Lavoro, quando le macchine sostituiscono l'uomo!

Nel mondo del lavoro, inutile a dirsi, ormai è assodata questa possibilità (o dovremmo dire realtà), le macchine competono, concorrono, con l’essere umano. Vi sono diverse categorie del mondo del lavoro che stanno rischiando di transitare verso scenari prossimi all’automazione.

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Nel mondo del lavoro, inutile a dirsi, ormai è assodata questa possibilità (o dovremmo dire realtà), le macchine competono, concorrono, con l’essere umano. Una indagine del Dipartimento di Economia e Management ha vagliato con attenzione questo fenomeno contemporaneo. 

Vi sono diverse categorie del mondo del lavoro che stanno rischiando di transitare verso scenari prossimi all’automazione. Si pensi solo agli addetti alla contabilità, a coloro che si occupano di consegne, ai cassieri dei negozi, ai centralinisti, al personale addetto a contabilità, consegne, casse dei negozi, centralini, portierato e assemblaggio.

Vi è ovviamente chi non teme l’avvento della concorrenza automatizzata. Si pensi agli addetti alla scuola dell’infanzia, coloro che si occupano della cura e dell’assistenza, agli imprenditori e alle imprenditrici

Le facoltà intellettive e pratiche loro reclamate per l’amministrazione delle difficoltà, delle connessioni e dei rapporti interpersonali ed empatici, l’intelletto creativo. rendono la loro sostituzione solamente una congettura dal sapore remoto.

Marco Montemagno, in un video caricato sul suo canale Youtube, ci spiega cos'è il fenomeno dell'automazione:

Il mondo del lavoro e i rischi di automazione

Quanto fino ad adesso accennato è quanto vien fuori dalle statistiche e dagli elementi raccolti dopo la disamina Rischi di automazione delle occupazioni: una stima per l’Italia. Indicazioni pubblicate sul numero 3 della magazine Stato e Mercato che vede la penna di Mariasole Bannò (prima Università di Trento, ora Università di Brescia) accompagnata da Emilia Filippi e Sandro Trento (Università di Trento).

Il lavoro va ad annoverarsi nel cuore dello studio sulle tecnologie digitali all’interno del contesto lavorativo e sulle conseguenze sugli individui occupati in prospettiva di quantità e di ineguaglianze per le professionalità e mansioni di più immediato avvicendamento.

Bannò, Filippi e Trento, anticipando gran parte dei colleghi, hanno quantificato con meticolosa precisione per il nostro Paese la plausibilità di automazione delle 800 professioni prese in esame, andando anche a proporre spunti e indicazioni utili al fine di temperarne le incognite.

Le tre barriere all’automazione del lavoro

La spiegazione di autrici e autori parla chiaro. Nel computo delle eventualità di automazione è stata presa in considerazione la presenza di tre barriere tecniche all’automazione complessiva

Tali confini di demarcazione sono congiunti a tre facoltà ancora intrinsecamente antropiche: le abilità e le facoltà di comprensione e di manipolazione (la cognizione e il senso di orientamento in circostanze destrutturate e composite e di adoperare con dimestichezza utensili), l’intelletto creativo (la capacità di concepire nozioni nuove e di qualità) e la ragione sociale (la capacità di dare risposta a una controparte umana in maniera raziocinante ed empatica).

Il lavoro, l’Italia e la questione dell’automazione

Il panorama italiano viene esaminato adoperando un doppio metodo. Il primo si fonda sul pensiero che siano le professioni a porsi come automatizzabili (occupation-based approach). Il secondo vuole che siano d’altro canto le singole attività lavorative a dover essere considerate come tali (task-based approach). 

Stando allora all’approccio che si decida di applicare, la soglia di lavoratori e lavoratrici a più elevato pericolo di avvicendamento tecnologico negli anni a venire in Italia oscillerà in una percentuale tra il 33% (7,12 milioni di persone) e il 18% (3,87 milioni).

I settori a rischio automazione

Nel nostro Paese, i settori professionali aventi una più alta prevedibilità di automazione vanno a riguardare i trasporti e la logistica, i sostegni d’ufficio e amministrativi, la produzione, i servizi e il settore commerciale.

D’altra parte i contesti professionali con basse eventualità di sostituzione tecnologica e di automazione abbracciano i settori del management e della finanza, il ramo legale, il mondo della scuola, l’assistenza sanitaria, la cultura e l’arte.

Sempre autori e autrici proseguono. I settori professionali che rischiano meno la sostituzione tecnologica andranno a richiedere uno standard culturale piuttosto pronunciato e dovranno caratterizzarsi da una fetta considerevole di mansioni intimamente umane, si pensi a inventiva, adeguamento, coordinazione dei rapporti interpersonali, formazione, ascendente, cooperazione con tantissimi altri individui e personalità.

Poi vi sono anche settori che manifestano una possibilità di essere soggetti ad automazione per così dire media, e cioè quello artigianale e quello dei media. 

Il lavoro, le differenze di genere nell’automazione

Ma non è tutto, vi sono anche altri risultati. Una novità riguarda la differente verosimiglianza di automazione a seconda che si sia lavoratori e che si sia lavoratrici. I lavoratori devono affrontare un rischio di avvicendamento più alto in confronto a quello affrontato alle donne occupate. 

Una tale circostanza potrebbe essere il frutto della discorde distribuzione all’interno dei contesti lavorativi. Nella fattispecie, nel nostro Paese l’occupazione delle donne si presenta più cospicua in compartimenti dove l’affidamento a robot e altri macchinari è decisamente meno evidente. 

Si pensi solamente alla scuola dell’infanzia, alla cura della persona, alla sanità, ai settori industriali come quello dell’agroalimentare.

Il lavoro tra automazione potenziale e automazione effettiva

L’analisi poi si concentra sulla difformità tra automazione presumibile (lo standard di automazione sotto l'aspetto tecnico potenzialmente realizzabile) e automazione tangibile (lo standard di automazione che concretamente viene concretizzata).

In Italia, di fatto, per l’esistenza estesa di aziende di piccole e medie dimensioni solitamente a gestione familiare, la ristretta facoltà di investimento, lo scarso impiego di tecnologie di un certo livello e una molteplicità di altri elementi, l’automazione concreta potrebbe essere decisamente ridotta rispetto a quella potenziale. 

Ma a prescindere da quanto appena detto, la smarrimento di posti di lavoro e l’andare a marginalizzare diverse categorie professionali si conferma come un grosso rischio per il nostro Paese. In questa direzione va detto come lo studio cerchi una risposta valida e quindi si chiuda con la proposta e l’elencazione di una triplice metodologia di azione. 

Lavoro e automazione: strategie e compromessi

In prima istanza, si dovrà cercare di mettere a punto nuove opportunità di lavoro con mestieri e professionalità non automatizzabili per garantire possibilità d’occupazione a tutti coloro che andranno a essere scalzati dalla tecnologia, tutelando dai rischi di ennesime sostituzioni.

Il conseguimento di nuovi posti di lavoro andrà perseguito in contesti professionali come i servizi alla persona, il turismo, la sanità e l’istruzione

In quest’ottica, sarà possibile esigere un necessario progredire della finanza per lo sviluppo con lo scopo di dare sostegno alle start up maggiormente flessibili e funzionali, ripensando l’imposizione tassativa sul lavoro e il cuneo fiscale così da restituire un lavoro umano più ragionevole.

In seconda battuta un altro intervento andrà pensato intorno all’istruzione e alla formazione prima dell’accesso e durante il complessivo arco dell’esperienza lavorativa.

Le capacità umane

Per di più, ad aggiungersi alle capacità tecniche, sembrerebbero essenziali le facoltà inventive, la propensione alla risoluzione dei problemi, le doti personali in quanto a socialità e attitudine alle relazioni.

Sarebbe pertanto augurabile l’andare a progettare una struttura formativa che prenda il via dalle connessioni scuola-lavoro e dai cosiddetti tirocini per poi disporre un re-skilling, uno skilling-upgrade per gli adulti. Il celebre life long learning. 

In conclusione, i tre autori, Bannò, Filippi e Trento, si sono soffermati sull’incredibile e rapido progredire dell’automazione delle professioni che si registra anche in Italia.

La velocità con la quale le moderne tecnologie vanno a demolire i tradizionali posti di lavoro offre lo spunto per una indispensabile considerazione sull’iter di sostegno generalizzato al reddito di chi ha perso il proprio lavoro.

Le nuove tecnologie che impattano sul lavoro 

Ne abbiamo preso in esame uno, ma nell’universo letterario le ricerche sulle conseguenze della digitalizzazione e automazione sulla veemenza e la solidità dell’occupazione non mancano.

Nel complesso, si potrebbe annotare come esistano due partiti di opinioni, fazioni incompatibili tra loro, ambedue da prendere in considerazione con prudenza, siccome la discussione si presenta ancora nel vivo e le incertezze sono tante. 

Il primo parere vorrebbe il crescere della disoccupazione in quanto alle macchine spetterà svolgere le mansione solitamente destinate all’essere umano.

Nella fattispecie, vi sono coloro che commentano come l’automazione e la digitalizzazione dei processi produttivi si proiettino verso una sostituzione della forza lavoro impegnata in attività professionali mediamente specializzate, che si caratterizzano per incarichi e responsabilità monotone e rigorosamente normate nell’amministrazione dei processi di produzione. 

Allo stesso modo, la tecnologia potrebbe agevolare il tasso occupazionale in settori professionali altamente specializzati, caratterizzati da compiti legati alle capacità intellettive, articolate e non cicliche.

Seguendo questa strada le nuove tecnologie sarebbero accompagnate non solamente da una graduale e crescente polarizzazione degli iter salariali e retributivi e della stessa occupazione, ma metterebbero a rischio le economie dei paesi progrediti, esponendoli ad alti tassi di disoccupazione tecnologica sistemica con conseguenze notevoli sulle disuguaglianze.

Il secondo parere vuole che la tecnologia, sia nel momento in cui abbia l’esito di avvicendarsi al lavoro sia nell’attimo in cui ne dilati il potenziale, favorisca il miglioramento della funzionalità nell’adoperare gli impulsi di produzione e in questo senso realizzare occupazione e prosperità (come, d’altro canto, si è sempre verificato nella storia degli esseri umani).