Guida completa alle dimissioni volontarie

La guida completa alle dimissioni volontarie. Come inviare la comunicazione telematica. I tempi di preavviso richiesti e la possibilità di revoca.

Tante possono essere le motivazioni, anche in questi anni di pandemia e di crisi del mercato del lavoro, che spingono un lavoratore a presentare le dimissioni volontarie al proprio datore di lavoro. Come dice la locuzione stessa, si tratta di un procedimento tramite cui è il lavoratore stesso a rescindere in modalità del tutto volontaria dal proprio contratto di lavoro.

Secondo stime preliminari dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro  (OIL) la crisi economica e del lavoro causata dal COVID-19 potrebbe incrementare la disoccupazione nel mondo di quasi 25 milioni (fonte OIL).

Sebbene ci siano alcune differenze tra settore pubblico e privato, cerchiamo in questo articolo di concentrare una guida sulle azioni che è necessario intraprendere in ambedue i casi. Soprattutto, cercheremo di dare notizie aggiornate, in un mondo in cui ogni tipo di procedura sta riscontrando sempre più modifiche e cambiamenti, in virtù di una transizione digitale rapida ed efficiente.

Innanzitutto, iniziamo con il capire esattamente cosa siano le dimissioni volontarie e perché si possa arrivare a presentarle.

Cosa sono le dimissioni volontarie

Come anticipato in apertura, le dimissioni volontarie sono un atto volontario intrapreso dal lavoratore dipendente.

In gergo tecnico, si parla di “atto recettizio“, nella misura in cui gli effetti decorrono dal momento in cui il datore di lavoro ne ha conoscenza: non ne è quindi richiesta l’accettazione. Allo stesso modo, il dipendente non è tenuto a fornire cause o giustificazioni (fonte: Pensioni e Lavoro)

Sebbene non sia necessaria alcuna forma di giustificazione da parte del dimissionario, una complessa sequela di istruzioni regola i rapporti da ambo le parti, dunque il lavoratore ed il suo datore di lavoro.

Infatti, sono passati quasi 6 anni (correva l’anno 2016) da quando è entrato in vigore l’articolo 26 del d.lgs. 151/2015 che va a disciplinare le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale.

Per amor di chiarezza questi due concetti non sono sinonimi. La risoluzione consensuale, infatti, ammette che lo scioglimento del rapporto di lavoro sia desiderato da entrambe le parti; le dimissioni volontarie, invece, prepongono che sia il solo lavoratore dipendente a richiederle. Ancora diversa è la circostanza del licenziamento, in cui la volontà di interruzione del contratto è del datore di lavoro.

Ad ogni buon conto, le dimissioni volontarie possono essere scatenate da una molteplicità di fattori.

Esse si distinguono tra dimissioni desiderate per motivi personali (come motivi di famiglia oppure contratti di lavoro più allettanti in altri luoghi) che però non devono essere giustificati, oppure dimissioni per giusta causa.

Queste dimissioni sono scatenate da un comportamento del datore talmente grave da non consentire nemmeno la prosecuzione temporanea del rapporto durante il periodo di preavviso (fonte: Lavoro e Diritti).

In questo caso, il lavoratore può richiedere un trattamento economico ma anche di sostegno al reddito, cosa che non è prevista per le dimissioni volontarie senza giusta causa.

Le novità di cui parlavamo poche righe addietro, però, non riguardano le motivazioni delle dimissioni, ma la procedura di richiesta, come vedremo nel prossimo paragrafo.

Come presentare le dimissioni volontarie nel 2022

Mano a mano che passano gli anni, anche la procedura di dimissioni si fa sempre più semplice.

L’articolo 26 cui accennavamo poche righe addietro, infatti, fa riferimento proprio a questo concetto.

Le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente con le modalità individuate con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Si tratta, dunque, a tutti gli effetti, di una comunicazione da effettuare esclusivamente in via telematica.

Naturalmente, al di là di questa procedura che vedremo nello specifico nel prossimo paragrafo, ci sono delle regole di “buona condotta” che è opportuno che ogni lavoratore segua.

Oltre al fatto che è necessario rispettare il proprio contratto e verificare i tempi di preavviso richiesti, è infatti buona norma anticipare al proprio datore di lavoro tramite un colloquio la propria volontà di richiesta delle dimissioni volontarie. Questo faciliterà l’azienda nel momento dell’uscita del proprio lavoratore.

Oltre a ciò, e qui bisogna valutare il caso specifico, è altresì buona regola quella di aiutare il proprio responsabile nel facilitare il nuovo candidato nell’insediamento all’interno dell’azienda. Questo renderà il processo senza dubbio più fluido.

A prescindere da queste norme di buon comportamento spieghiamo passo per passo quali sono le regole da seguire per l’invio della procedura telematica.

Come inviare la comunicazione di dimissioni?

Come detto, la comunicazione di dimissioni volontarie è una procedura interamente telematica.

Essa può essere seguita in due modi.

Il primo, il più semplice e veloce, può essere seguito se si è in possesso di SPID oppure CIE. Entrando nel sito apposito, si potrà fare login attraverso le proprie credenziali e si seguirà la procedura guidata. In pochi passaggi dove sarà sufficiente verificare che i propri dati personali, quelli dell’azienda e quelli del rapporto di lavoro intercorrente siano corretti, si potrà dare conferma della propria volontà di chiusura del rapporto di lavoro.

A quel punto, il file generato dal dipendente verrà automaticamente trasmesso al datore di lavoro che potrà procedere con la chiusura di tutte le posizioni.

La seconda modalità è simile alla precedente ma è assistita. Presuppone infatti che il lavoratore si rechi in un centro preposto, come CAAF, patronato, ente bilaterale, sindacato, ecc, e faccia compilare all’intermediario prescelto la propria comunicazione di dimissioni volontarie.

A quel punto, sarà l’intermediario a perfezionare la propria pratica e il datore di lavoro ne riceverà copia.

Questa procedura è stata introdotta per salvaguardare i lavoratori dalla pratica scorretta delle cosiddette dimissioni in bianco: si trattava di una lettera di dimissioni che veniva fatta firmare all’atto dell’assunzione senza alcuna data. Veniva presentata al dipendente nel momento in cui il datore di lavoro voleva procedere con il licenziamento (senza farsi carico delle tutele del caso).

Con questa procedura telematica, si riesce a contrastare più facilmente questa pratica scorretta.

Si segnala comunque che ci sono anche delle casistiche per le quali la procedura di dimissioni telematiche non è possibile, in quanto non prevista. Si tratta di dimissioni volontarie effettuate:

  • nelle sedi protette;
  • durante il periodo di prova;
  • dal lavoratore domestico;
  • dai lavoratori marittimi;
  • dai dipendenti del settore pubblico per i quali vige un procedimento completamente diverso;
  • dalle lavoratrici in maternità: in questo caso, infatti, le dimissioni volontarie devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali competente per territorio.

Quanto tempo di preavviso è necessario considerare?

Tra le regole da seguire in modo pedissequo c’è anche quella dei tempi di preavviso.

Si sappia, infatti, che qualora il lavoratore scegliesse di non rispettare i giorni di preavviso richiesti dal proprio contratto, può incorrere nella cosiddetta indennità di mancato preavviso.

Tale indennità è proporzionale all’importo delle retribuzioni che sarebbero spettate per il periodo di preavviso non lavorato, così come previsto dall’articolo 2118 del Codice Civile (fonte: Non Solo Patronato).

Il tempo di preavviso non è univoco ma è soggetto a diverse dinamiche:

  • tipo di contratto
  • anzianità
  • livello di qualifica
  • livello di inquadramento.

Nei contratti a tempo indeterminato, si va generalmente da un minimo di 4 giorni di preavviso richiesto al lavoratore con tempo part time e meno di 2 anni di anzianità ad un minimo di 15 giorni richiesti al lavoratore full time con più di 5 anni di servizio. Con oltre 5 anni di anzianità, si può arrivare a 90 giorni di preavviso. 

Si noti, inoltre, che non tutti i Contratti Collettivi nazionali del Lavoro prevedono che il periodo di preavviso sia fatto partire dal momento di invio della comunicazione di dimissioni volontarie. In alcuni casi, infatti, è necessario attendere il primo giorno del mese, oppure il quindicesimo.

In generale, comunque, è bene osservare il proprio contratto per avere la corretta risposta in merito alle tempistiche di preavviso.

Nell’ultimo paragrafo, diamo risposta ad una domanda cui forse non si presta mai troppa attenzione.

È possibile revocare le proprie dimissioni volontarie?

La risposta a questa domanda, sorprendentemente, è sì.

In caso di ripensamento, infatti, è facoltà del lavoratore revocare la propria domanda di dimissioni volontarie. Anche qui, comunque, ci sono delle regole e delle tempistiche che è necessario seguire.

I tempi in cui è possibile rielaborare la domanda sono di massimo 7 giorni.

La domanda di revoca delle dimissioni è operabile nel medesimo modo descritto sopra e va compilata in ogni sua parte. Nel caso in cui non venga fatto, o venga compilato con alcuni errori, è facoltà del datore di lavoro richiederne tempestica correzione.

Qualora, nonostante i solleciti, persista l’inadempimento da parte del lavoratore, il datore di lavoro è legittimato a contestarne l’assenza ingiustificata dal posto di lavoro tramite l’avvio di un procedimento disciplinare, ai sensi dell’art. 7 della Legge 300/70, al termine del quale potrà sanzionare la condotta illecita con il licenziamento, ricorrendo i presupposti dell’assenza ingiustificata (fonte: Pensioni e Lavoro).

Ad ogni buon conto, qualora ci sia un qualche tipo di illecito effettuato dal titolare sul documento di dimissioni presentato dal lavoratore, anche il datore di lavoro è passibile di denuncia e sanzioni (si va dai 5 mila ai 30 mila euro di sanzione).

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