La situazione pensionistica nazionale non sta affatto migliorando negli ultimi anni. Purtroppo la pensione pubblica per chi uscirà dal lavoro tra qualche decennio sarà molto più magra rispetto a chi è riuscito a ritirarsi prima.
Molti addirittura pensano di ritardare la propria pensione, così da avere un assegno mensile più corposo, o addirittura continuare a lavorare.
Se si prende la simulazione INPS come riferimento al calcolo dell'uscita pensionistica, in effetti la situazione non è molto confortante, anche nel remoto caso in cui ci si affidi ad un "sistema misto", ovvero retributivo e contributivo.
Quanto prenderesti di pensione nei prossimi anni: il calcolo secondo la simulazione INPS
Da qualche anno l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha reso disponibile ai propri utenti registrati una simulazione capace di calcolare grossomodo la tua pensione quando maturerai gli anni anagrafici e contributivi necessari.
Precisiamo che la simulazione INPS basa i suoi calcoli su quanto disposto di recente, pertanto tale simulazione ha valore solo entro un certo limite temporale. Qualora il Governo volesse procedere a modificare i requisiti previdenziali (es. aumentare l'età per l'uscita pensionistica), bisognerebbe rifare tutti i calcoli.
Ad oggi, però, se un trentenne dipendente privato volesse sapere quanto potrebbe avere di pensione, avrebbe davanti tre scenari.
Nel primo scenario, se all'uscita dal lavoro dovesse avere almeno più di 20 anni di contributi effettivi, potrebbe beneficiare a 67 anni di un importo della pensione non inferiore a 2,8 dell'importo dell'assegno sociale, pari a euro 1410 euro.
Nel secondo scenario, se all'uscita dal lavoro dovesse avere 20 anni di contributi indicativi, potrebbe beneficiare a 70 anni di un non inferiore a 1,5 dell'importo dell'assegno sociale, pari a euro 755 euro.
Nel terzo scenario, se dovesse avere solo 5 anni di contributi effettivi, potrebbe andare in pensione a 74 anni, senza alcun requisito di importo, rischiando così la sola pensione minima.
Sono cifre e requisiti che valgono per l'anno 2023, e che andranno adeguate per gli anni successivi.
Quanto si prende di pensione con uno stipendio di 1.500 euro
Se invece si volesse fare un calcolo direttamente sullo stipendio, ad esempio uno da 1.500 euro al mese, la situazione cambia.
Supponiamo che il lavoratore sia un ex dipendente privato, ormai giunto al suo sessantasettesimo anno d'età, con alle spalle 40 anni di contributi. Se ha lavorato ininterrottamente da decenni, teoricamente ha versato diversi anni contributivi prima del 31 dicembre 1995, quando era in vigore il solo regime retributivo.
Supponiamo che abbia versato 14 anni di contributi prima di tale data. Essendo in questo caso un regime misto, il calcolo non sarà molto favorevole: dal suo stipendio di 1.500 euro arriverebbe ad avere come pensione un assegno mensile di 1.250 euro.
A gravare sul calcolo è la quota previdenziale, dal momento che, con una quota contributiva inferiore, si avrebbe un assegno ancora più ridotto.
Supponiamo ora abbia non 40 anni di contributi, ma 30. In tal caso, perderebbe 300 euro rispetto alla simulazione precedente, andando a 950 euro netti di pensione.
Se si vuole invece avere un buon assegno, e al tempo stesso anticipare l'uscita pensionistica, bisognerà compensare con gli anni contributivi. Nel nostro caso, uscendo a 64 anni ma con 38 anni di contributi versati, ad oggi il lavoratore potrebbe beneficiare dell'uscita anticipata con Quota 102.
Ma anche in questo caso, a fronte di uno stipendio mensile pari a 1.500 euro, non avrebbe più di 1.150 euro netti al mese.
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Come posso sapere quanto prenderò di pensione
Oltre alla simulazione INPS, per sapere quanto prenderò di pensione può essere sufficiente anche il solo Estratto Contributivo Previdenziale, rilasciato dall'INPS anche via online dalla propria pagina utente.
Da questi dati bisognerà successivamente conoscere i coefficienti di trasformazione per le pensioni da applicare nel proprio caso. Perché il calcolo della pensione finale si ottiene moltiplicando il montante contributivo per il coefficiente di trasformazione relativo all’età in cui si va in pensione.
Il problema di fondo non è nel montante, ovvero nei contributi versati, ma nel coefficiente di trasformazione, perché sono aliquote stabilite per legge dal Ministero del Lavoro e vengono periodicamente aggiornate, ogni tre anni in base all’adeguamento dell’età pensionabile rispetto alle aspettative di vite (scatti età pensionabile).
Nel lungo periodo, se la situazione previdenziale dovesse peggiorare, è indubbio che tali aliquote porteranno a calcoli sempre meno favorevoli. Già oggi si può notare come gli assegni pensionistici si riducono, mediamente, dall’80% dell’ultima retribuzione, secondo il sistema retributivo, al 65% con il passaggio a quello contributivo. Avanti di questo passo e praticamente si avrà una pensione minima anche come contribuente "perfetto".
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