No ai buoni pasto per chi svolge la propria attività lavorativa in smart working: perché

L’Aran ha detto no ai buoni pasto per tutti quei lavoratori che svolgono la propria professione in smart working. Ecco le ultime novità a riguardo.

Buoni pasto smart working

L’Aran ha detto no ai buoni pasto per tutti quei lavoratori che svolgono la propria professione in smart working. Andiamo a scoprire subito insieme tutte le ultime novità a riguardo.

No ai buoni pasto se si svolge la propria attività lavorativa in smart working

Aran si dice contraria ai buoni pasto per i lavoratori che svolgono la propria attività lavorativa con modalità agile, dunque, in smart working.

Questa categoria di cittadini, infatti, non avrà la possibilità di fruire dei ticket; ma da dove nasce questa contrarietà dell’Aran? Semplice, tutto sta nella disciplina contrattuale con cui si definisce il lavoro agile, che non è altro che una modalità di esecuzione del lavoro di tipo subordinato che è disciplinata da ogni ente con un proprio regolamento e con un accordo fra le parti, con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, senza però alcun vincolo di orario o di luogo in cui svolgere l’attività.

Dunque, proprio questa assenza di vincoli di ora e di luogo entro cui svolgere la propria professione si dimostra, a dire dell’Aran, inconciliabile con la fruizione dei buoni pasto. Questo, però, non accade per il “lavoro da remoto”, che invece, permette un’esecuzione del lavoro subordinato con vincolo orario e di luogo.

Buoni pasto: smart working no, ma lavoro da remoto sì

Insomma, l’Aran ha affermato che:

“solo nel caso di lavoro da remoto, comportando questo un vincolo di tempo e di luogo, sia riconoscibile il buono pasto”.

Questa decisione, inoltre, pare essere concorde con quella della giurisprudenza consolidata. Nello specifico il decreto del giudice del lavoro di Venezia 8.7.2020, n. 3463 afferma che per la maturazione dei buoni pasti è necessario che l’orario del lavoro sia organizzato con determinate cadenze orarie e che il lavoratore consumi il proprio pasto al di fuori dell’orario di servizio. Ecco perché i buoni pasti non possono erogati a chi lavora in smart working.

I buoni pasto hanno natura retributiva o sono una prestazione assistenziale?

Viceversa, la giurisprudenza della Cassazione sottolinea come i buoni pasto non siano una retribuzione, ma una vera e propria prestazione assistenziale del lavoratore. Ciò viene anche confermato da sentenze successive al sopracitato decreto n. 3463, come ad esempio il caso della Sezione Lavoro, sentenza 1 marzo 2021, n. 5547.

In tale sentenza, infatti, si dichiara che il diritto ad usufruire dei buoni pasto non ha una natura retribuzione, non è dunque legato al corrispettivo mensile del lavoratore per l’attività svolta, ma bensì costituisce un’erogazione che ha carattere assistenziale e che è collegata al rapporto di lavoro da un nesso puramente occasionale, che ha come finalità la conciliazione tra il servizio svolto e le necessità quotidiane del lavoratore.

In poche parole, il diritto ai buoni pasto, smart working, lavoro in presenza o da remoto, è collegato unicamente alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono (CCNL).

Ogni amministrazione ha potere decisionale

Pertanto, secondo quanto appena evidenziato, ogni amministrazione ha, nell’ambito della propria autonomia di gestione e organizzazione dell’attività lavorativa, la possibilità di prendere le decisioni più adeguate in relazione all’utilizzo o meno dei buoni pasto sostitutivi, alle modalità di erogazione degli stessi e ad eventuali attivazioni di misure volte a garantire la verifica delle condizioni e dei presupposti che ne legittimano l’erogazione ai lavoratori, nel rispetto del vigente quadro normativo e contrattuale.

Questa dichiarazione, però, vede ancora una volta l’Aran contraria, che smentisce categoricamente che l’autonomia organizzativa e gestionale di ciascuna realtà lavorativa possa disciplinare l’erogazione dei buoni pasto ai lavoratori che svolgono la propria professione in modalità agile, dunque, in smart working.

Nel sopracitato decreto del giudice di Venezia, a riguardo, è stato precisato che:

 “L'indicazione fornita dal ministero della pubbliche amministrazioni, secondo cui ciascuna amministrazione assume le determinazioni di competenza in materia previo confronto sul punto con le organizzazioni sindacali, non solo non è giuridicamente vincolante nella valutazione della legittimità del comportamento del comune, ma è comunque priva di qualunque utilità, non potendosi neppure ipotizzare che si giunga a soluzioni differenti a seconda dell'esito del confronto sindacale”.

In sostanza le amministrazioni non godono dell’autonomia organizzativa tale per cui possano scegliere di elargire buoni pasto ai lavoratori al di fuori dei presupposti collegati ossia: l’impossibilità di godere del proprio pranzo nella pausa di segmenti fissi di lavoro e in luoghi differenti dalla propria abitazione.

Per farla breve: godendo di questa possibilità, chi lavora in smart working non può avere i buoni pasto.

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