Opzione Donna: la legge truffa della pensione!

Con Opzione Donna, il sistema di prepensionamento riservato alle donne, assistiamo nuovamente ad una forma di discriminazione femminile: i requisiti per potervi accedere sono troppo limitanti, e le garanzie pochissime. Ecco perché Opzione Donna è considerata una vera e propria truffa!

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Opzione Donna è uno speciale trattamento pensionistico, che come ci spiega l’INPS è erogato sia a lavoratrici dipendenti che autonome, che scelgono di accedere alla pensione anticipata rispettando criteri specifici per andare in pensione prima del tempo stabilito dal normale sistema pensionistico.

La nuova opzione nasconde però molte insidie, e non è vantaggiosa, anzi. Viene definita spesso come una vera e propria truffa ai danni dei contributi versati dalla fascia femminile della popolazione.

Il prepensionamento con Opzione Donna prevede che le lavoratrici abbiano maturato entro il 31 dicembre dell’anno 2019 alcuni requisiti: aver versato più di 35 anni di contributi, ed avere un’età superiore ai 58 anni (per chi lavora come dipendente) e 59 anni per chi lavora in autonomia.

Per accedere a questo tipo di prepensionamento, la lavoratrice dipendente deve aver interrotto il proprio rapporto di lavoro, mentre questo termine non vale per le lavoratrici dipendenti, che possono continuare a svolgere la propria attività.

I retroscena di Opzione donna: niente cumulo contributivo per la pensione

Opzione Donna è un sistema di prepensionamento sperimentale, e mostra moltissime lacune. Una di queste riguarda il cumulo contributivo: non è possibile accumulare i contributi ricevuti durante l’arco di tempo dei 35 anni previsti.

Potete immaginare che, con la discontinuità del lavoro che si vive in Italia in questo periodo, soprattutto per la figura femminile, questo sia strettamente penalizzante. Considerando anche che l’ammontare di questa pensione è molto inferiore alla cifra prevista per una pensione tradizionale, la beffa è dietro l’angolo per le donne che vogliono entrare in prepensionamento chiedendo Opzione Donna.

Infatti molto spesso questa possibilità non viene presa neanche in considerazione. Andare in pensione anticipatamente, dopo solo 35 anni di contributi, potrebbe essere allettante per molte lavoratrici, ma una pensione da fame con criteri così stretti per accedervi, non è per nulla consigliabile.

Opzione Donna: fuori dai contributi effettivi le assenze per malattia

Un altro fattore che fa discutere è l’esclusione dal conteggio per i 35 anni di contributi di tutti i congedi per malattia, maternità e per congedo parentale. L’INPS include nel calcolo solamente i contributi realmente versati, e questo è un colpo non da poco per le lavoratrici italiane.

E’ più facile continuare a lavorare e rinunciare al prepensionamento, questa è l’idea di molte. Opzione Donna è stata prorogata anche per il 2021, ma non convince la maggior parte delle donne italiane, che spesso neanche la conoscono.

Inoltre, non rientrano nei requisiti per poter richiedere questo tipo di prepensionamento neanche le lavoratrici iscritte a Gestione Separata INPS. Un prepensionamento irraggiungibile, e quando può esserlo è visto come una totale presa in giro.

Come se non bastasse, il prepensionamento procede versando a chi rientra nei parametri la prima mensilità dovuta dopo mesi dalla richiesta! Per il primo mese di pensione, le lavoratrici dipendenti dovranno aspettare un anno intero dalla maturazione dei requisiti, mentre per chi lavora in autonomia il tempo di attesa si allunga ancora fino a 18 mesi.

Una pensione che non vuole nessuno: perché Opzione Donna?

In conclusione, questa pensione non la vuole nessuno, e che venga attribuita come possibilità positiva per le donne di andare in prepensionamento sembra più una beffa che un vero e proprio aiuto. Ricapitolando, gli svantaggi di questa pensione sono:

Limiti per richiederla: bisogna aver versato 35 anni di contributi “puliti”, cioè senza contare permessi per malattia, maternità e altre forme di accredito INPS come la NASPI;

Somma mensile: la cifra si aggira anche intorno al 25%-30% rispetto ai guadagni mensili della dipendente o dell’autonoma. Una cifra irrisoria.

•Non c’è accumulo contributivo

•Non rientrano nei requisiti le donne che utilizzano la Gestione Separata INPS

•Bisogna aver raggiunto i 58 anni di età

•Il primo pagamento arriva dopo un anno per le dipendenti, 18 mesi dopo per le donne che lavorano in autonomia

L’unico vantaggio sembrerebbe quello di poter andare in pensione in anticipo, perché la maggior parte delle donne, vista una tipologia di pensione di questo tipo, preferirebbe continuare a lavorare. Eppure anche per quest’anno, il regime sperimentale è riconfermato.

Quando Opzione Donna è l’ennesima beffa: il ruolo delle donne oggi

Il ruolo delle donne nel mondo del lavoro è uno dei tasti dolenti del nostro paese: le donne fanno sempre più fatica ad inserirsi nelle aziende e a seguirne i ritmi, dovendo molto spesso gestire anche famiglia, figli e anziani.

Le donne sempre più spesso, soprattutto con la crisi dell’ultimo anno e lo scoppio della pandemia, scelgono di rimanere a casa piuttosto che lavorare, per garantire assistenza alla famiglia, agli anziani e ai figli. Il ruolo precario delle donne, anche quelle che lavorano, a livello sociale spaventa molte femministe, e la direzione in cui stiamo andando sembra quasi quella di un ritorno al passato.

Opzione Donna è vista come l’ultima beffa dell’INPS ai danni della fascia femminile della popolazione, perché invece di essere un aiuto concreto e un sostegno importante, porta con sé solamente penalizzazioni, che ancora una volta evidenziano le differenze con i ruoli maschili.

L’occupazione femminile è penalizzata non solo dalla situazione Covid-19, ma spesso è la stessa gestione della maternità che preoccupa le mamme lavoratrici.

A fine dicembre 2020 il tasso di occupazione femminile è stata nettamente inferiore a quella maschile, e di fatto il trend che si ripete è una maggiore occupazione della fascia maschile sul lavoro alla nascita di un figlio. Al contrario, la nascita equivale ad una quasi immediata sospensione del lavoro della popolazione femminile.

Opzione Donna non è l’unica beffa: le donne e la maternità

Ad oggi, la situazione lavorativa italiana delle donne è sempre più precaria, e non è raro che ai colloqui di lavoro venga chiesto ad una donna se intende fare figli. Purtroppo, alla risposta affermativa a questa domanda spesso equivale una non assunzione.

Se la maternità è un problema per l’occupazione femminile, anche la precarietà dei contratti rivela che ad essere penalizzata maggiormente è la fascia femminile della popolazione.

La Cgil di Genova si è riunita il 3 marzo presentando online la tematica “Donne e lavoro: costruire il futuro”. In questa occasione sono state presentate alcune statistiche sulla categoria femminile dei lavoratori, e sono emerse nuovamente in luce le discriminazioni presenti a livello lavorativo nella gestione della maternità.

Le donne guadagnano in media il 25% in meno rispetto agli uomini, e una delle cause è la mancata valorizzazione sociale del lavoro femminile, un problema strettamente collegato alle abitudini culturali italiane, che spesso portano la componente femminile a dover scegliere tra maternità e lavoro.

Non è raro che le donne scelgano di non avere figli per poter lavorare, in un periodo in cui anche le nascite sono in calo.

Opzione Donna: difficile accedervi e le garanzie sono quasi nulle

Tra le tante discriminazioni di cui le donne continuano a essere vittime, in concomitanza al mondo del lavoro, troviamo anche il sistema prepensionistico Opzione Donna.

I benefici di questa opzione sono pressoché nulli, mentre gli svantaggi, come abbiamo visto, sembrano davvero troppi. A questo proposito è stata scelta una data per uno sciopero tutto al femminile: l’8 marzo 2021.

La giornata dedicata a festeggiare la donna è al centro dello sciopero proprio per mostrare l’inefficacia di questo sistema pensionistico, e lo sciopero, indetto dai sindacati, vuole dare voce alle donne, che sospenderanno il loro lavoro per un giorno.

Lo sciopero riguarda non solo il sistema pensionistico riservato alle donne, ma anche le condizioni generali che vivono nel mondo del lavoro italiano, in corrispondenza con la più grande crisi sanitaria della storia.

Il mondo femminista ha parlato chiaramente dell’Opzione Donna, ritenendola offensiva e un’ulteriore presa in giro nei confronti di una fascia di popolazione così importante, ma così precaria. Il sito orizzontescuola.it ha raccolto la testimonianza di una lavoratrice, in merito al prepensionamento:

“Sono un’insegnante con 39 anni di servizio e 58 anni di età è possibile andare in pensione, con la clausola opzione donne! Grazie, se possibile con quale perdita economica!?”

Andare in pensione anticipatamente con Opzione Donna è considerata una vera e propria perdita economica  dalle donne, che preferirebbero continuare a lavorare piuttosto che aspettare un anno per vedere una pensione davvero minima.

I sindacati invitano nuovamente il governo a pensare a soluzioni alternative sia per le pensioni che per risolvere le disuguaglianze di genere ce coinvolgono il paese, e ancora una volta c’è da attendere.