Lavoro: boom di dimissioni tra i giovani!

Lavoro: boom di dimissioni tra i giovani! Sono sempre di più quelli che si stanno dimettendo in massa alla ricerca di posti di lavoro migliori!

Non c’è dubbio che quello che stiamo vivendo sicuramente è un momento storico del tutto particolare, che è caratterizzato da profondi cambiamenti in tutti gli aspetti della nostra vita personale, sociale e lavorativa.

Complice certamente la crisi esplosa a seguito del Coronavirus, le abitudini e gli stili di vita sono drasticamente modificati e anche il concetto di lavoro, inteso sia come competenze necessarie, che proprio spazio fisico nel quale organizzare la stessa attività, sono stati ripensati nel profondo.

Non c’è dubbio che negli ultimi mesi quello che a cui assiste è sicuramente una tendenza che sta prendendo sempre più forza e che sta interessando le generazioni più giovani che si stanno dimettendo in massa alla ricerca di posti di lavoro migliori.

È quella che negli Stati Uniti è stata già ridenominata la “Great Resignation”, ovvero l’ondata di dimissioni in massa dal lavoro, e che adesso sta prendendo sempre più piede anche in Italia.

Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.

Lavoro, giovani e dimissioni

Il fenomeno della “Great Resignation” è qualcosa che dunque sta diventando sempre più concreto anche in Italia, dove una fetta sempre più grande della giovane generazione, sta rassegnando le proprie dimissioni per poter cercare e sperare in un’occupazione migliore.

In effetti non c’è tema di smentita nel dire che a questa spinta di novità, di voglia di cambiamento, sicuramente il periodo di chiusura forzata imposta dal Covid, abbia dato un impulso notevole.

Chiusi in casa, costretti ad un immobilismo forzato, molti hanno in un certo senso ristabilito la lista delle cose davvero importanti della propria vita, le priorità fondamentali necessarie a vivere un’esistenza che fosse a pieno soddisfacente, e molti giovani hanno finito per rimettere in discussione il proprio lavoro considerato dalla maggior parte comunque non completamente appagante dei propri desideri e aspettative.

Da queste considerazioni sono quindi scaturite tutte le dimissioni a cui oggi noi assistiamo, i giovani hanno voglia di riprendere in mano la propria vita e di viverla secondo degli standard qualitativi che siano decisamente migliori rispetto a quelli fino ad ora percepiti.

Il desiderio alla base di tutto, è quello di arrivare a trovare un’occupazione che, nel rispetto delle proprie inclinazioni e attitudini, possa consentire una qualità di vita migliore con un giusto e adeguato equilibrio tra vita privata e vita lavorativa.

Il che comporta abbandonare posti di lavoro frustranti e mal pagati, e cercare di rivolgersi ad aziende che siano più skill-oriented e che siano caratterizzate da un approccio più innovativo al mercato del lavoro in generale.

Ecco perché in questo senso una grande movimentazione dal punto di vista del capitale umano si è riscontrata, nel corso degli ultimi mesi, in aziende del settore informatico e digitale, del settore della produzione, del marketing e commerciale, che sono quelli che ad oggi stanno facendo registrare anche un numero più alto di assunzioni.

Per chi fosse interessato un video tratto dal canale Marco Crepaldi – YouTube, offre spunti interessanti sul tema.

Lavoro e dimissioni quando è cominciato il fenomeno

In effetti che le cose stessero cambiano era nell’aria.

Come sempre accade, venti di cambiamento spiravano già dall’altra parte della costa dell’Atlantico dove, negli Stati Uniti, lo scorso autunno un articolo apparso sulla Harvard business review dal titolo abbastanza evocativo “Who Is Driving the Great Resignation”, si metteva in luce un fenomeno completamente nuovo e mai registrato fino a quel momento soprattutto in relazioni alle proporzioni che lo stesso stava assumendo.

L’articolo faceva espressamente riferimento ad aumento davvero significativo nel numero delle dimissioni con una particolarità però, che questo aumento riguardava più specificatamente le generazioni più giovani.

Lavoro e dimissioni: analisi del fenomeno Usa

Nello specifico l’articolo metteva in evidenza tre aspetti fondamentali, il primo lo abbiamo appena sopra menzionato, ossia che le dimissioni in massa riguardavano prevalentemente i più giovani.

Il secondo aspetto messo in risalto è che questa tendenza si stava consolidando soprattutto nel periodo post covid, ovvero nel momento in cui si stavano maggiormente allentando le restrizioni imposte dalla crisi pandemica, e il terzo aspetto, forse più significativo, è che l’aumento in massa delle dimissioni, avveniva in un momento in cui invece le aziende cercavano personale e per questo erano disposte ad assumerlo pagando anche salari più alti.

Può sembrare davvero una situazione paradossale, tuttavia a sostegno di quanto scritto, l’autore dell’articolo stesso, riporta quanto segue:

 “Nel luglio 2021 quattro milioni di americani hanno deciso di lasciare il lavoro. Le dimissioni sono state molte anche nei mesi precedenti, raggiungendo in totale 10,9 milioni di posti di lavoro alla fine di luglio”.

Bisogna considerare che i dati potevano considerarsi più che significati essendo stato l’articolo scritto a seguito di un’indagine condotta su oltre nove milioni di lavoratori di più di 4 mila aziende che svolgevano attività in diversi settori, con diverse funzioni e anche con diversi livelli di esperienza.

I risultati dell’indagine hanno espressamente dimostrato che, coloro che hanno lasciato il posto di lavoro, sono principalmente dipendenti appartenenti alla fascia di età 30-45 anni.

Un analogo studio, sempre in relazione alla realtà americana, è stato condotto più recentemente nel settembre del 2021 e la tendenza che si era evidenziata in precedenza non ha mostrato alcun tipo di flessione, anzi semmai conferma addirittura un rafforzamento raggiungendo davvero cifre da record.

I dati del nuovo articolo riportano che, nel solo periodo compreso tra maggio e settembre dello scorso anno, le dimissioni hanno riguardato più di 20 milioni di lavoratori occupati principalmente nei settori dell’ospitalità e del tempo libero, dove si sono registrate anche una percentuale di dimissioni completamente volontarie pari al 6,4%.

Lavoro e dimissioni volontarie: i motivi alla base della scelta

Sulla portata di un fenomeno che ha assunto in breve tempo delle proporzioni così ampie, è ovvio che ci si è a lungo interrogati, cercando di trovare quelle che sono delle ragioni più che plausibili che possano giustificare una scelta così drastica.

Fra tutte le motivazioni che si sono analizzate, quella che sicuramente ha fornito la leva maggiore al cambiamento, è stata quella di natura prettamente personale.

Si cambia lavoro per trovare condizioni migliori, migliori prospettive di crescita e soprattutto un più equilibrato rapporto tra vita personale e lavorativa.

A questo desiderio di cambiamento, che magari prima era solo latente, sicuramente un grande impulso lo ha dato la pandemia e tutti gli strascichi che questa ha portato con sé.

Una fra tutte la cosiddetta sindrome da burnout, che si genera quando si è in presenza di un ambiente di lavoro in cui si lavora in condizioni stressanti e logoranti dal punto di vista psicofisico.

Un po’ quello che si sono trovati a vivere tutti gli operatori sanitari durante la fase più acuta della crisi pandemica, e purtuttavia si deve dire che questo non basta a giustificare da solo l’intero fenomeno.

Un alto numero di dimissioni si sono avute anche in settori dove il burnout non è stato particolarmente inasprito dalla crisi, come in generale quelli della tecnologia e dell’informatica, pertanto le ragioni alla base del fenomeno risiedono sicuramente anche altrove.

In questo secondo caso, nello specifico, sono stati invece i settori che con la crisi hanno avuto forse l’andamento più positivo, ecco perché il numero alto di dimissioni è da collegare sicuramente nella volontà di ricercare migliori condizioni di lavoro, con migliori compensi, autonomia e flessibilità anche proprio nella gestione degli orari della giornata lavorativa.

Lavoro dimissioni e situazione in Italia

Se quello di cui fino ad ora abbiamo dissertato è la situazione che si registra negli Stati Uniti, una disamina richiede necessariamente anche lo stato dell’arte di quella che è la situazione nel mostro paese.

E se da un lato Atene piange, sicuramente da quest’altro neanche Sparta ride, nel senso che neanche in Italia la situazione è migliore.

I dati che si hanno a diposizione si riferiscono tutti al secondo trimestre dello scorso anno, e tutti ci parlano di un aumento importante nel numero delle dimissioni da parte dei lavoratori.

Aumento che si configura nell’ordine del 37% se ci riferiamo ai dati del precedente trimestre del 2021, che sale addirittura all’85% se facciamo un parallelo con il secondo trimestre, ma del 2020.

Questi sono dati reali e attendibili che sono stati empiricamente verificati; qualunque proiezione sul futuro ovviamente per poter essere attendibile richiede l’analisi di un campione decisamente più ampio.

Ad ogni modo considerando i dati dell’Aidp (dell’Associazione nazionale della direzione del personale) si possono fare delle considerazioni interessanti riguardo il fenomeno delle dimissioni dal lavoro da parte dei giovani.

Nello specifico i dati dell’associazione riferiscono che per il 2021, soprattutto nei primi mesi dell’anno, i lavoratori con contratto a tempo indeterminato che hanno deciso di abbandonare il lavoro, sono stati circa 770 mila, la maggior parte dei quali nella fascia 26-35 anni, immediatamente seguiti da coloro che sono nella fascia 36-45 anni.

La motivazione principale al cambiamento, alla stessa stregua dei giovani americani, è il desiderio di migliorare la propria condizione di lavoro per il 48% degli intervistati, seguita da quella di trovare condizioni più favorevoli, dichiarata invece dal 47% degli intervistati.

Corposa anche la percentuale di coloro che desiderano cambiare lavoro per riequilibrare il rapporto tra vita privata e vita lavorativa pari al 41%, mentre solo il 38% delle persone dichiara che il desiderio di cambiamento è spinto da ambizioni legate a miglioramenti di carriera.

L’aspetto interessante di questa grande “Great Resignation” all’italiana, è che comunque circa il 25% dei lavoratori, ossia 1 lavoratore su 4, si dimette per dare un nuovo senso alla propria vita, e che il 20% degli stessi decide di cambiare per il clima negativo interno all’azienda, indicativo del fatto che il Covid ha senza dubbio potato ad un ripensamento complessivo e profondo delle priorità nella vita delle persone, specie nelle generazioni più giovani.

Lavoro e dimissioni: settori più colpiti

Analizzando invece i settori che sono stati maggiormente toccati da questa grande fuga, la stessa indagine dimostra quanto segue.

In testa ai settori che hanno avuto il maggior numero di dimissione si collocano quello informatico e digitale con una percentuale pari al 32%, seguito da quello della produzione con una percentuale del 28%, ed infine il settore del marketing e del commerciale, dove le dimissioni hanno raggiunto una percentuale del 27%.

Il fenomeno è stato così lento quanto in progressivo aumento, che circa il 75% delle aziende ha dichiarato di essere stata completamente colta di sorpresa riguardo questo alto numero di dimissioni e che il 60% di queste si trovano a dover fronteggiare direttamente questo fenomeno.

Relativamente poi al campione oggetto dell’indagine dell’associazione, i dati dicono che per una percentuale pari al 70%, sono soprattutto i giovani di entrò compresa tra i 26 e i 35 anni quelli che maggiormente decidono di cambiare lavoro, seguiti immediatamente dopo da quelli che sono nella fascia 36-45 anni.

Questo a riconferma del fatto che il fenomeno della “Great Resignation”, ovvero delle dimissioni di massa, è una tendenza che si è consolidata nel tempo e che ha riguardato soprattutto i lavoratori più giovani.

Lavoro, dimissioni e reazioni delle aziende

Abbiamo sopra detto che circa il 75% delle aziende oggetto del campione d’indagine, si è dichiarata completamente presa alla sprovvista da questa crescente tendenza, e che il 60% delle stesse invece, sta fronteggiando direttamente il fenomeno. Il fatto a questo punto è come le stesse aziende si comportano di fronte a questo tipo di scelte.

L’88% delle aziende campione dichiara che non ha elaborato nessun piano che possa in qualche modo incentivare i lavoratori all’esodo, mentre il restante 12% dichiara di averne anche strutturati come prepensionamenti.

Relativamente alle effettive possibilità poi di cercare nuovo personale da inserire nell’organico a seguito delle fuoriuscite per dimissioni, le aziende hanno dichiarato che per il 55% ricorrono principalmente ad assunzioni con contratti a tempo determinato o indeterminato, il 25% delle aziende ne sta approfittando per riorganizzare i processi produttivi, e solo una percentuale decisamente più bassa, pari al 15% sta rimanendo in attesa per capire la portata e l’importanza del fenomeno.

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