Omicron e varianti. I vaccini funzionano? Opinioni dal mondo

Mentre le dosi di vaccino per persona iniziano a diventare scadenze fisse, le varianti si moltiplicano, e Omicron sta facendo di nuovo schizzare i contagi.

Per l’ennesima volta ci siamo illusi che l’incubo stesse finendo e che si vedesse la luce in fondo al tunnel, ma l’alfabeto greco non è ancora finito – anzi siamo ancora all’Omicron – e, a meno che il virus non dovesse dimostrare questo singolare vezzo filologico, non c’è da illudersi che arrivati a Omega tutto finirà davvero.

Ma, mentre riparte l’allarme OMS per la riesplosione dei contagi, da cui non è esente l’Italia, vengono a galla anche diverse contraddizioni derivanti dal peso che il mercato dei vaccini e dei brevetti ha avuto sulla gestione globale della pandemia, sui ritardi che ha creato e sulle disuguaglianze che ha perpetrato.

Omicron: un’occhiata ai contagi

Sembra a volte di rivivere il Giorno della Marmotta su tempi un po’ più lunghi: l’estate si riapre, si festeggia, si sospira di sollievo e si prova addirittura a fare congetture sull’avvenire; qualche mese di serpeggiante preoccupazione e riecco spuntare le facce gravi di turno, ora Draghi come prima Conte, che ci annunciano un Natale ‘un po’ diverso’.

In effetti la curva dei contagi ha ripreso ad avere unandamento preoccupante, con migliaia di casi al giorno. In aumento i casi di positività, ma in aumento anche i tracciamenti, ossia i tamponi, benché le ripetute oscillazioni delle regole negli ultimi tempi abbiano reso tutto molto confuso – dalla condotta da tenere in caso di positività all’effettiva efficacia (medica) e validità (legale) di tamponi fai-da-terapidimolecolari.

Dall’ultimo DPCM, infatti, emerge la difficoltà delle istituzioni (in parte anche comprensibile) a rapportarsi a una variante come Omicron, apparentemente meno invasiva in termini di effetti sull’organismo, ma senza dubbio più contagiosa.

Omicron, appunto meno pericoloso di Delta e di Lambda (quest’ultimo mai isolato in Italia) ma pressoché impossibile da circoscrivere e controllare, ha dato grattacapi all’intero sistema dei Green Pass e mandato in cortocircuito quello delle vaccinazioni, cosicché adesso chiunque, compreso chi ha ricevuto la terza dose, tende a essere in dubbio.

Mentre lasciamo ai tecnici le valutazioni relative all’identità della nuova variante e soprattutto alla sua pericolosità, non può non sorgere anche ai profani un dubbio generale, cioè non relativo alla nostra quotidianità ormai perduta bensì alle strategie complessive che il mondo sta adottando per combattere la pandemia: l’idea è quella di debellare il virus o di ridurlo a una semplice influenza?

Varianti estive e varianti invernali

Uno degli elementi di maggiore disonestà intellettuale nel modo di comunicare la pandemia ai cittadini è trasversale a tutti i governi italiani che l’hanno attraversata e, probabilmente, comune anche a molti altri apparati di potere nel resto del mondo.

‘Chiudere ora per riaprire domani’, mantra del governo Conte-bis e in sottotraccia, appunto, anche a qualsiasi misura restrittiva presa dai suoi successori, non vuol dire esattamente vivere per due anni in un continuo tira e molla fra aperture estivechiusure invernali, ma era appunto a questo che avremmo dovuto prepararci in partenza.

L’esasperazione collettiva e il peggioramento delle condizioni medie di salute mentale – ove, naturalmente, sia possibile rilevarle – sono una cosa seria, e certo non fa bene alla salute del dibattito pubblico sull’argomento semplificarle e ridurle a una sola causa; tuttavia, tra le possibili concause, oltre all’ovvio disagio di mesi di lockdown e anni di misure preventive, potrebbe esserci anche la scarsa chiarezza nella comunicazione tra Stato e cittadini.

In mezzo a tante polemiche, che non è il caso di ripercorrere, sulle priorità del Paese, i ristori e i bonus da concedere o revocare per arginare almeno le più impellenti necessità economiche, una delle più presenti in questi giorni è quella sui no-vax, bacchettati pubblicamente da Draghi anche nell’ultima conferenza stampa, come si può vedere dalla video-sintesi qui proposta di VareseNews.

Può far discutere, e parecchio, che il presidente del Consiglio, ormai più che in odore di diventare Presidente della Repubblica, continui a insistere sulle responsabilità individuali e sul senso del dovere (già, in un Paese in cui il 30% del gettito fiscale atteso è in realtà evaso), ma la cosa forse ancora più inquietante è l’ostinazione a rifiutare qualsiasi ipotesi di cooperazione internazionale per farla finita con la pandemia!

Europa, no-vax e obbligo vaccinale

Guardiamo intanto all’Europa: manifestazioni di piazza da parte del ‘popolo’ no-vax ci sono state anche in Germania e in Francia, ad esempio, così come lockdown anche ripetuti o ‘mirati’.

Certamente non è difendibile la posizione di chi contesta la scienza perlopiù senza possederne gli strumenti, ma è forse altrettanto antiscientifico pretendere che la soluzione si ottenga ragionando come Stati singoli ed è certamente scorretto e classista, da parte di un uomo delle istituzioni, prendersela con specifiche frange della società o con specifiche categorie di cittadini!

La pandemia, argomentava ai tempi non sospetti dei suoi albori un ottimo articolo di Annamaria Testa su Internazionale, non può essere paragonata a una guerra per (almeno) una semplice ragione: in guerra il nemico è visibile, chiaro e incarnato da altri esseri umani.

Nella situazione in cui ci troviamo, invece, da ormai quasi due anni, è chiaro come il sole che continuare a ragionare di che cosa l’Italia, ma anche la stessa Unione Europea, può fare è ozioso, controproducente e forse in mala fede.

Ed è chiaro come il sole anche che la soluzione – se, appunto, l’obbiettivo comune è debellare, non depotenziare, il virus – sta in un’impostazione operativa condivisa da tutto il mondo, nella messa in comune di risorse tecniche materiali e nella sospensione della logica che antepone il profitto alle vite delle persone.

Si può fare da un giorno all’altro? No, evidentemente. Anzi, a quanto pare non si può fare nemmeno nel giro di due anni.

Si potrebbe fare qualcosa di più, pur ragionando esclusivamente d’Italia? Sì, per esempio imponendo l’obbligo vaccinale come in molti altri Stati europei, peraltro sempre con toni troppo timidi nei fatti rispetto alle parole. L’Italia, lo dimostra il video stesso di poco sopra, si allinea.

La guerra dei vaccini

La questione dei diversi vaccini è di primaria importanza: a oggi, nell’Unione Europea, non sono riconosciuti come vaccini validi né lo Sputnik né i vaccini cinesi Sinovac, CoronaVac Sinopharm, mentre sono accettati il Pfizer, il Johnson&Johnson, l’AstraZeneca (non ovunque) e a breve, pare, il Novavax.

Una scelta di campo abbastanza chiara, insomma, quella di lasciare fuori dai giochi i vaccini russo cinese per poter entrare in Europa, anzi in Unione Europea.

Già, perché questa scelta non tiene conto di Paesi europei ma liberi dai vincoli UE, come ad esempio la Serbia, che nella (giusta) urgenza di vaccinare tutta la popolazione ha lasciato libertà perfino di scegliere il vaccino tra quelli immediatamente disponibili!

Tutto qui, dunque? Non proprio. Come brillantemente illustrato da Report, infatti, anche la circolazione in Europa dei vaccini autorizzati ha dovuto attendere un bel po’, precisamente qualche mese.

Il tempo che gli Stati Uniti facessero per bene i conti su quante dosi, del miliardo circa già presente sul loro suolo nazionale (un miliardo è suppergiù il triplo della popolazione statunitense), potessero essere vendute all’estero. Un tempo che, guarda caso, l’EMA ha deciso di prendersi per valutare l’efficacia dei vaccini russo e cinese, salvo poi negarla e chiudereaccordi commerciali vantaggiosi per gli USA.

Se questo non bastasse a cogliere la portata (scarsa, per chi non lo avesse capito) dell’interesse dell’EMA e dell’OMS nei riguardi della salute delle persone rispetto ai profitti delle case farmaceutiche, c’è ancora la questione dei brevetti.

Per citare solo alcuni Paesi, l’Unione Europea, la Svizzera e il Regno Unito continuano strenuamente a opporsi alla moratoria triennale sui brevetti proposta da India Sudafrica ormai più di un anno fa e condivisa anche dall’OMS.

OMS, Occidente e resto del mondo: uno sguardo non eurocentrico

Ma rinunciare a questi introiti non è più una questione di magnaniminità, caratteristica che notoriamente contraddistingue le case farmaceutiche.

Ormai è chiaro che si tratta di una questione di salute globale, e che nessun significativo passo avanti potrà essere fatto se non si deciderà di vaccinare i Paesi più poveri del mondo a spese non loro, cioè inviando gratuitamente soprattutto in Africa, nel sub-continente indiano e nel Sud-Est Asiatico dosipersonale attrezzature.

Un po’ come hanno fatto Cuba (uno dei migliori sistemi sanitari al mondo) e il Venezuela a inizio pandemia.

Non è assistenzialismo né beneficenza pelosa verso chi ‘sta peggio di noi’; è consentire a sistemi sanitari al collasso, che hanno vaccinato percentuali esigue di popolazione, di continuare a seguire le proprie priorità.

In molte zone dell’Africa, ad esempio, sono in corso da anni svariate altre epidemie, grazie alle quali i governi e i cittadini non si sono trovati del tutto impreparati, ma la cui mortalità, purtroppo, è ben superiore a quella da Covid – forse anche per fattori climatici

Ancora peggiore il caso dell’India, che di vaccini è anche una delle maggiori sedi di produzione al mondo ma ha assicurato la copertura del primo ciclo vaccinale a meno di metà dei suoi abitanti – anzi, gli USA hanno atteso un’ondata particolarmente violenta prima di concedere al governo indiano l’uso delle dosi inutilizzate…

Non si sta più parlando d’iniziative, d’altro lato encomiabili, di raccolta fondi per Paesi in difficoltà o con elevata mortalità – a maggior ragione considerando la scarsa infettività delle varianti recenti – ma della salute stessa del pianeta. Prima se ne renderanno conto le multinazionali del farmaco, prima la pandemia si avvierà a conclusione.

Tutto il resto è un fiume di chiacchiere che noi privilegiati occidentali potremo continuare a raccontarci con aria mesta mentre facciamo la fila per la ventesima dose.

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