Blocco licenziamenti: partita ancora aperta. Le ultime

La scadenza è ormai imminente, ma per il blocco dei licenziamenti non c’è pace. Dal primo luglio le aziende, stando allo stato attuale delle cose, dovrebbero poter tornare a licenziare, ma la partita è ancora aperta e il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha mostrato apertura verso proposto che potrebbero andare incontro a quanto chiesto dai sindacati.

Image

La scadenza è ormai imminente, ma per il blocco dei licenziamenti non c’è pace. Dal primo luglio le aziende, stando allo stato attuale delle cose, dovrebbero poter tornare a licenziare, salvo quelle che usufruiranno della cassa integrazione ordinaria.

Tuttavia, la partita è ancora aperta perché i sindacati continuano a spingere per la proroga del blocco e anche all’interno della maggioranza di Governo, nelle ultime ore, sono emerse posizioni contrastanti che potrebbero accendere nuovamente il dibattito.

La misura, adottata per la prima volta all’inizio dell’emergenza sanitaria dall’esecutivo a guida Giuseppe Conte, ha creato fin dall’inizio notevoli contrasti e non da tutti è stata vista di buon occhio. A maggior ragione, considerando che l’Italia è stato l’unico Paese dell’Eurozona ad adottare una misura così drastica in materia di lavoro.

Blocco licenziamenti: cosa succede ora a luglio

Fu il decreto Cura Italia a introdurre, a marzo 2020, il blocco dei licenziamenti che tra un tira e molla e l’altro è stato prorogato fino al 30 giugno prossimo. Se non ci dovessero essere interventi, dal primo luglio le aziende potranno tornare a licenziare, fermo restando la possibilità di poter usufruire della Cassa integrazione ordinaria senza l’obbligo di pagare le addizionali del 2021, purché si impegnino a non licenziare alcun dipendente fino a che faranno utilizzo della misura.

Anche nel pieno dell’emergenza sanitaria, tuttavia, sono rimaste comunque aperte alcune scappatoie, attive anche ora, per poter continuare a licenziare. In caso di fallimento o chiusura dell’attività, per esempio, è consentito. Oppure, se c’è un accordo collettivo aziendale per la risoluzione dei contratti con conseguente incentivo per i lavoratori che vi aderiscono. In caso di appalto, il personale può essere licenziato purché venga riassunto dal nuovo appaltatore. E, infine, restano sempre possibili i licenziamenti per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo o dopo il periodo di prova.

Blocco licenziamenti: la posizione dei sindacati e di Confindustria

La posizione dei sindacati sul blocco dei licenziamenti resta intransigente: bisogna prorogarlo. Secondo Maurizio Landini, segretario generale Cgil, “pensare che dai primi di luglio in pandemia ancora aperta si possa tornare a licenziare sarebbe un errore grave”. Lo ha detto durante il suo intervento per la presentazione di Law, l’osservatorio che la Cgil ha messo in piedi in Emilia Romagna contro le attività della criminalità organizzata.

E sulla stessa linea si posizionano anche gli altri sindacati maggiori, Cisl e Uil. Chiedono che venga prorogato il blocco e che nel frattempo si intervenga con politiche che rafforzino gli ammortizzatori sociali per chi esce, suo malgrado, dal mondo del lavoro.

Dal canto suo, Confindustria, l’associazione di rappresentanza delle imprese manifatturiere, ha dato i numeri, contraddicendo la posizione dei sindacati dei lavoratori che hanno parlato di una vera e propria bomba sociale con 2 milioni di persone che potrebbero perdere il lavoro dal primo luglio.

Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, ha parlato di 4,5 milioni di lavoratori interessati attualmente dal blocco dei licenziamenti. Ma di questi, mentre secondo Cgil, Cisl e Uil circa il 50% perderanno il lavoro, secondo Bonomi saranno solo in minima parte quelli ad andare incontro a questa eventualità. Al massimo 100mila, stando ai numeri da lui annunciati, e di questi gran parte potrebbero essere accompagnati alla pensione grazie al contratto di espansione.

Blocco licenziamenti: le posizioni della maggioranza. Cosa dice la Lega

La Lega forma un blocco unico allineandosi alla posizione di Confindustria: il blocco dei licenziamenti non deve essere prorogato. Lo ha detto ieri pomeriggio, seppur in maniera indiretta, il leader del partito Matteo Salvini al termine di un colloquio di un’ora e mezza avuto col premier Mario Draghi. 

Le parole di Salvini, intervistato all’uscita di Palazzo Chigi, sono state: “Le aziende in crescita devono sentirsi libere di agire sul mercato, non hanno bisogno di licenziare”, confermato l’ennesimo cambio di posizione, sintonizzandosi questa volta con Draghi.

A fare da traino arrivano le parole di Claudio Durigon, sottosegretario all’Economia in quota leghista, che sulle pagine di Repubblica ha spiegato per bene la posizione del Carroccio sulla questione licenziamenti. Ok allo sblocco, ma serve una norma specifica per i settori in crisi. Questo sostanzialmente chiede la Lega.

“Doveroso difendere i lavoratori, ma lo è altrettanto difendere le imprese per permettere all’economia di ripartire”: con queste parole Durigon ha espresso l’ok del suo partito allo sblocco dei licenziamenti, aprendo alla possibilità di gestire in maniera diversa la questione, proponendo una sorta di protezione per i posti di lavoro appartenenti ai comparti particolarmente colpiti dalla crisi. Uno di questi, secondo Durigon, sarebbe quello tessile, che conta circa 140mila lavoratori in cassa integrazione a fronte dei 480mila totali.

Sempre sul fronte della destra, dai banchi della maggioranza Forza Italia si è detta nettamente contraria alla proroga del blocco. Della stessa idea anche Fratelli d’Italia, dall’opposizione, la cui leader Giorgia Meloni ha definito “inutile” la misura.

Blocco licenziamenti: le posizioni della maggioranza. Il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle

Aperto alla soluzione prospettata dalla Lega si è mostrato il Partito democratico. Lo stesso ministro del Lavoro, Andrea Orlando, in quota Pd, ha comunicato di essere disponibile a discutere una proroga che coinvolga soltanto alcune filiere produttive, identificate in quelle maggiormente colpite dalla crisi. ma, “i tempi sono abbastanza stretti e bisogna intervenire subito”, ha detto.

E a questa affermazione si è accodato Antonio Misiani, responsabile economico del Pd, anche lui aperto a una proroga selettiva, ma consapevole del fatto che la scadenza del blocco dei licenziamenti è praticamente dietro l’angolo. Se si volesse intervenire in corsa con alcune modifiche, dovrà essere il Governo a prendere in mano la situazione perché non c’è più tempo affinché il Parlamento si esprima. Poi, riferendosi ai timori espressi dai sindacati dei lavoratori, ha espresso vicinanza affermando che le loro preoccupazioni meritano la massima attenzione.

Il Governo dovrebbe intervenire in prima persona, dunque.  Ma già da Mario Draghi e dal ministro dell’Economia Daniele Franco sono arrivati segnali scoraggianti. Per lo meno per i sindacati. Nel senso che il titolare di via XX Settembre sembra confermare i dati di Confindustria, smentendo l’eventualità che si possa andare incontro a un terremoto di licenziamenti con lo sblocco fissato al 30 giugno.

Infine, il Movimento 5 Stelle, che ha sposato in toto la causa dei sindacati Cgil, Cisl e Uil, affermando la necessità di prolungare per tutti il blocco dei licenziamenti, almeno fino a che non saranno stati riformati gli ammortizzatori sociali e tutte le politiche attive per il lavoro.

Blocco licenziamenti: come gli altri Paesi dell’Eurozona hanno affrontato il capitolo “lavoro” durante la crisi

Partendo dal presupposto che la Commissione Europea ha già più volte bocciato il meccanismo del blocco dei licenziamenti perché, se prolungato troppo a lungo, fossilizza il mercato del lavoro e potrebbe addirittura rivelarsi controproducente rispetto ai presupposti per cui è nato, l’Italia è stato l’unico Paese UE ad adottare questa misura.

Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, la Germania ha evitato una bomba sociale di licenziamenti grazie al meccanismo del Kurzarbeit, traducibile con “lavoro breve”. Un meccanismo adottato anche da gran parte dei Paesi dell’Ocse. Praticamente, lo Stato ha incrementato l’ammontare dell’assegno della cassa integrazione, diminuendo a tutti l’orario di lavoro. Questo ha senza dubbio evitato il peggio, ma d’altro canto in Germania il timore maggiore è per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti. Secondo le stime, diminuiranno di circa 150mila unità.

In Spagna, invece, i dipendenti licenziati durante la crisi sanitaria hanno la possibilità di rivolgersi a un giudice che può, eventualmente, dichiarare il licenziamento nullo con conseguente reintegro, o illegittimo e in questo caso il lavoratore ha diritto a una retribuzione pari a 33 giorni di lavoro per ogni anno lavorato in azienda.

Infine la Francia ha rafforzato i controlli sui licenziamenti collettivi nelle grandi aziende. In ogni caso nessuno ha espressamente vietato la pratica, salvo alcune eccezioni, come invece è accaduto in Italia. E a causa del blocco si sono ritrovati imbrigliati in un sistema senza via di uscita anche alcuni lavoratori che hanno perso occasioni di nuove opportunità perché legati obbligatoriamente alle loro vecchie aziende.

Anche nel Regno Unito, per esempio, l’aumento dell’importo della cassa integrazione invece che l’imposizione del blocco dei licenziamenti ha giocato un ruolo fondamentale. Nei primi mesi di pandemia l’aumento dei licenziamenti è stato lieve, è invece schizzato alle stelle quando, durante l’estate 2020, le cifre della cig sono state diminuite.