La Turchia gioca con il fuoco e la lira turca trema!

La lira turca sta soffrendo ormai da diverse settimane, ma pochi sanno le ragioni celate dietro i problemi di uno dei Paesi più discussi degli ultimi anni.

La Turchia è stata molto discussa negli ultimi anni.

In particolare il presidente Erdogan, al potere da quasi vent’anni ormai, è stato un uomo che ha saputo come far parlare di sé e la sua politica.

Alcuni dei motivi sono di natura sociale e politica, ma dal punto di vista economico non scherziamo affatto: la Turchia ha un piede nella fossa a causa del crollo della lira turca.

Erdogan non è conosciuto per essere “amico degli stranieri”, a maggior ragione dell’occidente.

In una vecchia intervista realizzata nel 2021, una notizia ha scosso il mondo e reso la Turchia sempre più lontana dal “sostegno straniero”. Infatti dal mese di luglio, la Turchia ha lasciato la Convenzione di Istanbul, organizzazione a difesa delle donne dal 2011, perché Erdogan si sentiva indignato dalle accuse rivolte al suo Paese.

Su La Repubblica leggiamo l’indignazione delle attiviste e la paura delle donne, ma soprattutto il disinteresse del governo, molto tradizionalista, per cause del genere:

“Secondo un gruppo di monitoraggio, negli ultimi cinque anni sarebbe avvenuto “almeno un femminicidio” al giorno, con una tendenza in costante aumento. Ecco perché servirebbe applicare la convenzione con maggiore rigore e ampliarla, invece di ritirarsi come fatto da Erdogan. Secondo l’Akp, il partito del presidente, essa “mina la struttura familiare” che è alla base e a protezione della società turca, sempre più legata a una visione fondamentalista dell’islam.”

Un altro scandalo che in questi anni ha messo il governo turco sotto i riflettori è stato legato al terrorismo internazionale.

Tutti conosciamo il movimento jihadista e ormai da tempo è risaputo che il gruppo sia diventato una sorta di braccio armato della Turchia che fa perfino da casa per i terroristi che ancora preoccupano il mondo intero insieme ad altri gruppi meno noti, ma sempre presenti.

InsideOver scriveva qualche mese fa:

“L’integrazione del terrorismo islamista nell’agenda estera turca è fonte di crescente preoccupazione nel mondo, ad esempio in Francia e in Israele, perché, spiega il noto think tank Begin-Sadat, i gruppi jihadisti “stanno diventando la forza sussidiaria permanente dei nuovi ottomani.”

Tutto questo non aiuta affatto il Paese, che si chiude agli aiuti esterni in un mercato continuamente in espansione e che abbraccia tutte le economie del mondo, cosa che fa vacillare la valuta nazionale.

Se a questi fattori aggiungiamo il caos della pandemia e le ultime notizie in merito relative ai dati riportati da SkyTg24, capiamo che la lira turca può essere danneggiata su diversi fronti:

“Oggi in Turchia è stato registrato il record assoluto di casi di Covid dall’inizio della pandemia: 74.266 persone sono risultate positive nelle ultime 24 ore, quasi il doppio da inizio anno, 137 i decessi.”

Possiamo affermare che la situazione economica attuale sia uno specchio della politica turca mista al caos mondiale che taglia fuori chi non si muove in comunione con gli altri Stati, credendo di sopravvivere da solo, mettendosi magari contro metà del mondo.

A questo punto potreste sentire il bisogno di chiedervi: è la fine per la Turchia?

Il valore della lira turca

La valuta turca segue un trend ribassista ormai dal suo ingresso nel mercato di circa quindici anni fa.

La lira turca infatti non ha avuto mai la forza d’imporsi sul mercato e la sua discesa è stata accompagnata da scandali sociali e politici che ne hanno rafforzato il movimento bearish negli anni.

Basti pensare che oggi il valore di USD/TRY è di 13,5324, ma guardate in un tweet cos’è successo solo un mese fa:

La lira turca ha perso nei confronti del dollaro statunitense circa il 25% in una sola seduta!

Le cose ovviamente non sono state migliori nei confronti dell’euro o di altre coppie.

Il valore attuale di EUR/TRY è infatti di 15,4187, cioè una lira turca equivale a circa 0,065 euro, scendendo nella stesso 21 dicembre 2021 da 18,5400 a 12,2234.

La discesa, come abbiamo detto, è da sempre stata sostenuta, ma mai come gli ultimi tempi si è dimostrata disastrosa.

La sua volatilità inoltre è ai livelli massimi di sempre, con oscillazioni che nell’ultimo mese hanno fatto sentire gli speculatori sulle montagne russe.

Turchia in balia dell’inflazione

In materia economica il presidente Erdogan si è dichiarato apertamente contrario all’aumento dei tassi d’interesse, promuovendo l’aumento dell’inflazione che ormai ha toccato percentuali da capogiro.

Il capo del governo turco segue in modo tradizionale la religione islamica, contraria all’usura e ai tassi d’interesse.

Adesso, nonostante le critiche delle banche centrali di tutto il mondo e le accuse di stare percorrendo una strada del tutto contrario rispetto alle normali leggi economiche, l’inflazione e l’aumento dei costi stanno facendo annegare i cittadini turchi che non hanno modo di reagire.

Su IlFattoQuotidiano leggiamo qualcosa che fa paura non solo alla Turchia, ma a tutte le economie ad essa legate:

“La lira turca apre il nuovo anno come aveva finito il vecchio: in calo e con una crisi valutaria che rischia di avvitarsi e precipitare velocemente. Oggi è stato diffuso il dato sull’inflazione di dicembre, salita al 36% (dal 20% del mese precedente) toccando il livello più alto degli ultimi 19 anni.”

Un pericolo per i cittadini e la stabilità del Paese stesso, nonché il governo in carica che ha la piena responsabilità di quanto sta accadendo, ma nemmeno l’Europa verrà risparmiata da questo collasso.

Infatti un’inflazione così alta, l’aumento dei prezzi e la politica conservativa e avversa del presidente turco potrebbe provocare un esodo di massa come se ne sono già visti e la comunità europea non avrebbe la forza e il tempo di gestirla al momento.

Il Corriere della Sera scriveva a proposito:

“…lo spettacolo di milioni di migranti dal Venezuela ricorda che la povera gente fugge dall’iperinflazione, se può, e ora la minaccia è alle nostre porte.”

La lira turca crolla insieme al Paese

Ovviamente non è un problema che si riflette solo dal punto di vista dei mercati valutari, anzi è qualcosa che sta rendendo la vita impossibile ai turchi.

Già da tempo la Turchia affrontava una povertà diffusa difficile da gestire, visibile e dimostrabile a chiunque: code per il pane a basso prezzo, disoccupazione dilagante di quasi otto milioni di persone, prezzi delle autovetture in aumento del 50% e un aumento spropositato delle bollette.

Fu iconico, tempo fa, l’intervento di un filantropo di nome Ilhami Isik. Intellettuale e scrittore curdo originario della provincia sud-orientale di Batman, ha dato una mano a 14.000 famiglie aiutando a liquidare circa 40.000 fatture per un valore di 6,1 milioni di lire turche (0,3 milioni di dollari) negli ultimi tre anni.

Questa situazione sta portando ad un aumento dei prezzi e a una diminuzione della produzione. Anche Nutella, l’azienda Ferrero, soffre, considerando che acquistava un terzo delle sue nocciole proprio dai produttori turchi che adesso si stanno impoverendo.

E mentre il presidente turco continua con le sue scommesse economiche, licenziando funzionari contrari alla sua politica, Milano Finanza sottolinea la rilevanza della questione a livello globale:

“L’industria turca delle nocciole – che impiega circa 4 milioni di persone che producono il 70% delle nocciole del mondo – è un esempio lampante delle potenziali implicazioni globali di una scommessa economica messa in moto dal presidente Recep Tayyip Erdogan, che dice di volere una lira turca più debole per incoraggiare le esportazioni ed espandere l’industria produttiva.”

Per alcuni potrà sembrare banale, ma per la lira turca e i portafogli dei cittadini turchi non lo è.

Cosa sta facendo il governo?

La risposta potrebbe essere: poco e male.

Tuttavia potrebbero esserci scettici che non la pensano così e che invece sono convinti che l’aumento dei salari del 50% in Turchia potrebbe salvare l’economia.

Oppure che l’aumento del 47% di alcolici e tabacco possa far risollevare le tasche dello Stato, insieme alla scelta di tagliare gli aumenti dei tassi per seguire la religione islamica e favorire l’indipendenza economica islamica dall’estero tanto acclamata da Erdogan.

Il presidente ha chiesto di avere fiducia, perché mira a rafforzare l’esportazione, ma le proteste aumentano e su Euronews leggiamo:

“Per questo motivo, Erdoğan ha chiesto ai turchi di convertire in lire i propri risparmi in valuta estera per sostenere la nazione.

Ma i risparmiatori nazionali fuggono: attualmente la quota di depositi in valuta estera nelle banche è poco meno del 60%.”

Quello che ha dell’incredibile è che un taglio così netto agli interessi è contro la legge economica, specialmente se stiamo parlando di un’inflazione dilagante a due cifre che sta spezzando il Paese, quando basti pensare che in Europa un’inflazione superiore al 2% normalmente è già un problema.

Il governo vuole combattere la crisi economica controllando i prezzi, ergendosi anche al di sopra della banca turca e decidendo il prezzo del denaro.

Previsioni sulla lira turca

La valuta nazionale della Turchia è in pericolo come tutti i cittadini che non potranno sopportare a lungo queste condizioni e di sicuro non daranno ancora fiducia ad un governo che li sta trascinando nella fossa.

Per esattezza gli analisti prevedono che quest’anno il range d’inflazione sarà tra il 17% e il 46% (che speriamo di non vedere mai).

Lo Stato sta letteralmente giocando al tiro alla fune, pregando che la Nazione regga questa crisi, ma è chiaro che potrebbe facilmente non accadere.

Su Aljazeera serpeggia addirittura la possibilità che i dati odierni siano sottostimati:

“Un sondaggio pubblicato questa settimana dalla ricerca MetroPoll ha rilevato che oltre il 90% degli intervistati pensa che l’inflazione annuale sia almeno del 50% o superiore. Più del 60 percento degli intervistati lo fissa al 100 percento o superiore.”

Adesso gli analisti prevedono che la lira turca possa soffrire ancora molto nel 2022, riuscendo a scendere sotto il 20% solo nel 2023, forse a metà anno, cambiando possibilmente la politica economica e credendo ai dati a noi concessi.

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