Legge Fornero: Consulta boccia l’art. 18 sui licenziamenti

La sentenza della Corte Costituzionale sulla riforma dell'articolo 18 attuata dalla Legge Fornero in materia di licenziamenti parla chiaro: la norma è incostituzionale. Sarebbero infatti state aumentate le disuguaglianze tra i lavoratori. Vediamo come si è espressa la Consulta e cosa cambierà d'ora in poi in caso di licenziamento illegittimo.

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L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori non trova pace. Così come era successo per il Jobs Act pensato dall’Esecutivo di Matteo Renzi nel 2016, così anche la riforma dell’articolo inserita nella legge Fornero del 2012 non ha superato il vaglio della Consulta. Incostituzionale, questo il verdetto.

Ed è il discorso licenziamenti, in particolare, a essere finito nel mirino della Corte Costituzionale, eliminando le modifiche che l’allora ministro del Lavoro Elsa Fornero, sotto il governo tecnico di Mario Monti, apportò allo statuto. Secondo la Consulta, la riforma avrebbe aumentato le disuguaglianze sui licenziamenti economici, ecco perché ha ora reso obbligatorio il reintegro.

Cerchiamo di capire allora cosa prevedeva prima l’articolo 18, come è stato modificato dalla legge Fornero e dal Jobs Act e che cosa ha invece previsto adesso la Corte Costituzionale.

L’articolo 18 prima della legge Fornero

Sostanzialmente, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori regola le tutele da applicare in caso di licenziamento illegittimo.

Gli interventi della riforma Fornero e poi del jobs act, entrambi caduti nella tagliola della Corte, hanno reso in realtà l’interpretazione della norma molto più difficile. Prima, infatti, il testo era molto più semplice e prevedeva un’unica tutela.

Praticamente, fino a prima del 2012, l’articolo 18 prevedeva la reintegra sul posto di lavoro e il risarcimento danni per tutti i giorni di retribuzione non goduta dal momento del licenziamento per tutti i casi di licenziamento discriminatorio e senza giusta causa sia oggettiva che soggettiva. In particolare, l’esonero doveva avvenire da parte di aziende con almeno 15 dipendenti nell’unità produttiva in cui opera il soggetto destinatario del provvedimento o con almeno 60 dipendenti su tutto il territorio nazionale.

Come alternativa al reintegro, l’articolo 18 prevedeva comunque la possibilità di godere di un’indennità, una sorta di cassa integrazione, pari a quindici mensilità.

La riforma dell’articolo 18 della Legge Fornero

La Legge Fornero ha stravolto l’articolo 18 introducendo quattro regimi di tutela: reale piena, reale attenuata, obbligatoria piena e obbligatoria attenuata.

La tutela reale piena, che vale anche per i dirigenti, viene applicata quando il licenziamento interviene in caso di matrimonio o di indennità di paternità o maternità, quando è nullo in base alle normative o quando è determinato da un motivo illecito o quando, infine, il licenziamento viene comunicato soltanto in forma orale. Questo tipo di tutela prevede la reintegra sul lavoro, il risarcimento corrispondente ai giorni di paga persi e il versamento dei contributi per tutto il periodo. In alternativa, anche in questo caso, si può optare per un’indennità di 15 mesi.

La tutela reale attenuata riguarda i casi di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo illegittimo. In particolare, quest’ultimo caso si riferisce a licenziamenti intervenuti in seguiti a fatti non sussistenti o puniti dai contratti collettivi di riferimento con una sanzione. Inoltre, riguarda i casi in cui il fatto alla base del licenziamento è infondato, il licenziamento viola l’articolo 2110 secondo comma del codice civile. Anche in tutti questi casi sono previste la reintegra, il risarcimento e il versamento dei contributi. In alternativa, l’indennità.

La tutela obbligatoria piena interviene quando non ricorre la giusta causa o il giustificato motivo oggettivo o soggettivo. Questa obbliga il datore di lavoro a risarcire il lavoratore con un’indennità pari all’importo dell’ultima retribuzione percepita moltiplicata per minimo dodici mensilità e massimo ventiquattro. L’indennità viene calcolata in base all’anzianità del lavoratore, al numero dei dipendenti dell’azienda e alle condizioni delle parti.

Infine, la tutela obbligatoria attenuata, che si applica quando il licenziamento è illegittimo in assenza di motivazione o per inosservanza delle procedure previste dalla legge. In questi casi, il datore di lavoro è condannato al pagamento di un’indennità pari all’importo dell’ultima retribuzione moltiplicata per minimo sei e massimo dodici mensilità. La valutazione avviene in base alla gravità della violazione commessa.

La riforma dell’articolo 18 attuata dal Jobs Act

È stato il Consiglio d’Europa a bocciare il contratto a tutele crescenti, inserito nel Jobs Act in sostituzione dell’articolo 18 dall’Esecutivo di Matteo Renzi. In particolare, la motivazione data dal Comitato europeo dei diritti sociali è stata quella secondo cui l’Italia avrebbe violato la normativa comunitaria in materia di licenziamento illegittimo. Sostanzialmente, la norma prevedeva l’abolizione dell’articolo 18 per tutti i contratti di lavoro firmati dal 7 marzo 2015 in poi. In più, il contratto a tutele crescenti riguardava anche ai lavoratori assunti prima di quella data, qualora l’azienda avesse superato il numero di 15 dipendenti in quell’unità produttiva o di cinque in caso di azienda agricola oppure di 60 dipendenti in totale su tutto il territorio nazionale. Infine, si applicava anche nei casi in cui contratti a termine venissero convertiti in indeterminati dopo marzo 2015.

Il contratto a tutele crescenti, abolendo l’articolo 18, aveva eliminato la possibilità di reintegro per tutti i nuovi assunti in caso di licenziamento illegittimo, sostituendo la cosa con un risarcimento dalle quattro alle 24 mensilità in base all’anzianità (due mensilità per ogni anno di lavoro svolto nell’azienda). Il Decreto dignità aveva poi innalzato la soglia portandola a minimo sei e massimo 36 mensilità.

Già nel 2018 la Corte costituzionale italiana si era espressa sull’incostituzionalità della norma, ma nessun cenno anche in questo caso era stato fatto alla possibilità di reintegro. Ecco perché la Cgil ha dovuto presentare ricorso al Comitato di Strasburgo, sostenuta dalla Confederazione europea dei sindacati, legittimando la sua richiesta, poi accolta, con la violazione dell’articolo 24 della Carta sociale europea.

La bocciatura della riforma dell’articolo 18 fatta dalla Legge Fornero

La Corte Costituzionale si è espressa chiaramente in questi giorni anche sulla riforma messa in campo dalla Legge Fornero. Non è assolutamente giustificato, secondo la Consulta, che ci sia un trattamento diverso tra il licenziamento economico e quello per giusta causa quando il fatto in questione non sussiste. Le motivazioni della Corte trovano la loro “giustificazione” in riferimento all’articolo 3 della Costituzione che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge…”.

Con questa storica sentenza, dunque, il reintegro dei lavoratori torna a essere obbligatorio anche in caso di licenziamento economico (ovvero per motivi che non riguardano il comportamento del lavoratore ma la riorganizzazione aziendale) se il fatto è insussistente. A sollevare la questione era stato il Tribunale di Ravenna che quindi si è rivolto alla Consulta.

La sentenza recita che il principio di eguaglianza dell’articolo 3 della Costituzione è violato nel momento in cui il reintegro viene previsto come facoltativo e non come obbligatorio, a maggior ragione se il licenziamento interviene per motivazioni che non dipendono assolutamente dal lavoratore.

Nel frattempo, blocco dei licenziamenti fino a giugno per tutti

L’Esecutivo a guida Mario Draghi ha prorogato fino al 30 giugno il blocco dei licenziamenti per fronteggiare l’emergenza pandemica. Dopo quella data, potranno accedervi fino al 31 ottobre soltanto i datori di lavoro che hanno avuto accesso alla cassa integrazione in deroga e all’assegno ordinario e alla CISOA prevista dal dl Sostegni. Resta comunque poco chiaro se effettivamente possono accedere alla deroga coloro che potrebbero beneficiare di queste misure o soltanto coloro che effettivamente ne beneficiano.

Ci sono soltanto due casi in cui il datore di lavoro può procedere al licenziamento nonostante il blocco e questi sono: il raggiungimento di un accordo collettivo aziendale e il venir meno del soggetto imprenditoriale.

Sulla proroga del blocco, la cui scadenza era precedentemente fissata al 31 marzo, tanto si è discusso prima di giungere alla decisione. Infatti, durante le consultazioni per la formazione del governo di Mario Draghi, la delegazione dei sindacati aveva chiesto in blocco al premier incaricato di allungare la scadenza perché, secondo loro, lo sblocco della possibilità di procedere a licenziamenti sia singoli che collettivi avrebbe potuto prorogare una vera e propria bomba sociale.

Quelle di giugno e di ottobre sembrano per ora essere le scadenze ultime, anche perché dal canto degli imprenditori è stato manifestato malessere in quanto la situazione appare completamente bloccata. Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, ha di recente preso nuovamente la parola per manifestare contro la misura: “Il blocco dei licenziamenti corrisponde al blocco delle assunzioni”, chiedendo così un superamento della norma e degli interventi che agevolino nuove assunzioni e turn over.

In ogni caso, il fatto che la Corte Costituzionale si sia espressa sulla riforma dell’articolo 18 dà ora maggiore tutela ai lavoratori e dà anche una maggiore spinta alle istituzioni per agire il più in fretta possibile nella regolamentazione dei rapporti di lavoro. In particolare, si sta spingendo tanto sul riconoscimento del salario minimo, ancora assente in Italia. Un passo avanti è stato fatto nel mondo dei rider, che saranno assunti con contratti regolari. Tanto è stato fatto, ma ancora tanto c’è da fare.

La speranza è riposta dai più sul Recovery Plan che dovrà essere presentato dal Governo alla Commissione Europea entro il 30 aprile. Le risorse che arriveranno dall’Europa potrebbero, se ben sfruttate, essere il giusto impulso di cui il mercato del lavoro in Italia ha bisogno. La fiducia in questo Esecutivo è tanta, il tempo darà le risposte.