Salviamo le pensioni dei giornalisti e dei giovani

Il governo vuole risolvere il problema di Inpgi1, la cassa previdenziale dei giornalisti che rischia la bancarotta, facendola confluire nell’Inps. Per renderla un’operazione equa, però, occorre richiedere un sacrificio a chi ha ricevuto finora un trattamento speciale.

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Il governo vuole risolvere il problema di Inpgi1, la cassa previdenziale dei giornalisti che rischia la bancarotta, facendola confluire nell’Inps. Per renderla un’operazione equa, però, occorre richiedere un sacrificio a chi ha ricevuto finora un trattamento speciale.

Un articolo della legge di bilancio sfuggito a gran parte delle cronache prevede il passaggio all’Inps della cassa previdenziale dei giornalisti dipendenti, Inpgi1, che viaggia con deficit annuali attorno ai 200 milioni. La componente relativa ai lavoratori autonomi, Inpgi2, in attivo perché composta per lo più da giovani freelance, rimarrà privata. Non è previsto alcun intervento per ridurre le prestazioni in essere prima dell’ingresso in Inps.

Il dissesto dell’Inpgi è in gran parte attribuibile a una causa semplicissima: ha garantito pensioni troppo generose ed età pensionabili troppo basse. Fino al 2017 le pensioni venivano calcolate interamente con il metodo retributivo, e con un tasso di rendimento molto più alto di quello offerto dalla componente retributiva del sistema pubblico. Ogni anno di contribuzione dava diritto al 2,66 per cento (anziché a un tasso tra lo 0,9 e il 2 per cento a seconda del livello di reddito come nel sistema pubblico) degli ultimi cinque anni di retribuzione, o dei dieci migliori anni. Quindi, con quarant’anni di contributi si poteva percepire una pensione più alta dell’ultima retribuzione.  La pensione di anzianità media per i giornalisti uomini è oggi superiore agli 80.000 euro, quella di vecchiaia anticipata è di circa 78.500 euro. Questa è la media, ma parecchie prestazioni sono molto superiori ai 100.000 euro all’anno. Anche per le pensioni di reversibilità, l’Inpgi ha garantito per molto tempo trattamenti molto più vantaggiosi di quelli dell’Inps.

I giornalisti godono anche di prepensionamenti assai generosi: 62 anni di età e 25 di contributi, cioè di fatto una quota 87! Nel calcolo della pensione possono vedersi riconosciuti fino a cinque anni di contributi mai versati. Questo comporta un ulteriore aumento dell’assegno fino al 20 per cento. Gli oneri sono pagati dallo stato al 70 per cento. La bozza di Legge di Bilancio rifinanzia anche questi ammortizzatori sociali.

A questa gestione allegra, si è poi aggiunta la crisi del settore, che ha causato un forte calo del numero di contribuenti (-17 per cento in dieci anni) e ancor più del monte salari su cui vengono prelevati i contributi (-18 per cento). Questa crisi avrebbe dovuto indurre a un ricalcolo delle pensioni in essere per garantire la sostenibilità dei conti. Dieci anni fa, l’allora ministro Elsa Fornero aveva segnalato questi problemi e venne accusata di sferrare contro l’Inpgi attacchi “immotivati, denigratori, che tentano di colpire una cassa che ha i conti in ordine” (nelle parole di Franco Siddi, allora segretario del sindacato dei giornalisti). Si è invece aspettato fino al 2017 per fare qualche correzione, peraltro insufficiente.

Certo, far confluire l’Inpgi1 nell’Inps è meglio che spostare circa 17.000 “comunicatori professionali” (portavoce, addetti stampa, etc.)  dall’Inps all’Inpgi, come richiesto dai vertici di quest’ultimo nel 2017, con il supporto accanito dell’allora sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon. Per fortuna questa operazione di facciata, ritentata nel 2019, che aveva lo scopo di salvare momentaneamente  un ente in dissesto aumentandone le entrate con l’assorbimento di lavoratori giovani (e pazienza se a rimetterci sarebbero stati questi ultimi), è stata sventata. Ma non si può accettare che il salvataggio  di Inpgi1 avvenga senza chiedere un contributo a chi ha goduto e continua a godere di trattamenti palesemente insostenibili. È una questione di equità, ma non solo: stiamo creando un precedente, con il modo con cui verrà gestito l’ingresso dell’Inpgi1 che condizionerà anche il modo con cui problemi analoghi di altre casse verranno affrontati in futuro.

C’è, infatti, una fragilità strutturale nel sistema delle casse: comportano un’eccessiva concentrazione del rischio perché riguardano professioni molto specifiche.  Se il settore e la professione vanno in crisi, la cassa diventa non più sostenibile perché si riducono i contribuenti, che pagano le pensioni a chi si è ritirato dalla vita attiva. Il vantaggio di portare una cassa all’Inps risiede proprio nel permettere una maggiore condivisione del rischio. Ma questa condivisione del rischio richiede che si adottino regole comuni nel calcolo delle prestazioni, non solo di quelle future, ma almeno in parte anche di quelle in essere. Se l’Inpgi1 viene salvata senza alcun contributo dei suoi membri, è un invito a tutte le altre casse a offrire ai propri aderenti prestazioni insostenibili contando sul fatto che, prima o poi, interverrà il settore pubblico per salvarle garantendo le prestazioni in essere.

Nelle conferenze stampa al termine dei Consigli di Ministri si moltiplicano le dichiarazioni di attenzione nei confronti dei giovani, ma, con l’ultima Legge di Bilancio, dopo “quota 100” avremo “quota 102” e la prospettiva che fra un anno saremo ancora lì a discutere di pensioni invece di occuparci dei tanti problemi che interessano la vita dei giovani. La vicenda dell’Inpgi è un ulteriore esempio di questo atteggiamento: i giovani dovranno sobbarcarsi anche le pensioni dei giornalisti calcolate con tassi di rendimento quattro o cinque volte più generosi di quelli che spetteranno a loro. Oltre al danno, la beffa.

Di Tito Boeri e Roberto Perotti