Risale al 21 settembre la pubblicazione del decreto contenente le nuove misure relative al Green pass in ambito lavorativo che ha introdotto l’obbligo di mostrare la certificazione verde per accedere al luogo di lavoro, con penalizzazione per i dipendenti, pubblici o privati, che risultino privi del pass.
Sembra quindi che il Governo Draghi non abbia intenzione di trovare un’altra soluzione alla certificazione verde per fronteggiare l’emergenza sanitaria e per lasciar proseguire la campagna vaccinale.
Una scelta che non convince una parte di cittadini e studenti universitari che hanno dato quindi il via a una raccolta firme per il referendum no green pass.
L’obiettivo è quello di raccogliere 500.000 firme entro la fine del mese di settembre, recandosi fisicamente nei punti di raccolta (che sono ben pochi) oppure, sulla scia del referendum per la cannabis legale, anche online dal sito creato appositamente, tramite firma digitale.
Non sono pochi i punti critici che ruotano attorno al referendum no green pass. Criticità che possono essere riscontrate nella natura stessa della procedura, nei tempi di attuazione, nonché nei quattro quesiti proposti dal Comitato promotore.
Referendum no green pass, 500 mila firme entro il 30 settembre
È ormai dal mese di agosto che siamo tutti abituati a tenere a portata di mano il green pass, la certificazione verde che può essere ottenuta in tre diversi modi:
dopo la prima dose o il completamento del ciclo vaccinale anti Covid-19; dopo aver ricevuto l’esito di un tampone negativo, valido per 48 ore; con certificazione di avvenuta guarigione da Covid-19 negli ultimi 6 mesi.
Introdotto inizialmente per poter svolgere alcune attività della vita quotidiana come sedere a un tavolo in ristoranti e bar al chiuso per consumare, partecipare a eventi o accedere a musei, cinema e teatri, nel tempo la certificazione verde è stata estesa ad altri settori.
In ambito lavorativo, il pass è approdato prima nel mondo della scuola, ora dotata di una piattaforma apposita per la verifica delle validità dei pass, mentre, solo qualche giorno fa l’obbligo di presentare la certificazione è stato disposto anche per l’intero mondo del lavoro (Pubblica Amministrazione e aziende). Disposizioni che saranno valide a partire dal 15 ottobre 2021.
Uno strumento, il Green pass, che per alcuni cittadini è espressione di “discriminazione che collide con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico” e che mira all’esclusione dalla vita quotidiana ed economica di coloro che non sostengono le convinzioni del governo.
È così, e forse sulla scia del successo di altri referendum come quello per la cannabis legale, che nasce il referendum no green pass, sostenuto dal Comitato organizzativo formato dall’avvocato Olga Milanese, il professor Luca Marini, docente di diritto internazionale alla Sapienza di Roma e il professor Francesco Benozzo, docente di filologia romanza all’Università di Bologna.
L’obiettivo: raggiungere 500.000 firme entro il 30 settembre per abolire l’articolo 9 del decreto legge n. 52 del 22 aprile 2021 e gli interi decreti n. 111 del 6 agosto, n. 105 del 23 luglio e n. 122 del 10 settembre.
Raggiungere l’obiettivo delle 500.000 firme potrebbe non essere facile. E le motivazioni sono varie.
Referendum no green pass e il problema del tempo: referendum in primavera
Una delle prime “falle” che rendono debole la proposta di un referendum che abolisca definitivamente l’obbligo di green pass riguarda innanzitutto le tempistiche.
Infatti, per legge, anche qualora i quesiti presentati in Corte di Cassazione venissero ritenuti accettabili, non ci sarebbe modo di indire il referendum se non in primavera (anche se, in realtà, i tempi potrebbe dilatarsi ulteriormente).
Eppure, durante la pandemia, ciò che ci è stato più chiaro è che nel tempo, specialmente durante lo stato di emergenza, disposizioni, decisioni, regole e strumenti possono subire innumerevoli modifiche o cambiare totalmente.
Abbiamo assistito al susseguirsi di misure di contenimento, di chiusure o totali lockdown, il cui andamento è stato, per la maggior parte delle volte, del tutto inatteso. È la caratteristica dello stato di emergenza: le cose cambiano in fretta ed è difficile stabilire cosa riserverà il futuro da oggi a qualche mese.
Di conseguenza, appare anche difficile immaginare cosa succederà alla certificazione verde, oggi estesa anche al mondo del lavoro, nei mesi primaverili, quando il referendum no green pass, sempre qualora venisse ammesso, potrebbe vedere realmente la luce.
È possibile che, con il passare del tempo, il governo allenti le misure di contenimento del virus, includendo una maggiore elasticità anche in termini di green pass. Potrebbe, ad esempio, limitare l’obbligo di presentazione della certificazione verde solo ad alcuni settori, oppure trovare altre soluzioni che garantiscano comunque la sicurezza della comunità.
Insomma, in tempo di pandemia, si potrebbe finire per raccogliere firme per una causa che potrebbe perdere il senso della sua esistenza semplicemente a causa del susseguirsi degli eventi.
Referendum no green pass: quali sono i quattro quesiti e quali le criticità
Ma le tempistiche necessarie affinché il referendum contro il green pass veda la luce non sono le uniche criticità che dovrebbero esser contemplate.
Oltre alla possibilità di combattere per abolire uno strumento la cui vita potrebbe essere più breve di quanto ci si aspetti, un altro aspetto fondamentale sul quale riflettere è la natura stessa delle richieste presentate alla Corta di Cassazione.
Per riassumere, chi intende firmare per il referendum no green pass, è tenuto a dare il proprio responso su quattro quesiti:
1 quesito: abrogazione del decreto legge 22 aprile, n. 52, limitatamente all’art. 9 (Certificazioni verdi Covid-19); 2 quesito: abrogazione del Decreto-Legge 23 luglio 2021, n.105; 3 quesito: abrogazione del decreto n. 111 del 6 agosto; 4 quesito: abrogazione del decreto n. 122 del 10 settembre.
Lasciando da parte il primo quesito, che richiede da parte del firmatario il suo accordo nell’abolizione di un solo articolo del decreto in questione, gli altri quesiti sono incentrati sull’abolizione di interi decreti.
Ora, se prendiamo in esempio il decreto del 23 luglio, noteremo che il contenuto del testo non riguarda esclusivamente disposizioni in materia di certificazione verde, ma comprende anche altri aspetti.
Aspetti che, qualora aboliti, apporterebbero cambiamenti che non riguarderebbero solo il green pass, ma altri provvedimenti relativi al contenimento dell’emergenza epidemiologica.
La cosa riguarda anche articoli in cui le disposizioni relative alle certificazioni verdi sono maggiormente presenti, ma che in ogni caso non rappresentano la totalità del decreto.
È il caso del decreto n. 111 del 6 agosto che, oltre a introdurre novità sull’utilizzo del green pass, vara anche disposizioni che non riguardano esclusivamente l’impiego della certificazione, ma anche, ad esempio, altre misure di sicurezza come distanziamento o capienza massima consentita per i luoghi al chiuso.
Referendum no green pass potrebbe diventare un boomerang se non si raggiungono le 500 mila firme
Sul sito creato appositamente per la votazione, consentita anche online da ogni tipo di dispositivo (PC, tablet, smartphone), è possibile raggiungere una sezione informativa denominata “le risposte alle critiche del referendum”.
Non sorprende che la seconda affermazione citata in questa sezione del sito web reciti “se il referendum fallisce, si rischia di legittimare il green pass”.
Una delle maggiori critiche mosse da coloro che non appoggiano il referendum no green pass è infatti la possibilità di fallimento nella raccolta delle firme necessarie. Della proposta di abolizione di tale strumento, insomma, non se ne farebbe più nulla.
Tale ipotesi potrebbe diventare concreta nel momento in cui la proposta di referendum non incontrasse l’adesione di così tante persone che possano essere definite no green pass.
In questo caso, l’obiettivo di eliminare “l’odioso strumento di discriminazione” potrebbe diventare un vero e proprio boomerang, escludendo la possibilità di poter ritornare sull’argomento anche in futuro.
C’è anche da dire che il procedimento per firmare il referendum non sembra essere particolarmente agevole. Pur concedendo la possibilità per i cittadini di non recarsi fisicamente nei punti di raccolta firma (che non comunque ben pochi) e costruendo un sito web dedicato, così come è stato fatto per il referendum per la cannabis legale, le modalità per lasciare la propria firma risultano farraginose.
E, benché non è detto che chi crede realmente nella causa rinunci a firmare per un procedimento non immediato, questo potrebbe portare a fare un passo indietro coloro che, pur essendo favorevoli, verrebbero disincentivati dalla procedura.
Referendum no green pass: abolire senza alternative
Come abbiamo evidenziato, non sono poche le motivazioni alla base delle critiche mosse al referendum no green pass, tra tempistiche troppo lunghe per assicurare una soluzione al problema e un consenso che potrebbe includere solo una parte minoritaria della popolazione.
Soprattutto, però, la presentazione di un referendum, che di base ne presenta quattro viste e considerate le richieste di abolizione di diversi decreti, non sembra lasciare spazio ad alcuna alternativa.
Al di là dell’essere a favore o meno dello strumento con il quale il governo sta cercando di contrastare l’emergenza sanitaria, abolire, ma non proporre soluzioni alternative, non permette di ipotizzare un andamento diverso della situazione.
Dunque, oltre ai tempi davvero troppo stretti per raggiungere l’obiettivo, così come quello del referendum che potrebbe svolgersi quando ormai la situazione potrebbe essere del tutto cambiata, forse lottare per l’abolizione di uno strumento che, anche se odiato da alcuni, tenta in qualche modo di risolvere un problema, senza proporre alternative, potrebbe rivelarsi alquanto futile.
Intanto, comunque, la raccolta firme va avanti e la verità potrà essere scoperta solo dopo il termine di scadenza fissato al 30 settembre.