Jobs Act in breve: 5 cose da sapere sulla riforma lavoro!

La nota riforma del lavoro Jobs Act ha fatto molto parlare di sé negli ultimi anni. Ecco cosa sapere e quali sono le novità introdotte.

Molto spesso abbiamo sentito parlare di Jobs Act, ossia la riforma del lavoro fortemente voluta dal Governo Renzi. Il suo obiettivo è stato quello di rinnovare il materiale legislativo riguardante il mondo del lavoro e ridurre l’alto tasso di disoccupazione incentivando le imprese ad assumere nuovi lavoratori.

Come indicato all’interno del Corriere della Sera in riferimento agli effetti che ha avuto l’introduzione di questa nuova normativa:

Un’indagine sul Veneto subito dopo l’approvazione della riforma del governo Renzi Conferma l’incremento dei posti di lavoro grazie alla decontribuzione. Ma rivela che ben l’8% delle assunzioni è dovuto alle norme più facili per chiudere i rapporti di lavoro

Vi sono, quindi, delle opinioni contrastanti sul fatto che il Jobs Act abbia portato dei rinnovamenti all’interno della legislazione in materia di lavoro.

I settori e i lavoratori interessati da queste modifiche sono stati molti. Vediamo all’interno di questo articolo che cosa si intende esattamente per Jobs Act e quali sono stati i cambiamenti introdotti dai vari decreti.

Che cos’è il Jobs Act?

Jobs Act sta per “Jumpstart Our Business Startups Act” e si tratta di un termine comunemente utilizzato in America (prima volta nel 2012) per riferirsi ad un intervento legislativo di ampio raggio volto a favorire le piccole imprese.

In Italia, tale terminologia è stata adottata per indicare la riforma del diritto del lavoro fortemente voluto e poi portata a compimento dal Governo Renzi tra il 2014 e il 2015.

Le principali novità introdotte da tale riforma sono stati i contratti a tutele crescenti e l’abolizione del tanto discusso articolo 18 che prevedeva il reintegro del lavoratore all’interno di un’azienda nel caso in cui fosse stato licenziato in modo illegittimo.

Tuttavia, quest’ultimo punto è stato oggetto di una bocciatura da parte della Corte Costituzionale che, il 26 settembre 2018, è stata dichiarata illegittima.

Cosa prevede il Jobs Act?

Il Jobs Act ha coinvolto numerose tematiche che fanno riferimento al mondo del lavoro: contratti, welfare, pensioni e ammortizzatori sociali.

I punti più importanti contenuti all’interno del Jobs Act riguardano:

  • Il contratto a tutele crescenti a tempo indeterminato che prevede degli incentivi economici a favore dell’azienda;
  • Un rafforzamento dell’alternanza scuola lavoro e di altri contratti parasubordinati;
  • Ampliamento degli ammortizzatori sociali anche ad altre forme di contratto che in precedenza non ne potevano usufruire;
  • Semplificazione dell’inserimento nel mondo del lavoro di persone affette da disabilità allo scopo di favorire le pari opportunità;
  • Istituzione dell’Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro);
  • Semplificazione dell’attività ispettiva;
  • Miglioramento delle condizioni degli ammortizzatori sociali.

Per avere ulteriori informazioni riguardo al contratto a tutele crescenti, consigliamo di visionare il seguente video pubblicato sul canale YouTube di The Adecco Group Italy:

Jobs Act: quando è entrato in vigore?

La riforma del Jobs Act è stata, come più volte affermato, fortemente voluta dal Governo Renzi ed è stata realizzata tra il 2014 e il 2015 con la sua entrata in vigore ufficiale avvenuta il 7 marzo 2015.

Chi rientra nel Jobs Act?

La nuova normativa introdotta dal Jobs Act si applica a tutti i contratti a tempo indeterminato che sono stato concretizzati a partire dalla data di entrata in vigore della nuova normativa, ossia il 7 marzo 2015. In particolare, sono interessati i dipendenti che ricoprono le posizioni di operaio, impiegato e quadro.

Non sono interessati da quanto previsto all’interno del Jobs Act i dirigenti e coloro che sono assunti con un contratto a tempo determinato o a termine.

Anche chi è stato assunto a tempo indeterminato in una data precedente all’entrata in vigore del decreto, non è interessato dalla sua nuova normativa in quanto non è retroattivo. 

Per queste ultime categorie di lavorativo, si continuano ad applicare le norme previste dalla Legge Fornero.

Quali sono le riforme del Jobs Act?

Le riforme contenute all’interno del Jobs Act promuovono l’accensione di contratti stabili, ossia tramite la forma dei contratti a tempo indeterminato con tutele crescenti. Queste forme contrattuali, infatti, vengono rese più convenienti per le aziende introducendo degli sgravi fiscali e riduzione di oneri diretti e indiretti.

Viene, inoltre, riformata la materia per quanto riguarda i licenziamenti e il reintegro. In questo caso, un lavoratore licenziato assunto con contratto a tutele crescenti può richiedere il reintegro all’azienda solo se il licenziamento è avvenuto per una motivazione discriminatoria o disciplinare. In questo secondo caso, ricade sul lavoratore l’onere di dimostrare che la motivazione disciplinare non sussiste.

Se, invece, il licenziamento avviene per una motivazione disciplinare motivata o per motivi economici, il reintegro viene sostituito da un indennizzo in denaro il cui importo sarà determinato in base all’anzianità del dipendente in azienda.

Il Jobs Act ha riformato anche gli ammortizzatori sociali. In particolare, ha stabilito che l’aiuto sociale in caso di perdita del lavoro viene erogato in base alla storia contributiva della persona che ha perso il lavoro. Inoltre, sono stati introdotti ulteriori ammortizzatori a favore di tipologie di contratto che, in precedenza, non erano coperte da alcun aiuto: Naspi e Dis-Coll.

In particolare, la Dis-Coll è un’indennità di disoccupazione specifica per i collaboratori.

Sempre in tema di ammortizzatori sociali, grazie al Jobs Act, la cassa integrazione ora è possibile attivarla nel caso in cui l’attività aziendale venga cessata in modo definitivo.

La riforma ha, inoltre, previsto maggiori tutele per quanto riguarda la maternità ed, in particolare, una migliore flessibilità in tema di congedo obbligatorio di cui tutte le future mamme hanno diritto.

Inoltre, il congedo parentale non retribuito è stato esteso fino all’età di 12 anni. In precedenza, era previsto solo per i bambini fino agli 8 anni di età.

Altra novità introdotta per le neo mamme è la possibilità di richiedere, in alternativa al congedo parentale, la possibilità di richiedere il cambio dell’orario di lavoro da full time a part time.

Prima dell’entrata in vigore del nuovo decreto, vi erano davvero decine e decine di tipologie di contratti diverse. Il Jobs Act ha abolito quelle forme di contratto più precarie e penalizzanti come i Co.Co.Pro.

Sono, invece, rimasti in vigore i contratti di apprendistato, i contratti a termine senza causale e le partite IVA.

Per quanto riguarda i contratti a termine senza causale, il decreto ha previsto un limite alla possibile proroga: fino a 5 volte per un massimo di 36 mesi.

Sono state, inoltre, introdotte delle deroghe per quanto riguarda il demansionamento dei lavoratori. Esso è possibile nel caso di riorganizzazione aziendali oppure se tale procedura è prevista all’interno dei propri contratti collettivi o aziendali.

Tra gli altri obiettivi presenti all’interno del Jobs Act vi è la semplificazione per agevolare gli adempimenti che cittadini e imprese devono effettuare in ambito lavorativo. A tale scopo, il decreto introduce l’incentivazione della modalità telematica.

Ad esempio, al fine di abolire completamente le dimissioni in bianco, il decreto stabilisce che le dimissioni, dal momento della sua entrata in vigore, devono essere presentate esclusivamente per via telematica tramite l’apposita procedura messa in atto dal Ministero del Lavoro.

Infine, per quanto riguarda i controlli a distanza, le aziende possono dotare i propri dipendenti di strumenti tecnologici come tablet e smartphone, ma con l’obbligo di informare i dipendenti sulle modalità del loro utilizza e sui controlli da loro effettuati ovviamente nel rispetto della privacy individuale.

Cosa prevede il Jobs Act in caso di licenziamento?

Una parte molto importante all’interno del Jobs Act riguarda la sezione relativa al reintegro in caso di licenziamento.

In particolare tale riforma ha introdotto una netta differenza tra i lavoratori che sono stati assunti a tempo indeterminato con la vecchia tipologia di contratti e quelli assunti con il contratto a tutele crescenti introdotto dalla nuova normativa del 2015.

Si fa riferimento in modo particolare all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (legge numero 300 del 1970) in cui il reintegro nella propria posizione lavorativa era possibile richiederlo nel caso fosse stato operato un licenziamento illegittimo.

Con quanto stabilito all’interno del Jobs Act, il reintegro può essere richiesto solo se il licenziamento è avvenuto per motivi discriminatori oppure disciplinari (con prova della mancata sussistenza dell’accusa disciplinare a carico del lavoratore).

In tutti gli altri casi, nel caso di assunzione con contratto a tutele crescenti, spetterebbe solamente un indennizzo calcolato sulla base della propria anzianità in azienda.

Tale regolamentazione, però, è stata impugnata grazie alla sentenza della Corte Costituzionale numero 194 del 25 settembre – 8 novembre 2018, la quale ha ritenuto tale norma illegittima.

In caso di licenziamento avvenuto a seguito di discriminazioni, in forma orale o nullo si ha sempre diritto al reintegro e a un’indennità in base all’ultima retribuzione ricevuta con un minimo di cinque mensilità, come stabilito dall’articolo 2 del Decreto Legislativo numero 23 del 2015.

In caso di licenziamento per giusta causa, se il lavoratore dimostra che non sussiste quando contestato dal datore di lavoro, si ha diritto a un indennizzo economico di importo non superiore alle 12 mensilità, oltre che alla reintegrazione in azienda.

Per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, invece, è stata confermata l’abolizione della possibilità di richiedere il reintegro, ma viene assicurata un’indennità di tipo economico a titolo di risarcimento.

Il calcolo dell’importo che l’azienda dovrà corrispondere è abbastanza articolato. Si tratta di un importo pari a due mensilità per ogni anno di servizio. Vi sono anche qui dei limiti: non deve essere inferiore a sei mensilità o superiore a 36.

Tale disciplina è definita all’interno dell’articolo numero 3, primo comma, come modificato dal Decreto Legge numero 87 del 2018, anche detto Decreto Dignità.

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