Abbigliamento in crisi nera: un settore dimenticato!

Il settore tessile, e più in generale la vendita e la produzione di capi di abbigliamento, ha subito un arresto non da poco, dallo scoppio della pandemia. Si tratta di una crisi mai vista prima, causata da un lato dall'arrivo della pandemia, e dalle limitazioni del commercio, dall'altro dalle scelte dei consumatori, che si rivolgono ad altri settori se devono fare acquisti, come quello delle tecnologie. L'abbigliamento e la moda potranno riprendersi da questi anni neri?

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Il tessile italiano ha dovuto arrestarsi, a causa della crisi e della pandemia. L’abbigliamento è entrato in una profonda crisi, a causa del perpetuarsi dell’emergenza sanitaria, e delle limitazioni che inevitabilmente anche questo settore ha dovuto affrontare.

Il settore tessile è stato uno dei più penalizzati dalla crisi, anche se si tende a parlarne di meno. Allo stesso modo del turismo, ha subito uno stop quasi totale, con vendite calate drasticamente e produzione rallentata.

Per molte aziende del settore già a marzo 2020 era stato decretato lo stop, che ha portato a cali di fatturato mai visti prima, in uno dei settori più caratteristici del nostro paese. La crisi del settore è documentata da La7.it:

“Con i negozi chiusi a intermittenza e la mancanza di occasioni di socialità, si registrano ingenti cali di fatturato e il pericolo di un’imminente ondata di licenziamenti.”

E nonostante le riaperture di questi mesi, la situazione è critica, l’abbigliamento sembra essere entrato in una crisi nera, e la produzione tessile stenta a riprendersi.

Abbigliamento subisce un forte arresto: non si compra più

L’abbigliamento a causa della crisi è stato uno di quei settori che più di tutti ha subito un forte arresto, anche perché i prodotti del tessile, e soprattutto della moda, non sono inclusi nei beni strettamente necessari, e gli italiani in questi mesi hanno dovuto pensare ad altre priorità.

Scende la domanda di prodotti, e di conseguenza la produzione di abbigliamento rallenta, e molte aziende hanno dovuto chiudere battente, lasciando senza lavoro moltissimi dipendenti, perché il calo di fatturato e produzione è stato troppo impattante.

Nonostante nel 2021 la situazione sta lentamente riprendendo, per l’abbigliamento il 2020 è stato quasi fatale: tra capi non venduti e la prospettiva dei licenziamenti, il tessile non se la cava meglio del settore turismo.

Il problema dei prodotti invenduti che rimangono fermi ai telai non è da sottovalutare: si tratta di prodotti che dovranno essere immessi nel mercato, secondo le possibilità che lo stesso offre, che fino ad oggi sono state limitate di molto. I cittadini durante i mesi più critici hanno rinunciato a comprare capi di abbigliamento, e la moda ha avuto un brusco rallentamento anche per i grandi marchi.

Abbigliamento in crisi: i negozi chiusi

Con il settore abbigliamento in crisi, e l’industria tessile in ginocchio, si possono facilmente immaginare le conseguenze: sono centinaia i negozi che hanno dovuto chiudere definitivamente, colpiti più di altri dalla crisi e dai periodi di chiusura.

Secondo Lanazione.it al momento le attività che stanno ripartendo maggiormente sono quelle del mondo del turismo e delle attività ricettive, la ristorazione. Complice la ripartenza della vita sociale e l’eliminazione del coprifuoco, le persone scelgono di trovare un momento di svago recandosi al proprio ristorante preferito, ma ancora rimandano gli acquisti.

In una situazione di questo tipo, per i proprietari di negozi e rivenditori è difficile pensare di poter riaprire, o di ricavare un fatturato che si avvicina alla situazione precedente allo scoppio della pandemia. La limitazione alla socialità ha impattato moltissimo sull’acquisto di nuovi capi di abbigliamento: con cerimonie sospese, occasioni di incontro rimandate e limitazioni agli spostamenti, le persone hanno scelto di rinunciare o posticipare gli acquisti.

Un esempio è quello della città di Rimini: la situazione veniva così descritta da Ansa.it alla fine del 2020:

“Sono 101 i negozi di abbigliamento che hanno chiuso nella provincia di Rimini nel primo trimestre dell'anno secondo i dati di Confcommercio, e il numero è cresciuto soprattutto con il coronavirus.”

Si tratta di un numero altissimo di negozi, valutando che nel particolare è descritta unicamente una provincia italiana.

Confindustria Moda: il report sulla crisi dell’abbigliamento

Confindustria Moda ad inizio del 2021 ha presentato un report sulla situazione del mercato dell’abbigliamento e più in generale del tessile. Rispetto al fatturato del 2019, l’abbigliamento ha subito un calo del 26%. Per il 2021 la situazione non è cambiata di molto:

“Nei primi mesi del 2021 si registra un trend simile a quello del trimestre precedente, con un calo del fatturato del -18.4%, ma con ancora una contrazione delle perdite.”

Le stime vedono una ripresa solo verso la fine del 2021 e con l’inizio del 2022, per questo settore sono ancora mesi difficili. Indubbiamente l’impatto del Covid-19 è stato enorme, e per l’abbigliamento ci vorranno ancora mesi prima di tornare ad una situazione sostenibile.

Nel frattempo, moltissimi lavoratori dell’industria tessile e del mondo dell’abbigliamento temono la perdita del proprio posto di lavoro, e ci sono ipotesi che parlano di prorogare la misura del blocco licenziamenti, applicata dal governo per limitare una crisi del lavoro più grande, ancora fino a fine anno.

Blocco licenziamenti e settore abbigliamento: le ipotesi

Il blocco licenziamenti è una misura voluta dal governo e presente già da molti mesi, che va a tutelare quelli che sono i rischi di licenziamento di moltissimi lavoratori dipendenti. Con questa misura, si è limitato il boom di disoccupazione, ma non si è arginato un problema che potrebbe diventare di grande portata nel momento dello sblocco.

Alcune misure aggiuntive per limitare i licenziamenti collettivi, si basano su nuovi contratti, come il contratto di rioccupazione, il contratto di espansione esteso e l’introduzione di nuove forme di sostegno ai lavoratori.

Quello che si sta al momento ipotizzando è l’applicazione del blocco licenziamenti ancora per alcuni mesi, ma solo per determinati settori, considerati tra i più colpiti dalla crisi. Tra questi settori c’è anche il comparto tessile.

La paura è quella che con lo sblocco dei licenziamenti, moltissimi lavoratori dell’industria tessile possano trovarsi senza lavoro, dato anche il fatto che non sembra arrivare ancora una vera e propria ripresa per l’abbigliamento. Alcuni sostengono che l’abbigliamento sarà l’ultimo settore a uscire dalla crisi, come spiega Adnkronos.com:

“Il tessile-abbigliamento è il settore produttivo italiano che "uscirà per ultimo" dalla crisi innescata dall'emergenza sanitaria.”

Confartigianato: 20 miliardi di euro persi

Nel settore abbigliamento sono andati perduti almeno 20 miliardi di euro, secondo le stime di Confartigianato. Il problema non è caratterizzato solo dalla diminuzione degli acquisti da parte dei cittadini italiani, ma anche dal calo delle esportazioni in questo senso.

La crisi globale ha colpito l’Europa, e il commercio con l’estero per l’abbigliamento è diminuito drasticamente. I prezzi stessi delle materie prime sono aumentati, e la situazione si è fatta sempre più critica.

Per l’Italia, il tessile ha subito un duro colpo, insieme al turismo. In entrambi i casi si tratta di settori indispensabili per il nostro paese, che sono in un certo senso i settori per cui l’Italia è conosciuta anche all’estero. Da un certo punto di vista si può dire che moda e turismo siano strettamente connessi, e che la ripresa molto probabilmente inizierà proprio dal turismo.

La speranza delle industrie dell’abbigliamento è quella di uscire presto dalla crisi, soprattutto per quelle regioni italiane che sono state più colpite dall’arrivo del virus, e in cui si concentra maggiormente l’industria tessile: la Lombardia, il Veneto e le regioni centrali.

Gli ammortizzatori sociali per i lavoratori dell’abbigliamento

Per il settore tessile, come per altri settori fortemente colpiti dalla crisi, sono stati introdotti alcuni ammortizzatori sociali per tutelare la situazione di moltissimi dipendenti, e in più sono presenti alcuni tipi di contratti che favorirebbero il lavoro. In particolare le misure sono state introdotte dal Decreto Sostegni bis, in linea con gli obiettivi prefissati dal Recovery Plan per la ripresa dell’economia italiana:

Contratti di solidarietà: prevedono una riduzione del numero di ore lavorate, con corrispondente riduzione del salario, e questo contratto viene applicato come alternativa ai licenziamenti;

Contratto di espansione esteso: si tratta di un contratto che prevede l’uscita anticipata dei lavoratori vicini al pensionamento per favorire il cambio generazionale. Solitamente si applica sulle imprese con numero elevato di dipendenti. Con le ultime modifiche il numero di dipendenti per l’azienda che può beneficiare di questo contratto è sceso a 100;

•Ipotesi di proroga del blocco licenziamenti per il settore tessile;

Contratto di rioccupazione: le aziende in questo caso sono esonerate dagli obblighi di natura contributiva, se propongono assunzioni a tempo indeterminato dopo il primo periodo di lavoro;

Cassa integrazione.

Abbigliamento e vendita online e-commerce

Una delle soluzioni prese per affrontare la crisi del tessile è quella di utilizzare gli strumenti e-commerce per vendere online i prodotti di abbigliamento. La vendita online ha avuto un vero e proprio boom dallo scoppio della pandemia, e molti italiani hanno scelto di acquistare sul web anche durante i periodi più critici della pandemia.

Secondo alcuni dati che riguardano le vendite online, il settore preferito è quello della tecnologia, seguito dall’abbigliamento. Non c’è da stupirsi se al primo posto troviamo prodotti e strumenti legati alla tecnologia, dato l’utilizzo massiccio dello smart working e del web che ha coinvolto il mondo del lavoro e la scuola.

La vendita del settore moda ha trovato uno spiraglio positivo nel proporre i prodotti online, raggiungendo così un pubblico più vasto di potenziali clienti. Il mercato dell’abbigliamento online è cresciuto del 22% in più rispetto al 2019, secondo Blog.osservatori.net.

Lo shopping online, a differenza di quello svolto presso i punti vendita, ha avuto un’impennata sostanziale, che potrebbe non arrestarsi anche per il 2021. Prodotti di moda, capi e accessori sono stati venduti maggiormente online, e l’e-commerce si è rivelata una soluzione utile anche per vendere al di fuori dei confini nazionali.

Nella rispresa si prospetta che questo tipo di strumenti diventeranno imprescindibili per favorire il commercio e lo scambio in Italia e all'estero.