La ricerca di un lavoro passa anche attraverso risorse sorprendenti ma non così inimaginabili, il lavoro passa dalla lingua. Quali sono le lingue che potrebbero avvantaggiare la ricerca di un lavoro e quindi decretarne il successo? La lingua è fattore essenziale, un asso nella manica nella spasmodica ricerca di una occupazione e di un primo lavoro?
Le conseguenza dell’uso della lingua non sono del tutto indifferenti, tutt’altro.
La lingua ha rilevanza sociale, cognitiva ed anche economica.
In tanti si son chiesti quale sia il valore economico della nostra lingua, quanto influisca sul mondo del lavoro, quanto valga sul mercato l’italiano. Vi sono spiragli di una sua spendibilità? La lingua spalanca porte inaspettate sul mondo del lavoro? È un percorso quindi che vede il suo principio, applicazione e pratica, addirittura sin dall’infanzia. Siamo di fronte a un elemento che, in poche parole, sancisce la stima di una lingua.
Plurilinguismo, una porta sul mondo del lavoro
Un orizzonte che pone le competenze linguistiche come intrinseche al capitale umano degli individui: più se ne hanno più vantaggi e incremento ne avrà la produttività. Una crescita di questo tipo, a parità di altre circostanze, vale a significare un conseguente aumento del reddito e migliorate opportunità occupazionali, ossia calo netto della disoccupazione. Il plurilinguismo è una porta sul mondo del lavoro.
Il plurilinguismo, ossia la padronanza di svariati codici linguistici, all’interno del contesto globalizzato che ci vede protagonisti può rivelarsi portatore anche di effetti piuttosto positivi a uno Stato nel suo complesso. Qui vi è l’assonanza tra lingua ed economia, il legame tra lingua e lavoro.
Il plurilinguismo è in grado di sostenere il commercio e ridurre le spese di transazione negli iter di acquisto, produzione e vendita. Dettagli non da poco.
A rendersene conto gli statunitensi, fruitori di quella che viene declamata come la lingua franca per eccellenza, l’inglese. Babbel, tra le applicazioni leader a livello mondiale per l’apprendimento delle lingue, spiega come proprio gli Stati Uniti siano il primo Stato per numero di utenti desiderosi di apprendere una lingua a fini meramente professionali. Gli americani man mano cominciano a scorgere i benefici derivanti dal confronto con i clienti nella loro lingua madre, dando così rinnovato valore alle competenze interculturali.
Dalla lingua al lavoro è un attimo
La domanda sorge quasi spontanea, specie attenendosi al discorso sul valore di cui una lingua può disporre in base alle occasioni lavorative che spalanca: quali sono le lingue più funzionali per un lavoratore italiano? Quale lingua è in grado di facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro?
Se la domanda è spontanea, la sua risposta non è, invece, così scontata. Quello che è necessario sempre valutare per chi quella determinata lingua abbia valore, e dove ci si trovi.
Condurre affari nell’America latina richiederà competenze linguistiche diverse rispetto a quelle funzionali al commercio in Asia Centrale, luogo in cui il russo, ad esempio, riveste ancora un ruolo dominante. Coloro che lavorano nei contesti dell’economia informale in molto paesi dell’Africa occidentale potranno trovare utile affidarsi al wolof oltre che al francese.
Da tenere in considerazione, ovviamente, il meccanismo sempreverde della domanda-offerta. Nel sistema scolastico italiano vige quasi esclusivamente l’insegnamento dell’inglese. Ma quanto l'inglese può dirsi ancora la lingua d'eccellenza per l'inserimento del mondo del lavoro?
Una lingua la cui utilità è senz’altro fuori discussione, ma con il trascorrere del tempo la sua padronanza diverrà sempre più di dominio pubblico e quindi andrà pian piano a banalizzarsi come lingua. Ragion per cui nel mercato del lavoro il premio al reddito per i fruitori della lingua inglese andrà tendenzialmente sempre più calando.
Spiegarsi questo fenomeno è semplice: ebbene, maggiore sarà il numero delle persone a disporre di quella competenza linguistica, meno rara sarà. Un discorso, invece, che non vale per la conoscenza della lingua francese o per quella tedesca, il cui studio resta sempre ai margini. Un fatto che potrebbe essere considerato come un qualcosa di assurdo e illogico, basti pensare che i paesi di lingua tedesca e francese sono i principali partner commerciali italiani.
Forse sarebbe il caso di rivedere i piani, a partire dalla Scuola.
Laura Dirtu, content creator residente a Londra, sul suo canale YouTube, condivide la sua testimonianza sull'apprendimento di ben 7 lingue.
Il tedesco e il francese
La conoscenza della lingua tedesca e di quella francese può essere potenzialmente un fattore determinante per l’aspirante lavoratore: agli occhi del datore di lavoro alla ricerca di simili profili non passerà inosservato tale competenza linguistica. Quando vi è domanda di un bene ma l’offerta è scarsa, il prezzo aumenta.
Ma i dettagli forniti da Babbel possono raccontarci ancora qualcosa: gli italiani non badano troppo allo studio del tedesco e del francese, d’accordo, ma questo non può dirsi di tedeschi e francesi rispetto all’italiano. Un dato su tutti: il 18% degli utenti dell’applicazione che optano per l’italiano con finalità professionali sono proprio i tedeschi. La scelta è dovuta dall’esigenza di una migliore e più adeguata comunicazione con colleghi e clienti. I settori interessati sono soprattutto quello alimentare, siderurgico e automobilistico.
Osservando i dati possiamo intuire immediatamente come il tedesco sia l’arma in più dei lavoratori italiani: a parità di altri presupposti, difatti, definisce mediamente uno scarto retributivo del 28%; a seguire il francese (21%) e l’inglese (18%).
I consigli vengono quasi da sé, e allora si comprende come impadronirsi della lingua tedesca e della lingua francese possa dare i suoi frutti, specie nella ricerca di un lavoro. In più, potrebbe essere opportuno da parte del governo investire maggiormente sul plurilinguismo invece che concentrarsi solamente sull’insegnamento della lingua inglese.
Lavoro e lingua Tedesca
Dopo l’addio di Londra, la Germania rappresenta il motore trainante dell’Unione Europea. E, stando ai dati del Ministero Sviluppo Economico, sarebbe anche la prima destinazione delle esportazioni italiane. Germania, Austria e Svizzera, sono grandi appassionate del “Made In Italy”.
Ciò spiega come molte imprese italiane che lavorano con il mercato tedesco siano solite preferire l’assunzione di risorse con una stimabile conoscenza della lingua tedesca, al fine di una migliore interazione con i clienti.
È un continuo ciclo di andata e ritorno tra merci e persone: durante il corso dell’anno i prodotti italiani oltrepassano i confini nazionali, poi in estate numerose schiere di turisti tedeschi arrivano in massa nella penisola. Per i lavoratori impegnati nel turismo e nel settore alberghiero, studiare la lingua tedesca sin dalla scuola spalanca ghiotte opportunità, specie in provincia di Trento e in Alto-Adige.
Da considerare vi è anche la forza dell’industria auto tedesca, la migliore d’Europa. La Germania vanta numeri da record: produce un terzo delle auto vendute in Europa e un quinto delle auto vendute al mondo. Un buon livello di conoscenza del tedesco potrebbe rivelarsi decisivo nell’affacciarsi al tanto ambito colloquio di lavoro in aziende come Audi o Volkswagen.
La Germania è in testa in Europa anche per numero di brevetti richiesti: si pone come ideale meta per studenti e ricercatori universitari in ambito scientifico e tecnologico. Basti immaginare che la Germania investe il 2.94% del PIL in ricerca e sviluppo, altro record a livello europeo.
Il lavoro, le istituzioni e il Francese
Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo, sono le città sedi delle istituzioni europee, sono le città della lingua francese., tra le tre lingue di lavoro delle istituzioni, la lingua delle relazioni internazionali.
Dopo la Brexit, con il probabile ridimensionamento del ruolo della lingua inglese in Europa, in tanti azzardano il francese come lingua che conquisterà maggiore spessore nella politica europea.
Pertanto padroneggiare il francese potrebbe rivelarsi come una preziosa strategia per chi ambisce a lavorare nelle istituzioni europee o nelle organizzazioni, società di consulenza, associazioni che si occupano di politiche europee.
Il lavoro e l'Italiano
In Italia ci sono lavoratori che studiano l’italiano, sì, è proprio così. Ovviamente da considerare il fatto che nel nostro Paese lavorino persone che non sempre hanno l’italiano come lingua madre. Quindi allorché la lingua principale sia differente, occorrerà puntare molto sull’integrazione, sociale e lavorativa, sarà questo il vero e proprio motore dell’apprendimento (una tipologia di stimolo che può garantire esiti sbalorditivi).
Non è tutto. Un ruolo importante è stato giocato dal progredire e dal diffondersi della metodologia del lavoro a distanza: è così che dilagano gli annunci di lavoro richiedenti come competenza opportuna proprio l’italiano.
Filippo Saini di InfoJobs ha ben inquadrato la questione:
analizzando le oltre 366.000 offerte presenti su InfoJobs nel 2020, grazie al supporto di WollyBI di Burning Glass Technology Europe, solo nell’ultimo periodo ne abbiamo rilevate oltre 200 che richiedono esplicitamente questa competenza. In particolare, per figure come ingegneri professionisti, analisti di sistema, ingegneri industriali, ma anche commercialisti, professionisti del marketing e addetti al call center.
Il mercato del lavoro e il valore dell’Italiano
Manco a dirlo: non considerando i prestiti lessicali sparsi per il mondo in specifici settori, si pensi solo a quello enogastronomico, si può senz’altro affermare come l’italiano non abbia lo stesso appeal internazionale di altre lingue.
Sui quotidiani nazionali spesso si segnala la lingua italiana come la quarta lingua più studiata al mondo. Con ogni probabilità si è di fronte a una bufala sorta da una interpretazione inesatta di una ricerca portata avanti anni fa dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Discorsi, però, che non valgono a dire che l’italiano non goda ancora di una indubbia diffusione e che non ci sia una fetta abbondante di persone intente ad apprenderlo.
Un diffondersi timido che è esito naturale di stimoli e incentivi statali piuttosto circoscritti. La conoscenza di una lingua all’estero può essere sostenuta da investimenti pubblici negli istituti di lingua e cultura.
Esempi ne sono gli Istituti Italiani di Cultura (IIC), dipendenti dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, o la Società Dante Alighieri. L’Italia non investe abbastanza ed è piuttosto indietro rispetto ad altri paesi, ragion per cui la diffusione dell’italiano all’estero procede a rilento.
Occorre avere più fiducia nella lingua italiana, che in determinati contesti potrebbe rivelarsi come un asso nella manica.