Assegno unico e PNRR: cosa prevede per disabili ed invalidi

La recente approvazione del PNRR ha messo in chiaro alcune intenzioni del Governo Draghi, tra cui quella relativa all'Assegno Unico ed alla sua attuazione. L'attenzione alle categorie bisognose sembra essere una priorità del Governo, vediamo dunque cosa è previsto per i figli a carico diversamente abili e quali sono le prospettive indicate dal PNRR.

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L’assegno unico (o universale) è una misura approvata dal Governo lo scorso 30 marzo ed è senza dubbio concepito per semplificare l’accesso ai sostegni da parte delle famiglie. Nelle intenzioni dell’Esecutivo c’è infatti quella di rendere più semplice e veloce l’accesso a questa forma di sostegno per le famiglie, raggruppando sotto un’unica forma di sostegno tutti i bonus fino ad ora esistenti (bonus bebè, bonus mamma domani, bonus nido e assegno al nucleo familiare). 

Semplificare è doveroso, anche per fare in modo che non vi siano barriere per le famiglie effettivamente bisognose, ma dall’altro lato vi è anche l’esigenza di fare chiarezza. L’assegno unico, così denominato proprio perché raggruppa i bonus esistenti fino ad oggi, dovrebbe garantire un maggior reddito a molte famiglie italiane, ma entrerà in vigore solo a partire dal gennaio del 2022.

Inizialmente la data effettiva di inizio dell’assegno unico era il primo luglio 2021, ma la Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, ha chiarito che il ritardo è dovuto alla volontà del Governo di non escludere nessuno. In questo modo vi saranno sei mesi di transizione in cui nessuno perderà la possibilità di accedere ai vari bonus (come ha sempre fatto), ma da gennaio la misura sarà effettiva senza ulteriori ritardi (come richiesto anche da alcune forze di maggioranza).

La scelta dell’assegno unico è da vedere anche nell’ottica di quanto il Governo ha inserito all’interno del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che permette di usufruire delle risorse messe a disposizione da parte dell’Unione Europea per aiutare l’Italia a risollevarsi dopo il duro shock dovuto alla pandemia. Vediamo quindi cosa prevede l’assegno unico per nuclei famigliari con soggetti diversamente abili o invalidi e quali sono le prospettive per le famiglie italiane.

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Assegno unico: cos’è?

Innanzitutto, va chiarito che l’assegno unico è una forma di sostegno alle famiglie italiane e fa riferimento ai figli a carico a partire dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni. Una forma di sostegno importante, che ha permesso a molte famiglie di restare a galla anche durante i periodi difficili in cui il Paese ha dovuto affrontare la pandemia.

Come suddetto, esso è stato approvato ed è attualmente Legge, ma bisognerà aspettare che siano effettivi anche i Decreti attuativi, che permetteranno di capire esattamente come saranno definiti i criteri per l’accesso. Esso è in ogni caso erogato sotto forma di contributo o credito d’imposta e dovrebbe includere più nuclei familiari rispetto a quelli contemplati nei bonus già esistenti. Tra gli altri, anche i titolari di Partita Iva potranno fare richiesta e questa è senza dubbio una scelta pensata per aiutare soggetti fortemente colpiti dal periodo di pandemia, come appunto i titolari di Partita Iva.

A quanto ammonta l’assegno unico?

L’assegno fa riferimento ad ogni figlio a carico e parte da una base di 40 euro fino ad arrivare ad un massimo di 250 euro, con ulteriori aumenti in caso di figli disabili.

Proprio la questione riguardante i diversamente abili e gli invalidi in generale è stata attentamente presa in esame dal Governo, anche e soprattutto alla luce di quanto dichiarato dalla Corte costituzionale in una nota sentenza (n. 152 del 22 luglio 2020), in cui veniva resa nota l’incostituzionalità rispetto ai requisiti per l’ottenimento dell’invalidità civile ed in generale per gli emolumenti assistenziali.

Da allora i Governi hanno prestato maggiore attenzione a questi aspetti, attenendosi alla linea indicata proprio dalla Corte costituzionale e cambiando i requisiti per l’accesso alle forme assistenziali destinate agli invalidi civili (totali e non).

Cosa c’entra il PNRR?

La settimana scorsa il premier Mario Draghi ha esposto alla Camera ed al Senato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ovvero il documento che elenca i sei macro-obiettivi di perseguire grazie alle risorse messe a disposizione dall’Unione Europea con il Recovery Plan.

Si tratta, come ormai noto, di oltre 200 miliardi di euro, un vero e proprio tesoretto che potrebbe risolvere diversi problemi strutturali a livello di pubblica amministrazione e rilanciare effettivamente l’Italia. Tra gli obiettivi, vi è anche l’attenzione alle diversità (come appunto diversamente abili, ma anche emarginati sociali in generale), esplicitata nell’obiettivo M5C2 “infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore” in cui viene diffusamente affrontato questo tema. Ciò testimonierebbe ulteriormente l’attenzione del Governo alla tematica, tanto importante quanto delicata.

Infatti, proprio nell’esposizione alla Camera il premier ha speso le seguenti parole: “Ci tengo a sottolineare che il valore del Terzo settore è parte integrante del piano, in particolare nella componente, dedicata a Infrastrutture Sociali, Famiglie, Comunità e Terzo Settore. Ciascuno dei tre ambiti di intervento prevede proprio che ci sia co-progettazione e siano sfruttate le sinergie tra impresa sociale, volontariato e amministrazione. Siamo convinti che questo consenta di comprendere al meglio i disagi e i bisogni e quindi di venire incontro alle nuove marginalità. Nel Piano è anche presente l’impegno a completare la riforma del Terzo settore.”

Ha poi così continuato l’ex Governatore della BCE: “L’assegno unico diventerà lo strumento centrale e onnicomprensivo per il sostegno alle famiglie con figli, in sostituzione delle misure frammentarie fino ad oggi vigenti. È una riforma che rappresenta un cambio di paradigma nelle politiche per la famiglia e a sostegno della natalità”

Assegno unico: quanto spetta per figli disabili?

Come già anticipato, è stata posta particolare attenzione ai nuclei familiari in cui vi siano figli diversamente abili e si è parlato di una maggiorazione dal 30 al 50%. Ricordiamo che il criterio principale resta quello dell’Isee e la maggiorazione è appunto calcolata su tale base (ovvero la cifra spettante in base all’Isee, maggiorata poi in caso di figli diversamente abili) e varia al variare della gravità della disabilità. 

Un altro elemento importante riguarda i figli diversamente abili dopo i 21 anni di età: se ancora a carico della famiglia, continuano a contribuire al calcolo dell’assegno unico. Un sostegno importante, talvolta vitale, per quelle famiglie in cui uno o più figli non possono essere indipendenti (lavorativamente parlando) proprio a causa della disabilità.

Sul fronte invalidità civile ci vorrà invece ancora pazienza, in quanto sono fondamentali le indicazioni che verranno date attraverso i Decreti attuativi ed è difficile fare delle previsioni al riguardo.

Andrà valutata anche la compatibilità con altri bonus, come il reddito di cittadinanza, il reddito di emergenza ed altre forme di sostegno. Ovviamente, fino al momento in cui verrà attivato l’assegno unico (cioè, ripetiamo, il primo gennaio 2022) rimarranno attivi i bonus già esistenti in tale ambito: bonus bebè, bonus mamma domani, bonus nido e assegno al nucleo familiare. 

Assegno unico, i requisiti

Per quanto riguarda i requisiti per accedere all’assegno unico, di cui devono ancora essere definite e confermate le modalità con cui fare domanda, ecco un riferimento:

  • l’assegno è riconosciuto a tutti i lavoratori cittadini italiani, titolari di un reddito da lavoro dipendente a tempo indeterminato o determinato, autonomi, o con partita Iva;
  • l’assegno spetta anche ai genitori single con figli fiscalmente a carico;
  • per i soggetti cittadini UE o Extra UE è necessario: avere il permesso di soggiorno (per soggiornanti di lungo periodo o per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno annuale); versare l’Irpef in Italia; vivere con i figli a carico nel nostro Paese; essere stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi, ovvero essere in possesso di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o di durata almeno biennale.