di parole un chiagni e fotti completamente privo di visione strategica (intesa come strategia finalizzata al perseguimento dei propri interessi d'industriali), pecca oltretutto di autoconsapevolezza, dal momento che i sussidi statali alle imprese dall'inizio della pandemia a oggi non sono stati proprio due spicci.
Al di là di questo, non è mai stata così vivace la bagarre per individuare nuove forme di sostegno al reddito, contestuali o meno alla pandemia: i ristori, promossi (o promessi?) dal governo Conte-bis per le attività commerciali e le PMI messe in difficoltà dai ripetuti lockdown, ne sono l'esempio più recente.
Ma per fortuna non sono mancate altre proposte negli anni precedenti la sciagura Covid - che sta ormai diventando il nuovo avanti e dopo Cristo per collocare temporalmente gli avvenimenti recenti.
Alcune di queste proposte vanno in senso assolutamente reazionario, perlomeno per il modo in cui sono formulate - il reddito di maternità per come lo intende Mario Adinolfi dalla sua torre medievale costruita al ritorno da Las Vegas è uno strumento assolutamente sessista e lesivo del reale accesso alle pari opportunità.
Altre sono invece interessanti, progressive e progressiste, e gettano uno sguardo agli altri Paesi OCSE che evidentemente, e a differenza del nostro, s'interrogano su come garantire un'indipendenza di base alle generazioni più giovani e più vessate, in prospettiva, dalle crisi.
È il caso del reddito di formazione, una forma di sussidio statale erogato in quasi tutti i Paesi europei per giovani che s'iscrivono all'università (magari in Stati dove essa è anche già gratuita!) o anche che semplicemente vanno a vivere da soli, lontano dalla famiglia, in un'altra città e di solito tra i diciotto e i trent'anni.
Insomma, tutte queste sono proposte aperte, più o meno attuali e più o meno in discussione nel dibattito politico corrente; la sfida è quella, se non di ricostruire o ritrovare il welfare perduto, quantomeno di ripensarlo nell'ottica di un mondo del lavoro cambiato, di un mercato contratto, dell'impoverimento costante delle nuove generazioni e del pianeta.
Reddito, welfare e lavoro – uno sguardo all’estero
Una sfida che, possiamo forse dirci senza correre il rischio di una gramsciana esterofilia, in altri Paesi è stata colta piuttosto presto rispetto all'Italia: il nostro Paese è stato infatti l'ultimo dell'Unione Europea, insieme alla Grecia, a dotarsi di una misura di questo tipo.
Il documento europeo intitolato Minimum Income Policies in EU Member States, particolarmente chiaro e schematico soprattutto nelle tabelle finali, ma nel complesso molto interessante, tratteggia le situazioni vigenti nei singoli Paesi soffermandosi su:
- Principi di base (nome della misura, modalità di erogazione, compatibilità con eventuali misure analoghe);
- Target (chi ne ha diritto, restrizioni su base di cittadinanza, residenza o altro);
- Ruolo dello Stato e/o di altri enti locali o sovranazionali (provenienza dei finanziamenti, durata e condizioni di rinnovo, possibilità di cumulare con altri provvedimenti);
- Ammontare (fisso? Variabile in presenza di condizioni particolari?);
- Condizionalità (che succede se si trova lavoro? E se lo si rifiuta?)
Dovrebbe essere ormai del tutto chiaro che le misure previdenziali arrivano in ritardo in Italia ma per fortuna ci sono, e per il momento stanno rimanendo in vigore - nel documento programmatico per la legge di bilancio 2022 il Reddito di Cittadinanza è stato effettivamente confermato a dispetto di tutti gli attacchi ricevuti - e chiaro che l'Unione Europea lo considera ormai come una misura non più del tutto facoltativa.
Resta solo una questione molto interessante per sviluppi futuri del dibattito: il reddito è un diritto sociale, civile o filosofico? Quest'ultima definizione non è normalmente utilizzata per i diritti, ma in questo caso la si lasci passare in riferimento a ciò che dovrebbe essere inalienabile per la persona umana.
Nessuno di noi ha scelto di essere al mondo, nessuno ha potuto scegliere in che contesto; dobbiamo proprio per forza essere vincolati a scelte non nostre anche nel prosieguo delle nostre vite?
Purtroppo non basta a scongiurare questo pericolo l'esistenza di forme di sostegno al reddito, e non basta per via del quinto punto dell'elenco di cui sopra: la condizionalità. Non potrà mai esistere alcuna libertà finché non sarà reale la scelta tra un reddito, magari anche di sola sussistenza, e un lavoro.
In molti Paesi europei il reddito viene revocato se si rifiutano una o più proposte di lavoro, in alcuni casi anche di lavori il cui salario è inferiore alla somma percepita di reddito. Barbarie. O si concede la vera scelta o più che reddito andrebbe chiamato ricatto sulla sopravvivenza.
Purtroppo però non è solo il lavoro l'ambito di applicazione di ricatti simili: basti pensare a tutti i vincoli e le condizioni necessarie per ottenere la cittadinanza italiana. La legge Bossi-Fini parla di contratto di lavoro pregresso, per non parlare dei vincoli sulla fedina penale.
Ripetiamolo insieme: un diritto non è un diritto, o non è realmente garantito, se possono incorrere delle situazioni legalmente sufficienti a privarcene.
Invece tutto quello che possiamo osservare concorre a dimostrare l'esatto opposto: i diritti che abbiamo, forse sempre meno, sono in vendita. A specifiche condizioni di merito, che è come dire a specifici prezzi, essi possono essere comprati e venduti. Verranno giorni migliori?