Opzione Donna, ultimo treno!

Opzione Donna scade il 31 dicembre 2021 ed è difficile che venga rinnovata: le lavoratrici che non hanno fatto domanda pur rientrando nei requisiti corrono ai ripari, per non rischiare di dover lavorare per quasi altri dieci anni. Le regole, le ipotesi allo studio del governo, i possibili scenari per le pensioni nei prossimi anni.

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Uno dei temi più caldi della Legge di Bilancio 2022, a cui sta lavorando il Governo Draghi, è la riforma delle pensioni. E uno dei punti controversi del pianeta della riforma delle pensioni è il destino di Opzione Donna, la formula che permette alle donne con 35 anni di contributi e 58 di età (59 per le lavoratrici autonome) di andare in pensione. A condizione di aver maturato i requisiti entro la fine del 2020 (come spiega la scheda del sito Inps) e di fare domanda entro fine 2021, perché il rinnovo della formula attuale è tutt'altro che scontato. Anzi, appare improbabile.

In questo articolo facciamo allora il quadro della situazione mettendo al centro questa specifica misura, in relazione con gli altri possibili provvedimenti che potrebbero entrare nella Legge di bilancio, sulle pensioni e non solo. Di Opzione Donna, e del suo destino per il 2022, parlano tra gli altri Investireoggi, Scuolainforma e PMI.it.

Opzione Donna: meno lavoro ma anche meno soldi

Intanto, va spiegato che la scelta di uscire dal lavoro con Opzione Donna comporta uno “sconto” significativo sugli anni di lavoro – e lo vedremo meglio nel seguito – ma anche un deciso taglio all'assegno mensile: fino quasi a un 30% in meno rispetto a quanto spetterebbe con la pensione di vecchiaia, che ad oggi spetta a partire dai 67 anni. 

Il motivo della disparità è che con Opzione Donna tutta la pensione è calcolata con il “nuovo” metodo contributivo, mentre se si sceglie di continuare a lavorare fino a raggiungere l'età per la pensione di vecchiaia (spettante solo in base all'età a prescindere dagli anni di contribuzione) per gli anni precedenti al 1996 varrebbe il calcolo col vecchio metodo retributivo, rimasto in vigore per coloro che al 31 dicembre 1995 avevano almeno 18 anni di contributi versati, per la quota versasta fino ad allora.

Assalto all'ultimo treno

Per questo, come ben spiega Investireoggi.it, molte lavoratrici, pur rientranti nei requisiti previsti dalla normativa, non hanno approfittato subito di Opzione Donna, ma ora, dopo che il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha annunciato che la formula non sarà prorogata anche al l 2022, molte donne sono corse ai ripari in massa, cercando informazioni presso Inps e patronati, e negli ultimi mesi del 2022 le richieste sembrano destinate ad aumentare. In particolare nel settore scolastico occorre fare in fretta, perché per poter andare in pensione a fine 2021 la domanda al Ministero dell'Istruzione va presentata entro il 31 ottobre. 

Ad ogni modo non c'è ancora una decisione definitiva: lo sarà con l'approvazione della Legge di Bilancio 2022. E solo due giorni prima un articolo di Scuolainfoma, ipotizzando invece come probabile la proroga di Opzione Donna, ne indicava le possibili modifiche, in particolare l'innalzamento di un anno dell'età anagrafica richiesta per poter aderire a questa formula pensionistica: 59 anni per le lavoratrici dipendenti e 60 per le autonome.

Facendo anche notare come col passare del tempo si riduce la platea delle lavoratrici con un significativo numero di anni lavorati sotto il sistema retributivo, e quindi la penalizzazione sull'assegno spettante con l'attuale formula Opzione Donna rispetto al sistema contributivo puro.

Come funziona Opzione Donna

Opzione Donna è una formula pensionistica relativamente datata: fu introdotta come sperimentazione dalla legge Maroni 243/04, confermata dalla riforma Fornero nel 2011 e mantenuta dai vari Governi successivi. Nonostante sembri abbastanza semplice, ha tuttavia, oltre ai citati requisti fondamentali di anzianità anagrafica e contributiva, anche alcuni vincoli.

A Opzione Donna non si applicano le disposizioni sul trattamento minimo né gli importi soglia – cioè quelli minimi dell'assegno pensionistico perché si abbia diritto a percepirlo, che è calcolato a partire dall'assegno sociale dell'INPS, e dev'essere di almeno 2,8 volte superiore a quest'ultimo.

Non si applica neanche l'accredito figurativo, che consentirebbe di conteggiare i periodi in cui le donne si sono dedicate ai figli fino ai sei anni di età.

Opzione Donna non è compatibile con altre formule: non possono accedervi le lavoratrici che abbiano maturato la pensione di vecchiaia o la pensione anticipata, o che già percepiscano gli aiuti destinati ai lavoratori esodati. 

Inoltre, non tutti i contributi versati sono validi per maturare i requisiti richiesti: sono esclusi i contributi versati esclusivamente alla Gestione Separata Inps, né è esercitabile il cumulo dei periodi assicurativi. Esclusi anche i contributi accreditati per malattia o disoccupazione alle lavoratrici dipendenti del settore privato.

Per il resto, tutti i contributi sono validi: obbligatori, volontari, da riscatto, da ricongiunzione, figurativi. È anche possibile la ricongiunzione dei contributi maturati in caso di carriere miste (parte come dipendenti, parte come autonome). 

Infine, bisogna ricordare che anche per le lavoratrici che riuscissero a ottenere la pensione entro il 31 dicembre di quest'anno, il primo assegno mensile della pensione non arriverebbe subito, ma dopo un anno per le dipendenti e dopo un anno e mezzo per le autonome.

Possibili scenari dal 2022

Il mancato rinnovo di Opzione Donna per il 2022 risulterebbe particolarmente penalizzante per le lavoratrici che oggi hanno meno di 60 anni, perché nella riforma delle pensioni è probabile anche una revisione della formula Quota 100, che passerebbe progressivamente a quota 102 l'anno prossimo, quota 103 nel 2023 e quota 104 nel 2024. Intanto per il 2022 si dà per certo il passaggio a Quota 102.

Che significa, nella migliore delle ipotesi, aggiungere all'età anagrafica 42 anni di contributi. Ipotesi ancora più gravosa di quella che peraltro era la soglia richiesta per tutti, indipendentemente dall'età, nell'altra formula alternativa a Quota 100, cioè appunto Quota 41, proposta dalla Lega. 

Ora, avere 42 anni di contributi a 61 anni vuol dire aver cominciato a lavorare con i contributi a meno di  vent'anni, uno scenario che non riguarda certamente la maggioranza delle lavoratrici che oggi hanno intorno ai 60 anni.  

L'ipotesi quindi è che le lavoratrici che non riusciranno a prendere l'ultimo treno per Opzione Donna nella formula attuale, dovranno lavorare per almeno altri tre- quattro anni, anche conteggiando il riscatto degli anni di laurea. 

Oltre dieci anni di lavoro in ballo

A meno che la formula Opzione Donna, anziché essere abolita del tutto, non venga rivista con un innalzamento dei limiti per accedervi: allora le lavoratrici dipendenti potrebbero andare in pensione a 60 o a 61 anni. È l'ipotesi di Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali. Lo scenario peggiore è invece il ritorno alla formula prevista dalla Legge Fornero, ovvero pensione per tutti a partire dai 67 anni di età. Che vuol dire, per le donne sulla soglia dei requisiti per Opzione Donna nella formula attuale, quasi altri dieci anni al lavoro.

Ricordiamo comunque che la decisione finale spetterà al Parlamento con l'approvazione definitiva della Legge di Bilancio 2022, che dovrà arrivare entro il 31 dicembre 2021.

Lo scenario peggiore si prospetta per chi ricade solo sotto il regime contributivo, cioè coloro che hanno iniziato a versare i contributi non prima del 1996. In questo caso sono richiesti per la pensione di vecchiaia 67 anni di età, 20 anni di contributi e anche il rispetto dell'importo minimo della pensione calcolato in 1.5 volte l'importo dell'assegno sociale della stessa Inps (per il 2021, significa maturare un assegno pensionistico di poco meno di 700 Euro al mese). Altrimenti, si deve arrivare ad avere 71 anni.

Incidenza relativa sui conti Inps

Peraltro va anche detto che la vera zavorra sui conti dello Stato per le pensioni – oltre al mezzo milione di baby- pensionati che ricevono l'assegno mensile da quarant'anni, come abbiamo visto in questo articolo – è soprattutto Quota 100. Anche perché non c'è stato un sufficiente ricambio generazionale e quindi altrettanti giovani che cominciassero a lavorare e a pagare i contributi previdenziali. 

Mentre la platea di lavoratrici che in questi anni ha approfittato di Opzione Donna non incide sui conti in maniera significativa. Lo ha precisato lo stesso presidente dell'INPS Pasquale Tridico, Che propone di permettere la pensione con 20 anni di contributi e a partire da 63 anni di età, in due fasi, con una crescita graduale dell'assegno fino a raggiungere l'età per la pensione di vecchiaia.

D'altra parte il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha ricordato, intervenendo alla recente Giornata del Risparmio (21 ottobre) che “di regola il debito non può essere impiegato a copertura delle spese correnti”, tra le quali naturalmente ci sono le pensioni. 

I conti italiani e i soldi dell'UE

Quindi per mettere soldi sulle pensioni occorre toglierle da altre voci di spesa, per esempio il reddito di cittadinanza o il taglio delle tasse, o ancora i vari bonus, da quello edilizio (si discute soprattutto se estendere la proroga del Superbonus 110 per cento al 2023 solo ai condomini o anche a villette e abitazioni unifamiliari e altre tipologie di edifici), a quello per le auto ecologiche (peraltro appena rinnovato) fino al cashback per favorire i pagamenti elettronici e contrastare l'evasione fiscale. 

Perciò le varie misure che confluiranno nella Legge di Bilancio sono in qualche modo collegate. Certo, proprio il recupero delle tasse evase darebbe un grande aiuto al finanziamento dei vari interventi proposti dalle diverse parti politiche e sociali.

Sullo sfondo ci sono sempre i soldi concessi dall'Unione Europea per compensare la crisi anche economica dovuta all'emergenza del Covid-19, che tutti invocano come risorse da usare per questo o quell'intervento difeso dall'una o dall'altra parte politica o sindacale. Ma per averli occorre rispettare gli impegni presi, tra cui l'attuazione delle riforme, pensioni incluse.

Il risultato pratico è che, prima di avere i finanziamenti, occorrerà impegnare altri soldi. Anche da parte dei lavoratori vicini (più o meno) alla pensione, con altri anni di lavoro e di relativi contributi previdenziali.