Draghi taglia le pensioni. Ecco la nuova direttiva europea!

L'Italia deve tagliare le pensioni. E' questo, in estrema sintesi, il monito che arriva dall'Europa. E' necessario ridurre il debito entro il 2022. E se questo dovesse significare mettere mano alle pensioni e al welfare e tagliare tutto, non importa. La richiesta - o sarebbe più giusto dire il monito - arriva direttamente dalla Commissione europea, che con la presentazione del piano economico del semestre europeo ha trovato il modo per fare il punto della situazione sul debito italiano e ha iniziato a dare le prime indicazioni.

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L'Italia deve tagliare le pensioni. E' questo, in estrema sintesi, il monito che arriva dall'Europa. E' necessario ridurre il debito entro il 2022. E se questo dovesse significare mettere mano alle pensioni e al welfare e tagliare tutto, non importa. La richiesta - o sarebbe più giusto dire il monito - arriva direttamente dalla Commissione europea, che con la presentazione del piano economico del semestre europeo ha trovato il modo per fare il punto della situazione sul debito italiano e ha iniziato a dare le prime indicazioni.

Mario Draghi ed il suo Governo ne dovranno necessariamente tenere conto: a breve dovranno mettere mano alla riforma delle pensioni e le osservazioni, che arrivano dall'Europa, dovranno essere tenute nella giusta considerazione. Prima di tutto, comunque, arriverà la Manovra di Bilancio: Draghi avrebbe le idee chiare. All'orizzonte non si dovrebbero prospettare solo dei modelli dettati dall'austerità. All'orizzonte ci dovrebbe essere una vera e propria riforma fiscale e una serie di investimenti mirati con il PNRR. Ma sulle pensioni si ritrovano a premere due forze diverse, con richieste contrapposte. L'Europa da una parte e i sindacati dall'altra. 

Pensioni, scontro tra sindacati ed Europa!

Se da un lato arriva il diktat diretto dell'Europa, dall'altro è sempre ferma la posizione dei sindacati, che giustamente cercano di difendere i diritti dei lavoratori. L'Europa chiede una riduzione del debito, che in altre parole è un modo elegante per dire che è tempo di tagliare il welfare e le pensioni. Diversa è la posizione dei sindacati, che continuano a chiedere a gran voce una sostituzione di Quota 100, che come tutti ben sanno concluderà la propria epopea a fine anno. Luigi Sbarra, segretario generale delle Cisl, dalle pagine di Repubblica interviene sulle pensioni e rivendica che

è mancata finora una effettiva politica di concertazione ed un patto sociale che noi vogliamo si realizzi su tutte le questioni sul tappeto, dai licenziamenti alla sicurezza sul lavoro, dall’utilizzo del Recovery Plan alle riforme degli ammortizzatori e delle politiche attive, dal fisco alle pensioni. La condivisione degli obiettivi e delle responsabilità reciproche è la strada giusta oggi per far ripartire il Paese.

Quota 100 lascerà i lavoratori italiani orfani di un'importante misura per andare in pensione anticipatamente. A fine anno i lavoratori si ritroveranno davanti uno scalone di 5 anni: fino al 31 dicembre 2021 potranno andare in pensione a 62 anni, dal 1° gennaio 2022 dovranno aspettare di averne 67.

Come uscire dal lavoro anticipatamente!

Nel caso in cui un lavoratore fosse iscritto alla previdenza complementare avrà la possibilità di valutare se ricorrere alla Rita, ossia la rendita integrativa temporanea anticipata, che è riservata a quanti siano disoccupati almeno da due anni e siano iscritti ad un fondo pensione almeno da cinque anni. Questa soluzione permette di ottenere una rendita mensile 10 anni prima del raggiungimento dell'età per la pensione di vecchiaia: in altre parole sarà possibile uscire dal lavoro a 57 anni e percepire, come spiega pmi.it

non una indennità di prepensionamento in senso stretto, poiché non è previsto alcuno sconto sull’età pensionabile né sugli anni di contributi necessari a ritirarsi dal lavoro, ma l’erogazione anticipata di quanto accumulato presso il fondo pensione.

Un'alternativa valida per uscire dal mondo del lavoro anticipatamente è anche l'Ape sociale. L'ultima Legge di Bilancio ha provvveduto a prorogare a tutto il 2021 questa misura e ha previsto un incremento dei limiti di spesa, alla luce anche della crisi che il paese sta attraversando. L'Ape Sociale permette di ottenere un'indennità erogata a quanti abbiano compiuto almeno 63 anni di età e che non siano già titolari di una pensione diretta. Questa indennità viene corrisposta fino al raggiungimento dell'età prevista per la pensione di vecchiaia o al conseguimento di quella anticipata.

Pensioni, tra proposte e necessità!

Obiettivamente, se da un lato l'Europa chiede a Mario Draghi di muoversi in una direzione e i sindacati insistono per andare in un'altra, cosa ci sarebbe necessità di fare per le nostre pensioni. A fare il punto della situazione ci ha pensato Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, che ha provato a valutare i possibili effetti di una riforma previdenziale che vada a sostituire Quota 100.

Per la pensione di vecchiaia occorre avere 67 anni di età (requisito valido a tutto il 2022) con almeno 20 anni di anzianità contributiva a patto di aver maturato un importo minimo di pensione non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale (693,18 euro lordi mensili) indicizzato con la media mobile quinquennale del Pil nominale - spiega Brambilla -. Quest’ultimo vincolo viene meno al raggiungimento di un’età anagrafica superiore di 4 anni a quella prevista per il pensionamento di vecchiaia (71 anni nel quadriennio 2019/2022). A questa età sarà liquidato l’assegno pensionistico maturato indipendentemente dal suo valore, a condizione di poter far valere almeno 5 anni di contribuzione effettiva.

Soffermadosi sui contributivi puri, Brambilla spiega:

è prevista anche la pensione di vecchiaia anticipata, con un anticipo fino ad un massimo di 3 anni rispetto all’età prevista (oggi 67 anni), se in possesso di almeno 20 anni di contribuzione ed un importo minimo di pensione non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale cioè una rendita di 1.294 euro lordi al mese che corrisponde in media a uno stipendio mensile lordo da lavoro di circa 1.850 euro; non proprio alla portata di tutti i lavoratori.