Sindacati, lavoro e sciopero generale: qualcosa si muove!

Caro bollette e riduzione fasce IRPEF nella Finanziaria: i sindacati non ci stanno e chiamano lo sciopero generale contro la scarsa progressività delle misure in questione e la conseguente apertura della forbice ricchi-poveri che esse faranno aprire. E intanto, di lavoro non si parla neanche lontanamente...

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Detto fatto: lo sciopero generale torna a fare capolino nelle nostre vite! Il giorno è 16 dicembre, l'anno domini il 2021, primo dell'era post-pandemica; le ragioni sono prettamente legate alla legge di bilancio e i protagonisti sono la CGIL, la UIL e i lavoratori che hanno incrociato le braccia o sono scesi in piazza.

Secondo le stime, ben oltre la metà dei lavoratori tesserati ha aderito allo sciopero, con punte vertiginose, superiori al 90%, in luoghi di lavoro particolarmente sindacalizzati.

Lo sciopero, che spacca il fronte confederale per la prima volta da tanti anni, con la CISL che non aderisce - e che lo considera divisivo - ha coinvolto principalmente i settori dei trasporti e metalmeccanico, lasciando fuori invece la sanità, la scuola (che aveva già scioperato il 10 dicembre) e le poste.

Queste ultime, dopo sollecitazione del Garante, sono state escluse dalla protesta per via dell'elevato carico di lavoro previsto per loro in questi giorni, e per l'eccessivo disagio che creerebbe un loro sciopero nei giorni previsti per la consegna delle cartelle IMU.

Tuttavia, non si può certo dire che lo sciopero sia stato un insuccesso: cinque le piazze convocate - Roma, Milano, Bari, Cagliari Palermo - e circa 20.000 le persone scese a manifestare, come ben documentato da Local Team nelle immagini di questo video della piazza di Milano.

Anche i segretari di CGIL e UIL, rispettivamente Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri, stanno mostrando in queste ore grandesoddisfazione ed entusiasmo per l'adesione, la partecipazione e la messa in discussione, per la prima volta obbiettivamente da tanto tempo, di temi cari alla storia dei sindacati e legati all'equità sociale.

Mentre dalle controparti, politiche e imprenditoriali, arrivano scomposti piagnistei, come d'uso per nulla aderenti ad alcuna visione realistica dell'umore popolare, l'altro elemento di rilievo in questo sciopero è la scarsissima presenza di partiti e parti politiche in generale.

Non stupisce troppo: la maggioranza parlamentare a sostegno del governo Draghi, contro la cui Finanziaria sono appunto rivolti gli strali di questa protesta, è quasi trasversale all'intero arco della rappresentanza (esclusi solo Fratelli d'ItaliaSinistra Italiana, ieri effettivamente unico partito presente allo sciopero).

Se Draghi può essere visto come l'espressione di un controllo egemonico dei tecnici, a distanza siderale dal popolo e dalle sue esigenze, non è lo stesso per i partiti, cui infatti questo sciopero non ha risparmiato occhiatacce...

It's been a long time...

L'ultimo tentato flirt tra partiti e sindacato risale al 2019 circa, quando, più o meno nello stesso periodo, Nicola Zingaretti veniva eletto segretario del PD e Maurizio Landini della CGIL; pochi mesi prima, per quello che conta, anche l'ARCI nazionale aveva rinnovato il conferimento dell'incarico di presidentessa a Francesca Chiavacci.

Il riferimento, nemmeno troppo velato, alle cosiddette cinghie di trasmissione serpeggiava nel partito, almeno all'epoca. Nulla di nuovo, tuttavia: solo una bucolica nostalgia, peraltro impossibile da attualizzare in un mondo così cambiato, di quando, non più tardi dei primi anni Sessanta, il Partito Comunista Italiano, la CGIL e l'ARCI ragionavano davvero su una possibile linea di azione condivisa!

Un'idea così passatista e pellegrina, chiaro, non poteva resistere al presente e alla liquefazione dei contenuti politici che lo caratterizza. Tanto più che è stata una meteora racchiusa tra Renzi e il post-Zingaretti

Infatti, l'ultimo sciopero generale minimamente di rilievo indetto dai Conferederali, curiosamente non al completo neanche quella volta (mancava di nuovo la CISL), risale addirittura al 12 dicembre 2014; segretaria della CGIL era all'epoca Susanna Camusso, segretario della UIL Carmelo Barbagallo da pochi giorni, dopo il lungo sultanato di Luigi Angeletti.

La ragione dello sciopero, sacrosanta e, questa sì, di natura schiettamente sindacale, era il Jobs Act.

La tristezza suscitata da quell'occasione è ancora grande, dal momento che tanto stava a cuore l'istituzionalizzazione della precarietà ai sindacati stessi da decidere di scioperare... due giorni dopo l'approvazione della legge!

Probabilmente il punto più basso della storia dei sindacati in Italia.

Di certo è stupido rimpiangere, in tutt'altra temperie storica, le contrattazioni storiche dell'FLM di Bruno Trentin, il sindacato conflittuale di Giuseppe Di Vittorio, gli operai manganellati ai tempi di Scelba, il 5 di marzo del '43 (ok, davvero un po' troppo indietro!), ma un sindacato che non sciopera per una legge sul lavoro del genere è probabilmente l'eccesso opposto.

La legge di bilancio

D'altro lato, il fuoco di fila di attacchi al diritto del lavoro che si è consumato a partire almeno dagli anni Novanta non ha risparmiato nessun settore e non è stato fronteggiato da - praticamente - nessuna opposizione sindacale.

Il cosiddetto pacchetto Treu risale al 1997, la legge Biagi al 2003, la riforma Fornero al 2012, il Jobs Act, appunto, al 2014, l'ultima, definitiva abrogazione dell'articolo 18 al 2015 dopo lunghi anni di attacchi e battaglie, la riforma Sacconi al 2016.

Un processo di formalizzazione della flessibilità (o della precarietà, direbbero le malelingue) passato indenne attraverso manifestazioni sindacali sempre più rade e labili. Una gragnola senza sosta di taglirisparmiagevolazioni alle imprese sulla pelle di chi lavora.

Non bisogna essere ingiusti: almeno nel 2002, precisamente il 23 marzo, a quattro giorni dall'omicidio di Marco Biagi, la CGIL di Sergio Cofferati portò in piazza tre milioni di lavoratori e lavoratrici in sciopero, in un momento di fortissima tensione sociale, contro l'abolizione dell'articolo 18 - in uno dei tentativi, via via sempre meno frequenti, di preservarlo.

Fu uno degli ultimi squilli, ad ogni modo.

Oggi invece il pomo della discordia è rappresentato dalla previsione di legge di bilancio per il 2022, che il Parlamento ha approvato nei giorni scorsi; in particolare, i sindacati hanno storto il naso in relazione alla diminuzione, da cinque a quattro, delle fasce di reddito IRPEF, che favorirebbe soprattutto i percettori di redditi più alti, e dall'aumento previsto delle bollette, il cui rincaro dovrebbe far rientrare alcune voci di spesa pubblica.

Un fatto, quest'ultimo, particolarmente singolare in considerazione di almeno due aspetti: il primo è la grande iniezione di spesa pubblica derivante dal Recovery Fund e dal PNRR che ne regolamenterà la gestione; il secondo è che, come sempre, l'intero arco parlamentare ha rifiutato a priori ogni discussione, anche a livello molto elementare, su contributi di solidarietàpatrimoniali et similia, come sempre strillando scompostamente all'arrivo dei bolscevichi.

E i sindacati sono scesi in piazza.

Sì, ma i lavoratori?

Indubbiamente è un segno di salute residua delle parti sociali questo sciopero; nel segno della più selvaggia privatizzazione, il PNRR potrebbe dirottare i fondi previsti dalle (sacrosante) voci di spesa a investimenti privati che scarnificherebbero il welfare e lascerebbero indietro le fasce deboli della popolazione.

Sono stati, e forse continuano a essere, anni difficili in termini di redistribuzione, di salari - l'Italia è l'unico Paese europeo nel quale sono tragicamente diminuiti rispetto a trent'anni fa! - e d'inclusione sociale: problemi nuovi, soprattutto in termini di considerazione sociale, si sono aggiunti a storici elementi di vessazione della classe lavoratrice, in particolare se di bassa estrazione.

La precarietà, per dirla in altri termini, non è trattata dalle classi dirigenti in modo da entrare nella communis opinio come una dolorosa necessità, frutto di scelte sbagliate, altrui e pregresse, ma come un'ulteriore vergogna sulle spalle di una generazione già rovinata in partenza.

Sia chiaro, ce ne sono state di più rovinate -le vite invivibili so' altre - e nessuno qui vuole alludere ai Ragazzi del '99 o a nulla di simile; tuttavia, specialmente per le generazioni giovani ma non solo per loro, è doloroso sentirsi trattare come choosybamboccioni, schizzinosi e simili; doloroso sentirsi dire che la carriera si fa fuori dai contesti di lavoro; doloroso sentirsi dire di stringere i denti e di approfittare delle occasioni offerte dalla flessibilità.

Tutto questo non è che l'aggiunta di problemi di natura sociale a problemi preesistenti, e accentuatisi, di natura schiettamente economica; senza scomodare qui le marxiane strutturasovrastruttura, basta il triste accenno ai reparti confino che risalgono, in Italia e in ambito Fiat, almeno ai tempi del manager 'gentiluomo' Vittorio Valletta - e che sono risorti a nuova vita nel periodo di amministrazione di Sergio Marchionne.

Sfide e Forche Caudine della rappresentanza sindacale

Si tratta dunque di un periodo di necessaria riorganizzazione dei sindacati, e non solo in termini di struttura o di vittorie vertenziali, ma anche in termini di visione del mondo.

La Weltanschaaung novecentesca del conflitto tra padroni e salariati, della produzione fordista con i suoi rigidi tempi di lavoro e di vita, dell'accrescimento delle tutele e dei diritti per i tutelati, cioè per i tesserati, e dei potenziali tali, cioè più o meno tutti, si è sgretolata sotto gli occhi della CGIL (come di chiunque altro) e ora, nell'epoca del mercato del lavoro flessibile, le sfide da raccogliere sono altre e urgenti!

Il precariato, soggetto politico e oggetto politico che ai sindacati è stato finora colpevolmente estraneo, s'imporrà prima o poi all'attenzione delle masse; per quel giorno, sarebbe bene che la CGIL, o qualunque grosso soggetto sindacale rappresentativo, avesse elaborato qualcosa in più di una camera unica per una categoria unica...

Sarà un calo delle tessere (ormai, oltre a pensionati metalmeccanici non sono più molte le categorie che compattamente aderiscono ai sindacati), ma negli ultimi tempi qualche flebile voce consolante è giunta dalla CGIL anche a proposito di rider, che è come dire a proposito di precari sfruttati per antonomasia.

E, a ridosso dello sciopero generale, timidi segnali di attenzione si sono registrati, a macchia di leopardo, anche sui temi del lavoro digitale, della Gig Economy e dell'economia delle piattaforme.

Vincolare la politica a discutere di diritti del lavoro con la sempre crescente pressione delle multinazionali certo non è un compito facile: esse sono sempre pronte a delocalizzare e sono pressoché impossibili da tassare, almeno fino a che la Commissione Europea non rivedrà i suoi meccanismi di votazioneratifica in materia fiscale.

Sulle sedi fiscali delle multinazionali che fatturano in Europa, infatti, specie se extraeuropee esse stesse, vige un meccanismo d'intoccabilità che prevede la possibilità di vincolare una multinazionale a modificare la sede fiscale solo se questa decisione viene presa all'unanimità da tutti i Paesi membri.

Vergognosa la presenza di paradisi fiscali in piena Unione Europea, vergognosa l'impossibilità di rimuoverli, ma tant'è. E il peggio è che anche le grandi aziende europee, la stessa Fiat in tesa, si stanno adattando, delocalizzando sede fiscale e sede di produzione.

Lavoro, sindacato e conflitto: uno sguardo all'estero

Dunque è ancora molto lunga la strada che i Confederali devono percorrere, a partire dall'interrogarsi sul senso stesso della parola Confederali.

A distanza di sette anni - dall'ultimo sciopero generale a oggi - lo stesso nodo è venuto al pettine: sindacati diversi per retroterra politico, e confederali perché tutti molto rappresentativi, non possono pretendere troppo l'uno dall'altro in termini d'identità condivisa.

Così, nel 2014 scioperarono la CGIL e la UIL, e rimase fuori la CISL della neosegretaria Annamaria Furlan; oggi, sempre con un segretario eletto da poco, Luigi Sbarra, si sfila la CISL stessa.

Un monito a non parlare di sindacati come se fossero un soggetto unico? 

Vero è che negli anni non sono mancati periodi di forte unitarietà fra loro (l'FLM degli anni Settanta sotto la stella polare di Bruno Trentin, per esempio) e periodi di forte differenziazione identitaria - non dimentichiamo che nei primi anni della Ricostruzione, e nell'immaginario comune ancora per molto tempo, la CGIL era il sindacato di riferimento del Partito Comunista, la CISL della Democrazia Cristiana, la UIL del Partito Socialista e di altre componenti dell'area socialdemocratica e repubblicana.

Se di monito vogliamo parlare, a Landini esso è diventato chiaro ben oltre il tempo massimo - dopo, cioè, che come confederali si è 'non-discusso' il PNRR di Draghi, come confederali si sono organizzate occasioni di festa, quasi mai di conflitto reale, a volte anche facendo delle belle gaffe, come confederali addirittura si è organizzata la grande manifestazione antifascista di metà ottobre che la CGIL, più che gli altri due, doveva avere a cuore per ragioni storiche politiche!

Una storia molto diversa, una storia da ricostruire, quella dei sindacati italiani rispetto ai colleghi all'estero, o forse la stessa fatica a stare dietro alla storia ma in contesti in cui almeno sono rimasti agili e svegli i lavoratori stessi, e il sindacato non può che cercare di tener loro dietro.

Fatto sta che in Francia, decisamente vicino a noi e decisamente non nel primo Paese che uno indicherebbe se dovesse immaginare dei tumulti sociali, si è approvata la loi Travail più o meno nello stesso periodo del Jobs Act (alcuni mesi dopo, a essere precisi) e il risultato è stato Nuit debout.

Anni dopo, se non dovesse bastare, le due ondate di Gilets Jaunes hanno sanzionato, rispettivamente nel 2018 e nel 2020, i rincari del costo del carburante e la riforma delle pensioni.

Se, più o meno, l'hanno spuntata entrambe le volte, ottenendo del tutto o in parte ciò che chiedevano, è anche vero che hanno messo a ferro e fuoco le città più grandi del Paese senza un'adeguata preparazione e guida sindacale.

Lo spontaneismo esiste ancora, e i Gilets Jaunes ci dimostrano che può essere abbondantemente permeato di fascisti e altra gente discutibile (un po' come lo furono in Italia i Forconi), ma lo spontaneismo a sua volta dimostra l'esistenza di un forte malcontento popolare relativo alle situazioni di sfruttamento lavorativo.

La pandemia ha acuito questo malcontento, ed esso inizia a manifestarsi per la prima volta in forme nuove, singolari, più analitiche, degne di attenzione e forse di qualche speranza; un sindacato serio e moderno, adesso, si rimboccherebbe le mani per seguire e appoggiare, con umiltà, le sacche di malcontento auto-organizzato, supportandole fino alla fine.

In fondo, i sindacati nascono ed esistono non per preservare i diritti acquisiti ma per acquisirne di nuovi, no?

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29 mag 2023