Riforma pensioni: Opzione Donna rischia di diventare una norma discriminatoria

Il nuovo governo ha dichiarato che Opzione Donna verrà ricalibrata per permettere di andare in pensione in base ai figli che si hanno. In questa maniera, diventerebbe una misura discriminatoria. Vediamo perché.

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Il nuovo governo si è dichiarato favorevole al rinnovo dell’opzione donna per il 2023. Attualmente, Opzione donna consente di andare in pensione in anticipo se si svolge un lavoro usurante, come ad esempio quello dell’O.S.S., con 35 anni di contributi e un’età che va dai 58 anni per le lavoratrici dipendenti ai 59 per le lavoratrici autonome.

Nel 2023, però, l’età in cui si potrà richiedere il pensionamento anticipato sarà diversa a seconda del numero di figli. In questa maniera, la riforma di Opzione Donna diventa discriminatoria.

Perché Opzione Donna potrebbe diventare discriminatoria

Per chi sceglie l’opzione donna, l’assegno pensionistico subirà un taglio del 30% rispetto a un pensionamento ordinario, e l’età richiesta sarà diversa in base al numero di figli. Chi ne ha due potrà andare in pensione a 58 anni, chi ne ha uno a 59, e chi non ne ha nessuno dovrà aspettare i 60 anni.

Il ministro Giorgetti, durante la conferenza stampa per la presentazione della legge di bilancio, ha spiegato che il provvedimento ha preso in considerazione un taglio sulla spesa previdenziale in virtù della spesa “previdente”, ossia sul numero di figli presenti nel nucleo familiare.

Secondo il ministro, la compensazione è stata effettuata per premiare chi ha dei figli che un giorno potranno mantenere, col loro lavoro, le pensioni di chi adesso smette di lavorare. Secondo Giorgetti, per fare una riforma delle pensioni occorre dunque premiare la natalità, ma secondo l’opinione di alcuni accademici la norma, che ancora è una bozza vuota, presenta già dei problemi di costituzionalità.

Opzione donna sarà una discriminatoria verso chi non ha figli

A un'intervista per il Fatto Quotidiano, Gaetano Azzariti, professore ordinario di diritto costituzionale all'università di Roma La Sapienza, ha spiegato che se Opzione Donna dovesse cambiare così, comporterebbe la violazione dell’art. 3 della costituzione, in cui viene sancito il principio di uguaglianza.

Azzariti spiega che, così facendo, le coppie che non possono o non vogliono avere figli saranno discriminate. La misura, prosegue il giurista, è meramente ideologica, e non si può giustificare in alcun modo.

Andrea Pertici, docente ordinario di diritto costituzionale all’università di Pisa, spiega che una misura di tal fatta potrebbe legittimare un giudice ordinario che debba decidere su un caso di applicazione della norma, a sollevare questione di legittimità costituzionale.

Non sarebbe infatti ragionevole commisurare l’anticipazione della pensione di un anno sulla base del numero dei figli.

Dal punto di vista di Azzariti, inoltre, lo stesso incentivo alla natalità verrebbe a mancare. Se una donna va in pensione a 58 anni, infatti, difficilmente può avere dei figli al di sotto dell’età adolescenziale.

Se questa affermazione è vera, allora la misura non avrebbe riscontro nella realtà. Per garantire la famiglia, infatti, si deve porre l’attenzione sul minore, e non sul genitore. In conclusione, per Azzariti non esiste nessun rapporto tra pensionamento e tutela della famiglia.

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