Prestazione occasionale o Partita IVA: in quali casi conviene e quali sono i rischi

Nel lavoro autonomo si può scegliere tra prestazione occasionale o partita IVA. Ecco in quali casi conviene di più, e quali sono i pro e contro.

Se non si è stipendiati si può comunque avere dei redditi regolari, purché secondo queste due disposizioni fiscali: redditi da prestazione occasionale o registrati sotto Partita IVA.

L’ordinamento nazionale prevede per i freelance la possibilità di incassare soldi una tantum, purché con una ritenuta d’acconto prevista sopra un determinato importo, o continuativamente ma a patto di non superare una certa soglia, oltre la quale conviene procedere all’apertura della Partita IVA.

Vediamo infatti in quali casi conviene il sistema della prestazione occasionale, e in quali casi quello della Partita IVA:

Prestazione occasionale o Partita IVA: in quali casi conviene e quali sono i rischi

Si può ricorrere alla prestazione occasionale come freelance di diversi settori economici, che vanno dalle associazioni alle fondazioni, fino alle imprese agricole e agli enti locali, e addirittura alle ONLUS.

Nel caso della Partita IVA, questa è prevista per tutte le attività economiche ascrivibili ad un codice ATECO, pertanto l’accesso non è possibile in caso di attività non legalizzate dallo Stato.

La prestazione occasionale è convienente soltanto se si effettua durante l’anno attività economiche che comportano ad un reddito annuo lordo inferiore a 5.000 euro, limite oltre il quale bisognerà provvedere al pagamento degli oneri previdenziali.

Se non si comunicano tali prestazioni all’INPS, o non si procede al pagamento degli oneri, così come si utilizzi la prestazione occasionale al di fuori dei casi previsti, scatta una sanzione amministrativa, che va dai 500 ai 2.500 euro per ogni prestazione lavorativa non registrata.

Prestazione occasionale o Partita IVA: quando si applica

Come visto, la prestazione occasionale è applicabile presso molte attività economiche. Non è invece applicabile in cui si lavori per aziende aventi alle proprie dipendenze più di 5 lavoratori subordinati a tempo indeterminato.

Caso a parte sono le aziende alberghiere e strutture ricettive, il cui limite sale a 8 lavoratori ma solo:

  • per le attività lavorative rese dai pensionati,

  • se giovani con meno di 25 anni di età, disoccupati, percettori di prestazioni integrative del salario (es. RDC, REI…).

E così anche per le imprese del settore agricolo.

Invece è divieto assoluto per le imprese dell’edilizia e di settori affini, delle imprese esercenti l’attività di escavazione o lavorazione di materiale lapideo.

Non è più applicabile nel corso dell’anno la prestazione occasionale qualora si superi i 5.000 euro di reddito. In caso contrario, il lavoratore è tenuto a pagare anche i contributi INPS iscrivendosi alla Gestione Separata, ma solo sulla parte eccedente i 5.000 euro e non sul totale delle prestazioni occasionali.

La parte contributiva può andare dal 25% fino al 35% a seconda della condizione lavorativa in cui si trovi (es. co.co.co).

Se si apre la partita IVA è perché le entrate sono diventate regolari, pertanto si può procedere al pagamento di tutti gli oneri, e con un calcolo diverso.

Se si è neo-partita IVA, per i primi 5 anni si ha diritto ad un’imposta IRPEF del 5% (dal sesto anno sale al 15%) per redditi inferiori a 85.000 euro. Se si supera tale limite, si dovrà passare al regime ordinario, quindi alle aliquote IRPEF originarie.

Leggi anche: Come risparmiare con la partita IVA? Tutti i consigli utili per i liberi professionisti

Prestazione occasionale o Partita IVA: quali sono i rischi

I rischi di queste due modalità di retribuzione sono minime, se si sta attenti. Nel caso della prestazione, il rischio maggiore è dettato dal superamento della soglia massima di 5.000 euro.

Non scatta la sanzione sopracitata se si procede alla registrazione entro l’anno solare alla Gestione Separata, però tutti i redditi sopra tale limite saranno soggetti ad un decurtamento previdenziale fisso, senza poter applicare coefficienti di redditività.

Questi ultimi sono invece previsti nel caso di apertura della Partita IVA. Invece di pagare come co.co.co il 35% di contributi fisso per i redditi eccedenti, con la Partita IVA potrai applicare quel 35% ad un coefficiente di redditività calcolato secondo il codice ATECO al quale sei registrato presso l’Agenzia delle Entrate. A conti fatti, pagherai da un minimo di 20-23% ad un massimo del 29,75%.

L’essenziale è dichiarare tali prestazioni, se eccedenti la soglia massima consentita, tramite Certificazione Unica, o Modello 730 se più di un sostituto d’imposta.

Ricordiamo che tutte le prestazioni saranno soggette ad una ritenuta d’acconto, pari al 20%, da calcolare secondo l’imponibile previsto per legge (es. se diritti d’autore, tra 60-75%, altrimenti è al 100%).

Nel caso della Partita IVA, se contribuente forfettario si dovrà sottoporre il calcolo di tutte le fatture emesse alla percentuale di contributi INPS da versare (e non una parte precisa, come nel caso delle prestazioni occasionali).

Se ad esempio hai fatturato 15.000 euro lordi, come contribuente forfettario con aliquota previdenziale al 25%, dovrai dare all’INPS ben 3.750 euro. In tal caso, l’IRPEF da versare sarà calcolato sul lordo detratto il contributo INPS: nel nostro caso, rimanendo 11.250 euro, dovrai corrispondere 562,50 euro di IRPEF.

Di contro, se contribuente forfettario, non potrai avere diritto ad alcuna detrazione fiscale, prevista invece in caso di regime ordinario.

Leggi anche: Si può lavorare senza aprire la Partita Iva? Sì, ma solo in questi casi

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