Vuoi aprire la Partita Iva? Ecco i pro e i contro!

All'inizio della propria carriera bisogna far fronte a delle scelte professionali importanti, una tra queste riguarda l'apertura della Partita Iva. Se sei un lavoratore dipendente e il lavoro che hai intrapreso prevede solo quest'impostazione, allora non hai nulla a cui pensare. Se sei invece intenzionato a fondare una start-up o vuoi lavorare come libero professionista, questo articolo può aiutarti ad avere le idee più chiare.

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La Partita Iva è un codice numerico composto da 11 cifre ed è suddivisa in 3 parti.

I primi 7 numeri identificano il soggetto in questione (che sia un lavoratore autonomo o un qualsiasi tipo di società), i successivi 3 numeri rappresentano il codice di identificazione dell'Ufficio delle Entrate di competenza, mentre la cifra finale svolge prettamente una funzione di controllo. 

Nel momento in cui si avvia la propria carriera professionale bisogna tenere in considerazione quale sia il lavoro che più sia compatibile alle proprie caratteristiche e bisogna anche essere consapevoli di quali possano essere le opportunità a propria disposizione.

Nel caso in cui si inizi un percorso da lavoratore dipendente, tutto il discorso relativo alla Partita Iva non ha alcun senso, visto che è il datore di lavoro colui che si prende carico di tutto ciò che riguarda il versamento delle tasse e qualsiasi obbligo verso lo Stato.

Il lavoratore semplicemente svolge la propria mansione e riceve la sua busta paga al netto di tutte queste spese obbligatorie.

Il discorso cambia radicalmente quando ci si cimenta nella fondazione di un'azienda o si sceglie di lavorare come libero professionista (chiamato "freelance" in inglese). 

Sia che si lavori come freelance o si fondi e diriga un'azienda, il pagamento delle tasse diventa un compito che tu, potenziale lavoratore autonomo o fondatore di una start-up devi svolgere.

Ti cito una simpatica frase di Checco Zalone, tratta dal film Quo Vado (clicca su questo link per leggere un interessante articolo, nel quale viene spiegata la critica nei confronti di una società non meritocratica), in cui lui sostanzialmente spiega perché il "posto fisso" sia una benedizione e la Partita Iva una sfortuna:

Tredicesima. Se il tuo cuore non conosce questa gioia, allora taci, perché gli dei ti hanno condannato alla partita IVA.

Metti da parte qualsiasi opinione in merito a questa storia sui possibili aspetti negativi del "posto fisso" e concentrati sul discorso Partita Iva.

Da questa frase si possono prendere importanti spunti di riflessione, perché a prescindere da ciò che si pensa, ci sono dei dati di fatto oggettivi che evidenziano le differenze tra i due tipi di percorso professionale.

Scopriamo prima quali sono le caratteristiche principali della Partita Iva, prima di parlare dei pro e dei contro.

Partita Iva: le prestazioni occasionali e il regime ordinario

Prima di procedere con la spiegazione, ho deciso di condividere con te un video dell'Avvocato Carlo Alberto Micheli, che spiega con grande chiarezza i punti da seguire per aprire la Partita Iva. Alcune delle informazioni comunicate nel video le approfondiremo insieme.

Partiamo da un presupposto importantissimo: la Partita Iva deve essere aperta quando il lavoro svolto è costante. Se si lavora effettuando le cosiddette "prestazioni occasionali" non occorre svolgere questo procedimento. 
Ti indico nello specifico i due parametri da tenere in considerazione, per rientrare nella categoria delle prestazioni occasionali:
  • La durata della prestazione lavorativa non supera i 30 giorni annuali (cioè si lavora massimo 30 giorni all'anno)
  • Il compenso massimo annuale è di €5000

Una volta che si superano queste due soglie, si fuoriesce dalla categoria della prestazione occasionale e si rientra in quella abituale, dunque la Partita Iva diventa obbligatoria.

Oggigiorno l'apertura della Partita Iva segue la via telematica e i tempi burocratici variano a seconda della categoria dei vari lavoratori.

Se sei un libero professionista la procedura durerà poco tempo, all'incirca 24 ore, ma se sei il fondatore di un'azienda dovrai aspettare almeno un paio di settimane, dato che dovrai fare l'iscrizione al Registro delle Imprese, tramite la procedura ComUnica (Comunicazione Unica).

A questo punto ci sono due vie da percorrere, cioè la scelta del regime ordinario o del regime forfettario.

Il regime ordinario è adatto generalmente alle società di capitali, come le Società a Responsabilità Limitata (S.R.L), le Società Per Azioni (S.P.A) o le Società in Accomandita Per Azioni (S.A.P.A).

In questo regime rientrano anche le ditte individuali o le società di persone, come le Società a Nome Collettivo (S.N.C), le Società Semplici (S.S) o le Società in Accomandita Semplice (S.A.S) che rispettino i seguenti parametri:

  • Nell'anno precedente hanno conseguito un ricavo superiore a €400.000, per tutte le attività che svolgono una funzione di prestazione di servizi
  • Nell'anno precedente hanno conseguito un ricavo superiore a €700.000, per tutti gli altri tipi di attività, che non svolgono una prestazione di servizi

L'elemento caratterizzante del regime ordinario consiste nel pagamento di imposte che seguono il principio di progressività. In sostanza si seguono varie aliquote IRPEF, suddivise nei seguenti scaglioni:

  • Per i redditi fino a €15.000 si pagherà il 23%
  • Per i redditi compresi tra i €15.001 e i €28.000 si pagherà il 27%
  • Per i redditi compresi tra i €28.001 e i €55.000  si pagherà il 38%
  • Per i redditi compresi tra i €55.001 e i €75.000  si pagherà il 41%
  • Per i redditi superiori a €75.000  si pagherà il 43%

Le imprese che optano per il regime ordinario hanno una serie di obblighi a cui devono adempiere:

  • Seguire il sistema della Fatturazione Elettronica
  • Effettuare la tenuta dei registri Iva: in pratica bisogna registrare tutte le fatture, sia di acquisto che di vendita, insieme a tutti gli oneri deducibili ai fini di imposta sui redditi e fuori campo Iva
  • Registrare tutti gli incassi e i pagamenti (entro 60 giorni)
  • Registrare tutti i beni ammortizzabili
  • Compilare il Libro Unico del Lavoro, nel caso in cui ci fossero dipendenti
  • Partecipare agli studi di settore (si tratta di sondaggi che effettua il fisco periodicamente)

Partita Iva: il regime forfettario e il codice ATECO

Il regime forfettario è il secondo tipo di regime che si può scegliere quando si apre la Partita Iva. Generalmente risulta essere la soluzione migliore per i liberi professionisti e per le start-up individuali (quindi i vari tipi di società sono escluse). 

I 2 principali criteri di riferimento per poter rientrare nella categoria del regime forfettario sono:

  • Ricavi e compensi inferiori a €65.000 all'anno
  • Spese di lavoro dei dipendenti inferiori a €20.000 all'anno

Le principali differenze tra il regime forfettario e quello ordinario riguardano in particolar modo un grosso alleggerimento del carico fiscale da parte del lavoratore.

Nel concreto il titolare di Partita Iva forfettaria non è obbligato a fatturare elettronicamente, ha una percentuale di tasse massima al 15%, che in altre circostanze può scendere anche al 5% e questo vantaggio dura 5 anni. Un altro vantaggio è l'esclusione dello studio di settore, obbligatorio invece per la Partita Iva ordinaria.

Dunque, una volta identificato il regime appropriato si deve selezionare il codice ATECO (il codice dell'Attività Economica). Esso è una sequenza di 6 cifre che identifica un ramo specifico di un settore professionale. Il codice ATECO è importantissimo perché da esso si determina l'ammontare della percentuale su cui pagare le tasse.

Partita Iva: vantaggi e svantaggi

Riprendiamo la citazione di Checco Zalone, perché ci sarà molto utile per capire i pro e i contro della Partita Iva, messa a paragone col lavoro da dipendente. 

La prima differenza sostanziale riguarda i compensi: mentre nel lavoro subordinato il compenso è assicurato, talvolta sono presenti anche doppi stipendi come la tredicesima (i famosi "due cinghiali" di Quo Vado) e la quattordicesima, mentre chi è titolare della Partita Iva deve assolutamente lavorare per poter ottenere le entrate.

Ovviamente il titolare della Partita Iva ha una prospettiva di guadagno potenzialmente superiore al dipendente, mentre quest'ultimo riceve lo stesso e identico stipendio alla scadenza di ogni mese, a prescindere da quelli che possono essere i risultati aziendali.

Un altro fattore importante è la responsabilità della contabilità fiscale: nel caso della Partita Iva è il professionista o titolare dell'azienda che deve svolgere queste mansioni burocratiche, mentre nel caso del dipendente c'è il datore di lavoro che fa questo lavoro al posto suo.

C'è un altro elemento che rende più difficile il percorso della Partita Iva, ossia le spese obbligatorie: il professionista o l'azienda di turno deve sostenere anche i costi dell'INPS e di altri servizi come il commercialista e queste spese, sia che si fatturi o meno, sono fisse.

Senza dubbio il lavoratore subordinato ha dei vincoli orari prestabiliti, mentre i titolari di Partita Iva possono gestire il proprio tempo e le proprie attività con autonomia, senza dover rendere conto a un datore di lavoro, perché loro sono i "titolari di sé stessi". Ciò implica il fatto che bisogna sviluppare delle ottime capacità organizzative.

Il lavoratore dipendente, quando è in malattia oppure ha le ferie, in entrambi i casi viene retribuito, ma per quanto riguarda la Partita Iva questo discorso non vale. Come ho detto prima, il guadagno è direttamente proporzionale al lavoro svolto.

Il grande vantaggio che il lavoro da imprenditore o da libero professionista tende ad avere rispetto al lavoro subordinato è lo stimolo alla crescita. Intendo dire che proprio perché i guadagni dipendono dalla quantità e dalla qualità del proprio lavoro (oltre che ad altri fattori personali ed esterni), si è spinti a impegnarsi di più.

Il grande rischio del lavoro da dipendente lo si nota ancora una volta nel film di Checco Zalone, cioè ci si può "rilassare eccessivamente". Naturalmente questo discorso non vale automaticamente per tutti i tipi di lavoro, anche perché questo dipende maggiormente dall'etica e dallo spirito di lavoro e di correttezza da parte del lavoratore.

Ciò non toglie che questo sia uno scenario assolutamente realistico e la probabilità che queste dinamiche si possano sviluppare non è bassissima.

Conclusioni

In sostanza, conviene principalmente lavorare come dipendente,  come imprenditore o come libero professionista?

La risposta è strettamente personale e la decisione deve essere presa in base ai propri mezzi e ai propri obbiettivi. Questo vuol dire che in fin dei conti bisogna capire quali sono i principali punti di forza e i propri "talenti" per poter decidere il tracciamento del proprio percorso lavorativo. 

Cito una frase di Steve Jobs, che ritengo sia assolutamente adatta a questo tipo di pensiero:

L'unico modo di fare un ottimo lavoro è amare quello che fai. Se non hai ancora trovato ciò che fa per te, continua a cercare, non fermarti, come capita per le faccende di cuore, saprai di averlo trovato non appena ce l'avrai davanti. E, come le grandi storie d'amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continua a cercare finché non lo troverai. Non accontentarti. Sii affamato. Sii folle.

Si tratta di una scelta che prevede una certa responsabilità sulle proprie spalle e poi si deve anche essere consapevoli che si può passare da dipendente a libero professionista o a imprenditore, così come può accadere il contrario. Alla fine ciò che conta è sentirsi soddisfatti e autorealizzati nella propria sfera professionale.