Pensioni, via il sistema misto! Contributivo pieno per tutti

Si è svolto il nuovo confronto tra Sindacati e Governo sulla Riforma Pensioni, che entrerà in vigore nel 2023 e che dovrà essere costruita quest’anno. Non si parla solo di pensioni anticipate, ma pare ormai certo l’approdo ad un nuovo calcolo contributivo per tutti, che si stima porterà ad una riduzione dell'assegno fino al 30% dell’importo.

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A differenza della Riforma Fiscale, identificata da subito come la priorità 2022 dal Governo Draghi, un presa di posizione sul tema pensioni viene rimandato al 2023.

La Riforma Pensioni 2022 si è infatti limitata ad intervenire sulle pensioni anticipate, quali Ape Sociale e Opzione Donna, e sostituendo Quota 100 (62 anni di età + 38 di contributi) con Quota 102 (64 anni di età + 38 di contributi).

Intanto, sono ufficialmente ripartiti gli incontri e i tavoli di discussione tra esecutivo e forze sindacali, per varare le modifiche strutturali da applicare al sistema pensionistico italiano e che dovranno entrare in vigore nel 2023.

In programma ci sono nello specifico tre tavoli tecnici con il primo dei quali previsto per il prossimo 20 gennaio e che verteranno tutti sul tema previdenziale.

L’obiettivo del Governo infatti è intervenire con una ristrutturazione del sistema pensionistico che entri in vigore alla scadenza di Quota 102, il 31 dicembre 2022, e che se da un punto di vista di età non dovrebbe apportare cambiamenti alla Riforma Fornero, cioè con la pensione di vecchiaia a 67 anni, dovrebbe però consentire possibilità più flessibili in uscita.

In questo sistema non viene toccato l’APE Sociale, mentre resta meno probabile un rinnovo per Opzione Donna nel 2023.

Quello che appare evidente da questo primo incontro del 12 gennaio tra esecutivo e forze sindacali è che pare ormai data per certa la proposta di Draghi di un passaggio, nel 2023, al contributivo pieno per tutti e l'addio al sistema misto, posizione su cui le forze governative hanno annunciato che non faranno passi indietro. 

Governo vs. sindacati, non c’è scampo! La Riforma Pensioni passa al contributivo pieno nel 2023

Dal confronto tra Governo e Sindacati sul tema pensioni, a cui hanno partecipato i Ministri del Lavoro e dell’Economia, Andrea Orlando e Daniele Franco, assieme ai leader delle principali forze Sindacali, cioè Maurizio Landini della CGIL, Luigi Sbarra della CISL e Pierpaolo Bombardieri della UIL, è scaturito un calendario per la formazione di tre tavoli tecnici.

Il primo tavolo tecnico è in previsione per il 20 gennaio ed entrerà subito nel vivo delle problematiche centrali legate alla pensione per le donne, anche in procinto della scadenza di Opzione Donna a fine 2022, e della pensione di garanzia per i giovani.

Ma in ballo c’è molto di più, perché per volontà del Premier stesso il governo difficilmente farà passi indietro su quella che è l’ipotesi principale per la la Riforma Pensioni 2023: un calcolo dell’assegno pensionistico con il contributivo pieno per tutti e l'addio al sistema misto. Cosa che si tradurrebbe in una riduzione netta, fino al 30%, degli importi dello stesso, ma le casse dello Stato ne risulterebbero nettamente beneficiate.

Stando alle dichiarazioni fatte alla stampa dai leader sindacali su questo punto, cioè il contributivo pieno, pare non vi sia molta scelta, ma l’intero sistema dovrà prevedere sistemi in uscita flessibili, cioè più forme di pensione anticipata già inserite nell’ordinamento generale. 

Insomma, i Sindacati prendono le distanze ideologiche dal sistema contributivo pieno voluto da Draghi, con applicazione a partire dal 2023, ma lasciano anche trapelare che c’è poca possibilità di manovra in questo senso.

Riforma al lavoro su pensione di garanzia per i giovani, donne e previdenza complementare

Quel che è certo è che tra i prodotti di questa Riforma Pensioni 2023 vi sarà la pensione di garanzia per i giovani, il cui obiettivo è quello di arginare il problema della diffusione del lavoro discontinuo e delle conseguenze che questo ha su molti cittadini, che non riescono a raggiungere facilmente neanche i requisiti minimi per il pensionamento.

Al centro anche il tema della previdenza complementare e la pensione delle lavoratrici, con la possibilità che queste abbiano canali preferenziali di uscita anticipata, già all’interno dell’ordinamento pensionistico generale e non solo affidate a misure esterne e create ad hoc, come Opzione donna (58/59 anni di età + 35 anni di contributi).

Come sarà la pensione anticipata nel 2023, dopo la fine di Quota 102?

Per quanto riguarda l’uscita anticipata la Riforma Pensioni 2023 vedrà l’addio definitivo a misure come Quota 102, attiva solo quest’anno, su cui proprio negli utlimi giorni sono arrivate le prime istruzioni dell’INPS. Probabilmente il sistema continuerà a prevedere la possibilità di un pensionamento a 62 anni di età con requisiti contributivo annessi, ma in alternativa i Sindacati spingono per la tanto citata Quota 41 per tutti, cioè l’uscita a 41 anni di età per tutti, ma sempre con calcolo contributivo pieno. 

È probabile quindi che si scelga di intervenire semplicemente con un abbassamento minimo dei requisiti attuali, che già prevedono la pensione anticipata per gli uomini a 42 anni e dieci mesi di contributi e per le donne a 42 anni e dieci mesi di contributi.

In ogni caso dovremmo aspettarci qualcosa di molto diverso e meno dispendioso per la finanza pubblica del progetto originale “Quota 41 per tutti” previsto dai Sindacati, cioè con un ricalcolo a rialzo dell’assegno pensionistico.

In verità, questa riforma in fase di studio, ma molto vaga nei suoi aspetti fondamentali, fa temere un ritorno completo alla Fornero. Anche perché, come il Governo non nasconde, la coperta è corta e le casse dello Stato hanno risorse limitate.

Deve infatti considerarsi che spesa pensionistica e spesa previdenze non sono separate e la pandemia degli ultimi anni ha portato a dei costi enormi per i vari ammortizzatori sociali introdotti, che hanno prosciugato anche la dotazione destinata allo scopo di ristrutturare il sistema pensionistico, portandolo a favore dei lavoratori.

Che fine fa l’APE sociale nel 2023 dopo la nuova Riforma Pensioni?

In questo sistema la Riforma Pensioni non toccherà però nel 2023 l’Ape Sociale il cui rinnovo su larga scala è già stato previsto dalla Legge di Bilancio di quest’anno (234/2021) anche con i dovuti ampliamenti. 

Tenere in vita tale misura risolve infatti il problema della pensione anticipata per alcune categorie speciali, cioè disoccupati, caregiver e attività gravose, queste ultime nel 2022 ampliate nel numero, e come tale non subisce attacchi.

Piuttosto pare che l’esecutivo stia valutando un possibile ampliamento ulteriore dell’Ape Sociale con la possibilità anche per le attività usuranti di avere il questo anticipo pensionistico nel 2023, a cui si accede al momento con 63 anni di età ed a condizione di aver accumulato 30 anni di anzianità contributiva, per caregiver e disoccupati, e 36 anni, per le attività gravose.

Le modifiche applicate dal 2022 all'Ape Sociale e la nuova lista dei lavori gravosi sono descritti nel video YouTube di AppLavoro:

Quale destino riserva ad Opzione Donna la Riforma Pensioni nei prossimi anni? 

Diversamente da Ape Sociale, che non sarà intaccato dalla Riforma Pensioni, assisteremo con buona probabilità ad un 2023 senza Opzione Donna.

Prima di tutto, la misura è stata già a rischio quest’anno con la prima bozza della manovra di bilancio 2022 in cui non era previsto alcun rinnovo. In secondo luogo, Opzione Donna ha più nemici di quanti si creda, dall’Europa alla Banca d’Italia, che ne hanno chiesto l'eliminazione a più riprese, proprio per l’enorme impatto che essa ha sulla spesa pensionistica.

Come sappiamo poi, i tavoli tecnici sulla Riforma, organizzati tra Governo e Sindacati, verteranno anche e principalmente sul tema della pensione per le donne, cioè sulla possibilità di misure flessibili in uscita per le sole lavoratrici, che consentano una pensione anticipata preferenziale, ma concepita all’interno dell’ordinamento pensionistico stesso.