Lavoro, dati ISTAT: a luglio -23 mila occupati

L'occupazione a luglio ha subito un leggero calo dopo i dati straordinari degli ultimi mesi. A subire il calo peggiore sono stati i lavoratori autonomi, mentre crescono i dipendenti anche senza il blocco dei licenziamenti. Mentre l'Italia registra una crescita record del pil, il mercato del lavoro stenta a stare al passo e non ha ancora raggiunto i livelli pre Covid-19.

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È cominciata la ripresa post Covid-19. Tutti i dati puntano in quella direzione, il pil schizzato del 17,3% sull’anno precedente a luglio, la produzione industriale che ha ormai sorpassato i livelli del 2019. Soltanto un dato stona con tutto il quadro positivo che accompagna la seconda metà di questo 2021. 

L’Istat istituto di statistica che monitora l’andamento di qualsiasi dato che possa dipingere economia e società italiane, ha diffuso le cifre dell’andamento dell’occupazione. E oltre al dato più ovvio, quel -23 mila unità sul mese pretendete, che va letto con tutte le cautele, rivela una realtà complessa, che permette riflessioni non solo sul mondo del lavoro, ma anche sulle norme che negli ultimi anni quel mercato hanno tentato di regolarlo. 

Mentre il paese si prepara alla ripartenza, tra le incertezze legate al Green Pass, all’obbligo vaccinale e alla terza dosa, il mercato del lavoro si evolve, modificato dalle spinte della pandemia. Più dipendenti, meno autonomi e un futuro ancora incerto. 

Lavoro, i numeri della ripresa italiana 

L’economia italiana si sta riprendendo. Dopo il durissimo colpo inflitto dalle misure restrittive che il  secondo governo Conte si era trovato costretto ad applicare per limitare il diffondersi del coronavirus, il pil del nostro paese è tornato a crescere. 

I dati Istat parlano di uno straordinario aumento del 17,3% su base annua. È il dato più alto dall’inizio delle serie storiche, quindi dal 1995. Nel solo secondo trimestre del 2021 il prodotto interno lordo italiano è cresciuto del 2,7%, superando anche le stime più ottimiste. Lo stesso governo nel documento di economia e finanza di aprile aveva ipotizzato una crescita per l’interno 2021 del 4%. I dati però sembrano assicurare almeno un 5%, se non addirittura il 6%.

Il dato diventa ancora più significativo se lo si paragona con gli altri paesi europei ed extraeuropei. L’Italia si attesta dietro al Regno Unito per crescita del pil, davanti a quella che di solito è la locomotiva d’Europa, la Germania. Inoltre è una delle poche economie a far segnare due trimestri positivi di fila. 

Importanza fondamentale nel sostenere questa crescita l’avrà la campagna vaccinale. Secondo il Fondo Monetario Internazionale infatti sarà proprio la possibilità di rimuovere più restrizioni possibili, permessa dal diffondersi dei vaccini, a segnare la differenza tra i paesi che trasformeranno il rimbalzo post Covid-19 in una crescita strutturale e quelli che invece faticheranno a riprendersi. 

Lavoro, occupati, disoccupati, inattivi. Capire i dati

A seguito dei dati sulla crescita economica l’Istat ha pubblicato quelli sull’occupazione di luglio. Su base mensile, quindi rispetto a giugno, ci sono 23 mila persone che lavorano in meno. A livello percentuale è una diminuzione poco rilevante, solo lo 0,1%, ma può comunque portare della confusione quando le si aggiunge un altro dato. Il tasso di disoccupazione è rimasto stabile. 

All’apparenza questo dato non ha senso. Per capirlo bisogna specificare che la popolazione non si divide tra occupati e disoccupati. Esiste una terza categoria, gli inattivi. Queste persone non solo non lavorano, esattamente come i disoccupati, ma non stanno nemmeno cercando lavoro. Con un calo anche tra i disoccupati, di 29 mila unità, sono proprio gli inattivi a crescere, raggiungendo un tasso del 35,5%. 

Su base annua comunque i dati sono straordinariamente positivi. Il disastro del 2020 sta venendo lentamente riassorbito dal mercato del lavoro, con una diminuzione degli inattivi di 484 mila unità, mentre i disoccupati calano 173 mila, quasi il 7% in meno.

Il report Istat sottolinea però come non siamo ancora tornati ai livelli del 2019, prima che scoppiasse la pandemia: “ […] non si è ancora tornati ai livelli pre-pandemia (febbraio 2020): il numero di occupati è inferiore di oltre 260 mila unità, il tasso di occupazione e quello di disoccupazione rimangono più bassi, mentre il tasso di inattività è superiore di 0,7 punti”.

Anche su base trimestrale si verifica un andamento positivo dei dati. Il tasso di occupazione sale dell’1,4%, che significa che 317 mila persone in più hanno trovato lavoro tra maggio, giugno e luglio 2021 rispetto al trimestre precedente. 

Lavoro, una crescita a termine

Le valutazioni più interessanti sui dati Istat relativi al lavoro si possono fare però scorporandoli per tipo di contratti. L’istituto di statistica ha infatti fornito un rapporto dettagliato sulla situazione di dipendenti, a termine e a tempo indeterminato e lavoratori autonomi. 

Sono i primi a trainare la ripresa dell’occupazione italiana. Questo trend conferma quanto visto prima della pandemia. Fin dal 2019 infatti sono i dipendenti a tempo determinato a sostenere l’occupazione italiana. I dati parlano chiaro, nell’ultimo anno sono stati 440 mila i nuovi lavoratori dipendenti assunti dalle aziende italiane, +2% sul 2020. 

Di questi solo 127 mila con contratti a tempo indeterminato, comunque un +0,8% su base annua. Ma sono i lavoratori con contratti a termine a farla da padroni: +377 mila unità in un anno, una crescita che si attesta attorno al +14,4%. La precarietà è quindi una realtà sempre più diffusa nel nostro paese, e molti economisti hanno sottolineato come questa fase sia inevitabile almeno nel primo periodo della ripresa. 

Lavoro, la crisi dei lavoratori autonomi

Visto che i dati mensili registrano una stagnazione dell’occupazione, se qualcuno sale deve esserci per forza una categoria in sofferenza, dove si registra un calo degli occupati. È il caso dei lavoratori autonomi, che si sono dimostrati i più colpiti dalla pandemia. 

Professionisti e collaboratori hanno registrato un calo mensile del tasso di occupazione del 1,2%, pari a 67 mila unità. Su base annua poi il dato si palesa come una tendenza di medio-lungo periodo. Dall’inizio della pandemia infatti i lavoratori che hanno abbandonato la categoria degli autonomi sono stati quasi 300 mila. 

Un’analisi più qualitativa del dato la fornisce Andrea Garnero economista del lavoro presso la Direzione per l'Occupazione, il Lavoro e gli Affari Sociali dell’OCSE: "il crollo degli autonomi va avanti da trent’anni e con la pandemia ha coinvolto non solo gli autonomi datori di lavoro ma le partite iva vere, i professionisti giovani, i consulenti delle aziende che ora hanno tagliato le spese”.

Nonostante quindi da inizio anno gli occupati abbiano fatto registrare un aumento di più di mezzo milione di unità, la pandemia ha accelerato un processo di lungo periodo che ha ridotto il numero dei lavoratori autonomi in Italia, scesi ormai sotto la soglia dei 5 milioni

Lavoro, gli effetti del blocco dei licenziamenti

Una delle norme più volute dal secondo governo Conte durante i duri mesi di pandemia è stata il blocco dei licenziamenti. La legge ha impedito alle aziende, per tutta la durata delle restrizioni, di porre fine a rapporti di lavoro a tempo indeterminato. L’obbiettivo era quello di limitare l’impatto che l’inevitabile crisi economica avrebbe avuto sui lavoratori dipendenti, ma da subito si sono alzate alcune voci perplesse. 

Con il passare dei mesi pandemici infatti è stato facile notare come il calo dell’occupazione in Italia fosse in linea con la media europea. Se a questo dato si aggiunge che nessun paese d’Europa ha assunto norme simili al blocco dei licenziamenti, sembrava evidente che la legge non avesse avuto l’effetto sperato. Invece di licenziare, le aziende stavano evitando di rinnovare i contratti a termine. 

Nonostante questo quando il governo presieduto da Mario Draghi ha iniziato nei mesi scorsi a parlare della fine del blocco dei licenziamenti, tutta una parte della politica e dei sindacati ha protestato, paventando una possibile catastrofe occupazionale. Il governo ha in parte ascoltato queste istanze, e ha rimosso il blocco solo per le aziende manifatturiere e dell’edilizia. Questi dati Istat sul lavoro sono i primi dalla fine del blocco dei licenzianti, avvenuta il 31 giugno, e sembrano confermare la tesi degli scettici. 

Come abbiamo visto infatti, l’occupazione è rimasta pressoché stabile. Non solo, ma proprio i lavoratori dipendenti, che erano quelli protetti dal blocco dei licenziamenti e che avrebbero dovuto soffrire della sua rimozione, sono aumentati. Sia quelli a termine, in un certo senso riassunti dopo essere stati lasciati andare nei mesi precedenti, sia quelli a tempo indeterminato. 

Lavoro, ancora lontani dai dati pre Covid-19

In ultimo uno sguardo al termine di paragone a cui questi dati più si rifanno. Quel febbraio 2020, che è stato l’ultimo mese di normalità prima che al pandemia sconvolgesse il mercato del lavoro, insieme alle vite di milioni di italiani. 

È evidente che il lavoro in Italia è in fase di ripresa, 550 mila nuovi occupati nel solo 2021 testimoniano che le aziende stanno assumendo ad un ritmo molto elevato. Rimane però una criticità molto chiara: si tratta ancora di un semplice rimbalzo. 

Rispetto al febbraio del 2020 infatti gli occupati in Italia registrano ancora un -0,7%. Ci sono ancora 260 mila persone che non hanno ripreso a lavorare, dopo che la pandemia li ha costretti alla disoccupazione. Ogni dato positivo riguardo l’occupazione va quindi visto sotto questa luce. Si tratta di un doveroso recupero, una semplice risalita dovuta al disastroso picco verso il basso registrato durante tutto il 2020. 

Se l’economia e la produzione industriale stanno ormai superando i livelli pre Covid-19, dimostrando che per l’Italia c’è spazio per ricominciare a crescere, il mercato del lavoro è rimasto indietro. Gli effetti della pandemia sono ancora sensibili, soprattutto per i lavoratori autonomi, e il futuro, dato anche il rallentamento registrato su base mensile, rimane incerto.