Usa: l’inflazione rallenta. Cina: la crisi accelera

Torno a parlare di economia e finanza. Tutti gli operatori finanziari aspettavano la giornata odierna, l’appuntamento era davvero importante.

Torno a parlare di economia e finanza. Tutti gli operatori finanziari aspettavano la giornata odierna, l’appuntamento era davvero importante.

Negli Stati Uniti veniva comunicato il dato sull’inflazione a luglio.

Sapete tutti che ormai il dato macroeconomico di gran lunga più importante riguarda l’indice dei prezzi al consumo (che sarebbe la dicitura più corretta e non inflazione), ma non entro nel merito di questa disquisizione da cattedratici.

Ma mi arrendo, solo momentaneamente, e chiamo anch’io inflazione la variazione positiva di un paniere di beni, anche se, ripeto, la definizione più corretta di inflazione è riduzione del potere d’acquisto della moneta.

Comunque proseguiamo, tutto il mondo, oggi attendeva il dato sull’inflazione negli Stati Uniti. 

Perché era così importante? 

Beh, naturalmente semplifico molto: perché se fosse stato peggiore delle attese la Banca Centrale americana, la Federal Reserve avrebbe dovuto continuare ad aumentare i tassi di interesse, e così facendo avrebbe indebolito l’economia.

Mentre se il dato sull’inflazione fosse risultato migliore delle attese la Fed avrebbe potuto prendere una pausa nel programma di rialzo dei tassi, di fatto dando una boccata d’ossigeno all’economia.

Guardate, ci avrei scommesso, e lo avevo già anticipato nella trasmissione di lunedì scorso con Le Fonti TV, dicevo ci avrei scommesso che il dato sarebbe stato migliore delle attese.

Ovviamente migliore delle attese significa che l’inflazione a luglio sarebbe stata inferiore alle previsioni, per questo si parla di un dato positivo, mentre peggiore delle attese significava che l’inflazione sarebbe stata superiore alle previsioni, un dato negativo.

Nel mese scorso ossia quello di giugno, l’inflazione era stata del 9,1%, ovviamente calcolata anno su anno, le previsioni per il mese di luglio erano per un ribasso all’8,7%, il dato ufficiale annunciato dal Bureau of Statistic, insomma l’Istat degli Stati Uniti è stato dell’8,5%.

Da sottolineare inoltre che non c’è stata inflazione rispetto al mese precedente. 

Il dato positivo è stato messo in relazione alla riduzione del prezzo della benzina, occorre infatti sottolineare che il dato sull’inflazione è condizionato principalmente dai prezzi dell’energia.

A tale proposito è interessante vedere i dati disaggregati che normalmente non compaiono sui nostri media. Ebbene sapete da dove esce il dato aggregato, in pratica quell’8,5%? Normalmente si disaggrega in tre componenti eccole:

Energy, ossia fonti energetiche +32,9% ossia i prezzi delle fonti energetiche sono saliti rispetto a 12 mesi fa di quasi il 33%

Food, ossia cibo e bevande, insomma generi alimentari +10,9%

Tutto il resto, ossia tutto meno Energy e Food +5,9%

Risultato generale +8,5%

I mercati hanno naturalmente accolto con entusiasmo il dato, le Borse sono partite al rialzo sia negli Stati Uniti che in Europa, e ci sono stati forti scambi sul mercato valutario, ossia quello delle monete.

Il dollaro si è deprezzato in media di oltre un punto percentuale, sapete che per quanto riguarda le valute la variazione di un punto percentuale in una sola giornata è decisamente tanto.

Forse quelli fra voi che non seguono con continuità i mercati finanziari si staranno chiedendo se per caso mi sono sbagliato. 

Come? Avranno pensato, arriva un dato positivo per l’economia americana, ossia l’inflazione è risultata inferiore al previsto, quindi un dato positivo, ed il dollaro scende? Si indebolisce?

Eh sì, non mi sono sbagliato, è così! Sapete che i mercati finanziari sono un po’ strani, però seguono delle logiche, delle logiche che apparentemente non sembrerebbero logiche, ma che in fondo lo sono.

Il motivo è semplice. Dato che il dato sull’inflazione è risultato migliore rispetto alle attese ciò induce gli operatori a pensare che la Federal Reserve ridurrà il programma di rialzo dei tassi, insomma aumenterà i tassi meno rispetto alle previsioni precedenti, questo renderà meno appetibile gli investimenti in dollari e quindi ridurrà il valore della moneta americana. 

Il dollaro ha perso un 1% rispetto all’euro ed un 1,7% rispetto allo yen. Chiariamo però che tutt’ora i cross euro/dollaro e dollaro/yen sono su livelli storicamente molto elevati, nei mesi scorsi infatti il dollaro si era notevolmente apprezzato.

Da segnalare infine che in giornata l’oro era salito oltre quota 1.800 dollari per oncia, un dato non da poco visto che soltanto una ventina di giorni fa, lo scorso 20 luglio era sceso sotto quota 1.700 dollari per oncia.

Insomma è stata sufficiente questa notizia per far dire a molti che il picco è stato superato e quindi il peggio è passato, sarà vero?

A guardare la Cina … sembrerebbe proprio di no! 

La Cina infatti si trova ad affrontare una crisi immobiliare veramente molto pericolosa, se poi teniamo conto che il 28% del Pil della Cina è dovuto al mercato immobiliare si capisce la gravità di questa crisi.

Intanto ricordiamo che nel secondo trimestre il Pil cinese è salito di un misero 0,4%, per l’economia cinese un dato estremamente deludente. Ma poi fa ancora più specie vedere il PMI manifatturiero a 50,4 punti, si tratta di un indice sul comparto manifatturiero che registra una crescita se supera i 50 punti, mentre registra una contrazioni al di sotto dei 50 punti.

Insomma vedere quell’indice a solo 50,4 punti, ossia vicino ad una contrazione, e stiamo parlando della Cina, è veramente allarmante. 

Non sono pochi gli analisti, poi, che ritengono i dati anche poco veritieri e leggermente gonfiati (per la Cina non sarebbe una novità).

Ma è chiaro che a tener banco in Cina è il comparto immobiliare.

In molte città la gente ha smesso di pagare i mutui, ma attenzione, quei mutui sono di fatto un prefinanziamento alle imprese di costruzioni, ossia si comincia a pagare prima che la casa venga costruita.

Ebbene in molti casi, ormai, la crisi ha fatto sì che le società immobiliari non fossero in grado di rispettare gli impegni anche perché comunque necessitavano di finanziamenti da parte delle Banche … insomma avete capito, la situazione si è avvitata su se stessa ed il rischio dello scoppio della bolla immobiliare comincia ad essere più che concreto.

Le vendite nel settore immobiliare sono diminuite rispetto allo scorso anno del 40%, sono numeri da paura.

E non dimentichiamo le difficoltà del colosso Evergrande soffocato da 300 miliardi di dollari di debiti, che doveva presentare un piano di ristrutturazione entro la fine del mese di luglio, ma al momento non si è visto nulla se non le dimissioni dell’amministratore delegato e del responsabile finanziario.

Ovviamente scoppiasse la bolla immobiliare in Cina immediatamente a trovarsi in grosse difficoltà sarebbe il comparto bancario, e voi sapete perfettamente che quando la crisi colpisce il sistema bancario sono davvero dolori per tutti.

Ah, un’ultima cosa, non ditemi, vabbé è la Cina a noi che ce ne frega! 

Ce ne frega, ce ne frega, è indubbio che se entrasse in una profonda crisi il Paese numero uno al mondo per quanto riguarda il comparto manifatturiero, tutto si allargherebbe in breve tempo a macchia d’olio.

Quindi meglio non fare i gufi, sarebbe questione di tempo ed anche noi ne subiremmo le conseguenze.  

Giancarlo Marcotti
Giancarlo Marcotti
Giancarlo Marcotti è laureato in Scienze Statistiche ed Economiche all’Università di Padova. Nella sua attività professionale ha collaborato con importanti Istituti Finanziari, ricoprendo diversi ruoli. Giancarlo Marcotti è Direttore Responsabile di Finanza In Chiaro, oltre che curatore della rubrica I Mercati e redattore della sezione portafoglio nella quale, giornalmente, riporterà le scelte di investimento effettuate. Giancarlo Marcotti cura la trasmissione Mondo e Finanza su Youtube di Money.it.
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