Fine emergenza e blocco licenziamenti: chi resta a casa?

Lo sblocco dei licenziamenti è imminente così come la fine dello smart working, entrambe conseguenze della fine emergenza da Covid-19. Al momento, per quanto concerne proprio lo sblocco dei licenziamenti, si cerca ancora una soluzione, per la data fissata per il 30 giugno. E con la fine dello stato d’emergenza, fissato al 31 luglio, anche tanti lavoratori dipendenti dovranno fare i conti con lo stop allo smart working.

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Parliamo dello sblocco dei licenziamenti ormai imminente ma anche dello stop allo smart working, entrambe conseguenze della fine emergenza da Covid-19. Al momento, per quanto concerne proprio lo sblocco dei licenziamenti, si cerca ancora una soluzione. Infatti sembrerebbe essere ormai prossimo, vista la data fissata per il 30 giugno. E con la fine dello stato d’emergenza, fissato al 31 luglio, anche tanti lavoratori dipendenti dovranno fare i conti con lo stop allo smart working. 

Da una parte dunque, lavoratori che rischiano il licenziamento e quindi di tornarsene a casa. Dall’altra, milioni di dipendenti che, invece, dovranno lasciare la casa per far rientro in ufficio. 

Come riporta quifinanza.it, la Lega ha già ribadito lo sblocco, sicuramente per quanto riguarda quei settori che sono autorizzati a ripartire e che quindi possono organizzarsi in funzione di tale obiettivo. 

Per quanto riguarda invece i dipendenti, lo smart working in quanto tale, non è mai stato un diritto. Una necessità appunto, quello sì, dettata dall’emergenza nazionale causata dalla pandemia. Ma venendo a decadere quest’ultima, tutti i lavoratori dovranno rientrare al loro posto di lavoro, con la fine emergenza. 

Ovviamente la regola generale presenta sempre delle eccezioni. 

Ecco nel dettaglio cosa ne sarà degli uni e degli altri. 

Quando finisce stato emergenza Italia 

Ufficialmente la fine emergenza nazionale legata al Covid-19 è fissata per il 31 luglio 2021.

In realtà si vocifera già che tale appuntamento potrebbe non essere confermato e quindi slittare. Tra le diverse ipotesi c'è quella di andare anche oltre l'estate, con una proroga che sembrerebbe necessaria per poter raggiungere l'immunità di gregge, grazie agli effetti benefici della pianificazione vaccinale che avanza. Ma non solo. Infatti l’eventualità di prorogare in modo ulteriore lo stato di emergenza in Italia, avrebbe come obiettivo anche quello di fornire alle aziende il tempo necessario per poter riorganizzare il lavoro post emergenza. 

Come annuncia orizzontescuola.it dobbiamo aspettare i risultati di queste “prove di normalità”

Lo stato di emergenza può essere dichiarato dal Consiglio dei ministri anche come misura preventiva o in caso di “gravi eventi all’estero nei quali la Protezione civile italiana partecipa direttamente”. 

Nel momento in cui scade questo “stato” e si stabilisce la fine emergenza, allora si provvede a emanare un’ordinanza “di chiusura”. Questo al fine di disciplinare e regolare il subentro dell’amministrazione competente in via ordinaria e quindi il ritorno alla normalità. 

Ecco appunto, ciò di cui si resta in attesa è proprio questo rientro alla normalità. Le migliori intenzioni da parte del Governo si muovono nella direzione di stabilire la fine emergenza e tornare, perlomeno da un punto di vista formale, alla situazione che vivevamo prima della comparsa del Covid-19.

“Formalmente” appunto, perché come è facile intuire, nulla sarà come prima. 

Alla lunga si dimentica tutto, è vero. Lo spirito di sopravvivenza ha sempre la meglio, così come la gioia di vivere e la socialità. Ma il nuovo approccio alla scuola, alla formazione e al lavoro ha ormai tracciato un solco che non sarà possibile cancellare. 

Se già l’arrivo di internet, e in via generale del web con tutte le sue opportunità, ha segnato un vero e proprio cambio epocale, col sopraggiungere della pandemia sono saltati all’aria tanti pseudo-equilibri che non potranno più riconquistare il posto d’onore. 

Per quanto riguarda il lavoro ad esempio, basti pensare a tanti mestieri che in maniera inevitabile scompariranno, assistendo contestualmente all’avanzare delle nuove professioni digitali; o alle innovative modalità di lavorare, che tanto hanno funzionato ad esempio nel caso dello smart working. In alcuni casi addirittura, con realtà che hanno deciso di incentivare tale modalità, visto il raggiungimento/superamento degli obiettivi aziendali, probabilmente anche in maniera inaspettata. 

Vediamo più da vicino quale situazione si prospetta per i lavoratori in cassa integrazione e cosa toccherà invece a tutti quelli che per quasi un anno sono rimasti in casa, lavorando in modalità smart working. 

Fine emergenza covid? Si sbloccano i licenziamenti 

Proprio a partire da lunedì 14 giugno, ci saranno nuove regioni d’Italia in zona bianca. Nonostante tutti procedano con i piedi di piombo, è evidente che bisogna iniziare a sbloccare la situazione economica. Perché se è vero che da una parte, i diritti dei lavoratori sono da tutelare, è altrettanto certo che è indispensabile far ripartire le imprese. D'altronde, se queste chiudono in via definitiva, il problema dei licenziamenti non si pone neanche più. 

L'idea del governo dunque è di far ripartire la maggior parte dei settori, cercando invece di mantenere ancora sotto tutela i comparti maggiormente colpiti dalla crisi e non ancora in grado di recuperare terreno. 

Come spiega il sottosegretario leghista al Ministero dell’Economia, Claudio Durigon, in un’intervista a La Repubblica:

Se guardiamo alla cassa integrazione ordinaria, che scade a giugno, ci sono circa 140 mila lavoratori della moda e del tessile tra i 480 mila totali. Questo è un settore che, dati i numeri della Cig andrebbe protetto, sul resto abbiamo cifre che ci permettono di reggere. Sblocchiamo i licenziamenti, e facciamo una norma specifica per i settori in crisi forte, con quote di Cig del 30, del 40%.  

D'altronde, viene da riflettere, eccezion fatta appunto per i lavoratori del tessile e poche altre categorie, ci sono comunque buone ragioni per credere che lo sblocco dei licenziamenti, con la fine emergenza da Covid-19, non debba per forza avere un impatto così drammatico. Infatti è pur vero che, nonostante le mille difficoltà e chiusure, togliere il divieto non significa automaticamente che tutti gli imprenditori licenzieranno i loro dipendenti. 

Finisce emergenza nazionale: addio smart working 

La fine dello stato d’emergenza fissata al 31 luglio, appunto, fa decadere tutte le norme che, fino a oggi e da oltre un anno a questa parte, hanno consentito a milioni di dipendenti di lavorare in modalità smart working. Vale a dire, lo ricordiamo come da definizione Wikipedia, il lavoro agile ovvero 

una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. 

In realtà la Pubblica amministrazione aveva già provveduto, con il decreto di fine aprile, a cancellare l’obbligo del lavoro da remoto per la metà degli impiegati pubblici.  

Ma come già sottolineato, nonché confermato da esperti del settore e consulenti del lavoro, l’esperienza dello smart working e, in via generale, del lavoro da poter svolgere da remoto (quindi anche per i freelancer, che sono in aumento), non potrà sparire nel nulla né lasciata nel dimenticatoio. 

Cosa cambierà? Vediamo le possibili prospettive. 

Analizziamo i differenti scenari possibili, a seconda che si tratti di lavoratori dipendenti del settore privato oppure del settore pubblico. 

Fine emergenza: lavoratori dipendenti settore privato 

Per tutti i soggetti interessati, le attività in presenza riprenderanno a partire dal 1° agosto 2021. Questa è la regola generale, per quanto in casi specifici, sia possibile ancora richiedere di rimanere in smart working.

In tal caso, la legge a cui fare riferimento è la 81 del 2017. 

Infatti, una volta decretata la fine emergenza covid, l’accordo è giustificato solo se scritto e concordato tra datore di lavoro e dipendente.

Infatti cambieranno alcune regole: se fino a questo momento, in stato di emergenza per l’appunto, i lavoratori si sono ritrovati chiusi in casa a lavorare utilizzando il pc personale, da questo momento in poi sarà l’azienda a dover fornire tutta la strumentazione tecnologica necessaria. Ovviamente il buonsenso deve sempre prevalere e la norma risulta comunque flessibile sotto diversi aspetti. Ad esempio, si può trovare un compromesso stabilendo che il dipendente può continuare a utilizzare i propri dispositivi, prevedendo però una indennità economica in cambio. 

Restano comunque inalienabili alcuni diritti basilari del lavoratore, come l'ormai noto “diritto alla disconnessione”, dal momento che lavorando da casa al pc, si ha sempre la tentazione –o il senso del dovere a volte- di controllare che non siano arrivate nuove e-mail o messaggi che necessitino di urgente risposta. 

Fine emergenza: lavoratori dipendenti settore pubblico 

Per quanto riguarda la Pubblica amministrazione abbiamo già rimarcato quale sia la regola generale stabilita dalla fine del mese di aprile a oggi. Il ministero della funzione pubblica ha inoltre specificato che i lavoratori collocati in ufficio potranno comunque ricorrere al lavoro agile, purché nel rispetto di alcune specifiche condizioni.  

Da una parte non devono sussistere dubbi sul fatto che la modalità smart working assicuri sempre la regolarità, continuità ed efficienza dei servizi che sono rivolti a cittadini e imprese. 

Quindi non sussistono particolari differenze con il settore privato, alla fine dei conti. Infatti tutto dipende da quella che è l’organizzazione interna degli uffici. E a ogni modo, questo insieme di regole provvisorie rimarrà in vigore fino al rinnovo dei contratti e comunque fino alla fine dell’anno 2021. 

Fine emergenza 31 luglio: è possibile richiamare il lavoratore in anticipo? 

Da un punto di vista formale, l’emergenza non è finita. Però la curva dei contagi fortunatamente è in calo e l’Italia potrebbe, a questo passo, aspirare a diventare un’unica zona bianca. Motivo per cui un datore di lavoro potrebbe anche richiamare in sede i dipendenti, prima della scadenza di tale termine.  

È lecito. 

Infatti anche in fase di lockdown, la fase più dura della pandemia che abbiamo attraversato da marzo a maggio 2020, lo smart working non è mai stato un diritto, come abbiamo avuto modo di sottolineare. 

Ovviamente anche in questo caso sono previste delle eccezioni, nella fattispecie per quanto riguarda i lavoratori immunodepressi, i malati oncologici o che comunque devono osservare una terapia salvavita nonché tutti i genitori che hanno figli minori di 14 anni sottoposti a quarantena.