Mercato del lavoro: +7% del Pil con l'occupazione femminile

Tra gli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni unite figura anche la parità di genere. Negli ultimi decenni molti progressi sono stati fatti, ma tra uomini e donne esistono ancora diverse disuguaglianze, soprattutto per quanto riguarda il trattamento e le condizioni nel mercato del lavoro. Con il Pnrr, il governo mira a potenziare l'occupazione femminile, facendola crescere del 7% in tre anni.

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La parità di genere è uno dei 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile definiti dalle Nazioni unite, che spiegano:

“Non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace. Garantire alle donne e alle ragazze parità di accesso all’istruzione, alle cure mediche, a un lavoro dignitoso, così come la rappresentanza nei processi decisionali, politici ed economici, promuoverà economie sostenibili, di cui potranno beneficiare le società e l’umanità intera”.

Nonostante molti progressi siano stati fatti su questo tema negli ultimi decenni, ancora oggi nel mondo diverse donne sono costrette a subire discriminazioni e violenze sotto molteplici forme.

In Europa, dove la parità di genere è uno dei principi fondamentali, e di conseguenza in Italia, la situazione è sicuramente più rosea rispetto ad altre zone della Terra, ma questo non vuol dire che ulteriori miglioramenti non possano essere fatti e che ogni divario sia stato colmato. In particolare, nel mercato del lavoro esistono ancora delle nette differenze nel trattamento destinato agli uomini e in quello dedicato alle donne. 

La partecipazione delle donne al mercato del lavoro italiano

L’Italia, con un valore di 63,8, si trova al 14esimo posto nella classifica del Gender Equality Index dello European Institute for Gender Equality (Eige), che monitora la parità di genere nei Paesi dell’Unione europea (Ue). La Svezia, con 83,9, è lo Stato più virtuoso per quanto riguarda questa tematica. La media europea è di 68.

Considerando solamente i dati sulla parità sul lavoro, per l’Eige l’Italia si posiziona addirittura all’ultimo posto, con un valore di 63,7. La Svezia si conferma prima, con 83,1, mentre la media europea si attesta a 71,6.

La partecipazione femminile al mercato del lavoro italiano è inferiore rispetto sia a quella maschile (sono rispettivamente pari al 52,7% e al 72,6%, secondo le stime di Banca d’Italia) sia alla media europea (52,7% contro 66,8%). 

Nel nostro Paese, 900mila donne non lavorano né studiano. Il divario con la situazione maschile, già abbastanza ampio, è peggiorato con l’arrivo del Covid-19 e l’incremento dei carichi familiari. Nel 2020, 42mila genitori con figli fino a tre anni si sono dimessi, per il 77% donne, e in generale il numero dei lavoratori è diminuito di 444mila unità, per il 70% femminili. 390mila nuovi occupati sono stati registrati tra l’ottobre del 2020 e quello del 2021, per il 70% uomini.

Per quanto riguarda l’occupazione indipendente, nel periodo della pandemia in Italia quella femminile è calata del 7,8%, quella maschile del 6,1%. Anche dal punto di vista del fatturato le imprenditrici hanno registrato un trend negativo, con una diminuzione del 4,4% rispetto alla media.

I dati sull’occupazione femminile in Europa e nel mondo

Secondo quanto riportato nella ricerca European Jobs Monitor 2021: Gender gaps and the employment structure, nell’Ue negli ultimi due decenni due su tre dei nuovi posti di lavoro creati sono stati presi da donne. Nonostante questo incredibile dato, rimane una decisa disparità tra l’occupazione maschile e quella femminile, dal 2014 stabilmente inferiore a poco meno del 12%. Inoltre, le donne sono ancora largamente impiegate nei settori meno retribuiti e poco presenti a livello decisionale.

L’Ue punta a raggiungere un’occupazione femminile del 78% entro il 2030, insieme a un dimezzamento del gender gap, ovvero delle differenze di condizioni e trattamento di uomini e donne, nel mercato del lavoro, che nel 2019 era pari all’11,7%. Per arrivare a questo livello, il tasso di crescita dell’occupazione femminile dovrebbe essere triplo rispetto a quello dell’occupazione maschile.

Anche a livello globale, l'occupazione femminile ha sofferto più di quella maschile durante la pandemia da Covid-19. L’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha stimato che tra il 2019 e il 2020 il 4,2% dei posti di lavoro occupati da donne sia andato perso a livello globale. Lo stesso dato per gli uomini è del 3%.

Sempre secondo l’Ilo, il 2021 dovrebbe però aver fatto segnare un’inversione di tendenza. Le prime stime indicano una ripresa più forte dell’occupazione femminile, con 41 milioni di posti di lavoro creati rispetto al 2020 e un aumento del 3,3%, rispetto a quella maschile, con 59 milioni di nuove posizioni e una crescita del 3%.

I motivi della bassa presenza femminile nel mercato del lavoro in Italia

La famiglia è uno dei principali motivi della bassa occupazione femminile. Sono infatti molto più spesso le donne rispetto agli uomini ad abbandonare il lavoro per curarsi dei bambini. Secondo quanto riportato da Banca d’Italia, nelle famiglie con un figlio l’86,5% dei padri lavora contro il 56,4% delle madri. Il divario si allarga guardando le famiglie con due bambini, con le percentuali che diventano rispettivamente 87,5 e 50,4, e quelle con tre, 83% contro 35%.

Le donne sono spesso costrette a scegliere tra lavoro e famiglia per più di una ragione: oltre a doversi occupare delle cure della casa, che ancora ricadono quasi esclusivamente su di loro, c’è il problema degli asili nido, cui solo il 25,5% dei bambini riesce ad accedere.

Infine, i percorsi di formazione concorrono alle possibilità di trovare lavoro: solo il 17% delle donne sceglie degli studi legati a scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, che offrono maggiori opportunità professionali. Anche il livello di educazione finanziaria risulta più alto negli uomini.

La riduzione del gender gap tra gli obiettivi del Pnrr

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha in programma di stanziare 38,5 miliardi di euro, il 20% del totale delle risorse, per la riduzione del gender gap. Gli investimenti si concentreranno in particolare sul lavoro e l’imprenditoria femminili e sugli asili nido e le scuole per l’infanzia, ma saranno utilizzati per potenziare anche i servizi per la cura degli anziani e dei portatori di handicap, di cui solitamente si occupano le donne.

Il premier Mario Draghi ha dichiarato:

“Abbiamo investito quasi 6 miliardi per rafforzare in maniera strutturale i servizi per l'infanzia e sostenere in particolare i genitori che lavorano. Aggiungiamo 264mila nuovi posti nei nidi e nelle scuole dell'infanzia, un aumento di oltre il 70%. Ristrutturiamo o adattiamo almeno mille edifici per ampliare l'offerta del tempo pieno con il servizio mensa. Realizziamo o riqualifichiamo 230mila metri quadri per palestre”.

Per quanto riguarda l’imprenditoria femminile, il Pnrr prevede lo stanziamento di 400 milioni di euro che serviranno ad agevolare i progetti innovativi, anche già avviati, sostenere attività di mentoring e assistenza tecnica e manageriale, conciliare vita privata e professionale e creare una cultura che sostenga le imprenditrici. L’obiettivo è di supportare un minimo di 2.400 imprese femminili

Secondo le stime del Pnrr, in tre anni l’occupazione femminile potrebbe avvicinarsi al 60%, incrementandosi dello 0,9% nel 2021, del 2,6% nel 2022 e del 3,4% nel 2023.

La legge italiana sulla parità salariale

Il 3 dicembre 2021 è entrata in vigore la legge n.162/2021, che prevede la parità salariale tra uomini e donne a partire dal 1° gennaio 2022. Sono interessate le aziende con più di 50 dipendenti, che dovranno dimostrare l’uguaglianza di trattamento dei loro dipendenti a prescindere dal genere. La certificazione permetterà alle imprese di ottenere una riduzione dei contributi previdenziali da versare, con il limite dell’1% e di 50.000 euro annui.

La differenza salariale tra uomini e donne raggiunge la media del 36,7% nell’Ue, mentre in Italia si attesta al 43%, considerando il divario di retribuzione nel suo complesso, che include non solamente la differenza tra i salari medi orari, ma anche la media mensile di ore retribuite e il tasso di occupazione reale.

Il documento servirà comunque ad attestare non solo l’allineamento degli stipendi, ma anche le altre misure adottate dalle aziende per colmare il divario di genere, per esempio quelle che tutelano la maternità o che offrono le stesse opportunità di crescita professionale, ed evitare ogni tipo di discriminazione diretta e indiretta.

Le analisi di Banca d’Italia

In una nota congiunta di Banca d’Italia e ministero del Lavoro e delle Politiche sociali emerge come la ripresa dell’occupazione femminile nel 2021 sia stata caratterizzata dalla precarietà. Oltre l’82% delle donne, contro il 72% degli uomini, che hanno trovato un nuovo lavoro nel periodo ha firmato un contratto temporaneo e molti di essi sono scaduti in autunno. A settembre e ottobre, le assunzioni a tempo indeterminato tra gli uomini sono ritornate ai livelli pre-pandemici, mentre per le donne sono risultate di oltre il 3% inferiori rispetto al 2019. 

Banca d’Italia ha stimato che, se l’occupazione femminile crescesse dall’attuale 52,7% al 60%, il PIL italiano aumenterebbe del 7%. Secondo il Pnrr, entro il 2023 il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro dovrebbe salire di circa il 7%, avvicinandosi quindi proprio al 60% fissato da Banca d’Italia, ma restando ancora distante dal tasso di occupazione maschile del 72,6%.