Smart working e rischi per la salute: il tecnostress!

Smart working confermato sia nel settore pubblico che privato, ma occhio ai rischi per la salute. Incombe l'incubo del tecnostress! La pandemia l'ha confermato. Lo Smart working sarà un modo di lavorare sempre più diffuso nel futuro. Uno studio condotto dal World Economic Forum ci dice che nel 2030 saranno almeno 1,8 miliardi i lavoratori che lavoreranno da remoto, pari all’83,5% dei lavoratori totali. Numeri davvero impressionanti che non possono non far riflettere sui rischi che questa modalità porta con sé. Lo spettro di un aumento del tecnostress non può essere sottovalutato. Leggi l'articolo per avere tutte le informazioni al riguardo.

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Se c’è una cosa che la pandemia ha sicuramente ha modificato nel profondo, è stato proprio il mercato del lavoro.

Sempre più distaccato dalla necessità di una sede specifica dalla quale svolgerlo, la pandemia di fatto, ha decretato il successo dello smart working, che ricordiamo non poche sorprese ha registrato per l’Italia, che è risultata essere il paese dove la produttività del lavoro è aumentata di più rispetto agli altri paesi europei proprio grazie a questa modalità di lavoro.

Quello che sembrava impossibile in realtà si è verificato: i lavoratori liberi di lavorare dalle loro case, hanno lavorato di più e meglio.

E il ricorso allo smart working e l’uso del lavoro agile come modalità di lavoro prevalente per il futuro, non sembra essere una tendenza destinata a scomparire.

Uno studio condotto dal World Economic Forum ci dice che nel 2030 saranno almeno 1,8 miliardi, i lavoratori che lavoreranno da remoto pari all’83,5% dei lavoratori totali, numeri davvero impressionanti se si pensa che prima della pandemia questa modalità di lavoro era una peculiarità tipica solo di alcuni settori e comunque ad appannaggio di alcuni paesi da tempo e da sempre più culturalmente orientati a questo modo atipico di lavorare.

Il ricorso massiccio a questo lavoro da remoto però, se da un lato ci ha consentito di superare le fasi più acute della crisi pandemica evitando il blocco totale delle attività, diciamo che inizialmente proprio per la novità dello strumento ha colto un po' tutti impreparati tanto che sono di recente emanazioni il decreto del ministro Brunetta ed il protocollo del Ministro del Lavoro Orlando per la disciplina di questa forma di lavoro.

Lo smart working ha portato con sé, e indubbiamente ha ampliato, quello che in termini scientifici è chiamato tecnostress, e che ora più che mai non può essere sottovaluto alla luce dei numeri che si prevede il lavoro da remoto raggiungerà nel futuro.

Quindi prima di parlare di tecnostress e di vedere cosa è e come può essere affrontato, facciamo un po' il punto della situazione sullo smart working nel settore pubblico e in quello privato

Smart working e Pubblica Amministrazione

Con il decreto dello scorso 12 ottobre, il ministro Brunetta ha espressamente regolamentato lo smart working per la pubblica amministrazione. 

Nello specifico con questo decreto il ministro ha stabilito che questa smetteva di essere la modalità di svolgimento prevalente dell’attività lavorativa per la pubblica amministrazione, prevedendo gradualmente il ritorno al lavoro in presenza.

Tuttavia ha stabilito che lo smart working diventava una modalità di lavoro non più sostitutiva, ma una modalità che si affiancava a pieno diritto a quella tradizionale, creando quella che è stata definita una nuova modalità di lavoro di tipo ibrido.

Questa nuova modalità di lavoro deve essere espressamente regolamentata sulla base di un accordo tra datore di lavoro e dipendente, nel quale si vadano a configurare tutti i dettagli inerenti la modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato nel rispetto di tutte le disposizioni vigenti.

È nata così una nuova modalità di erogazione della prestazione lavorativa o più semplicemente una nuova modalità di lavoro chiamata lavoro ibrido, che prevede la possibilità di alternare giornate di lavoro in presenza a giornate di lavoro da remoto, il tutto da svolgere nel rispetto di opportune regole espressamente pattuite.

Tutto questo deve essere fatto nel rispetto poi di una precisa alternanza tra tutto il personale in modo tale che si possa bilanciare il diritto dei lavoratori ad avere sempre una qualità della vita soddisfacente con quello altrettanto importante dei cittadini di avere sempre una qualità dei servizi più che efficiente.

Ricordiamo che tutta la disciplina della normativa nel settore pubblico il ministro Brunetta l’ha di fatto inserita all’interno di quello che ha chiamato il Piano Integrato di attività e organizzazione, più conosciuto con l’acronimo PIAO.

Questo piano dovrà essere obbligatoriamente presentato entro il 31 gennaio di ogni anno da parte di tutte le amministrazioni che hanno più di 50 dipendenti ad eccezione delle scuole.

Tralasciando le questioni meramente tecniche relative alla strumentazione, conservazione dei dati e così via, vediamo quali sono i principali punti della riforma per lo smart working nel pubblico impiego che riguardano direttamente il lavoratore

La cosa più importante è che cade il vecchio paradigma di lavorare secondo un limite di orario massimo sia giornaliero che settimanale, perché il focus trainante sarà rappresentato dal raggiungimento di particolari cicli od obiettivi, ovvero dal completamento di particolari fasi.

Si potranno usufruire di tutti i permessi connessi alla legge 104, di permessi per motivi familiari e sindacali così come è stato espressamente previsto il cosiddetto diritto alla disconnessione, ovvero il diritto a non dover essere reperibili h24 ma di poter godere di almeno undici ore di riposo consecutive.

In smart working poi non è prevista la possibilità di fare straordinari, né trasferte ovvero eseguire lavori in condizioni di rischio o di disagio.

Per chi fosse interessato un articolo tratto dal canale Raffaele Gaito - YouTube, offre spunti interessanti sul tema.

Smart working e settore privato

La pandemia non ha portato ad un’esplosione del lavoro agile solo nel settore pubblico, di pari passo anche il settore privato ha notevolmente implementato la quota dei lavoratori con mansioni svolte da remoto, tanto che lo stesso smart working nel settore privato è stato poi disciplinato a patire da un protocollo espressamente previsto in materia, dal ministro del lavoro Orlando. 

Primo aspetto fondamentale della riforma del settore privato, è che la modalità di adesione al lavoro da remoto è solo su base volontaria, pertanto è un’esclusiva scelta del lavoratore se aderirvi o meno.

Deve essere disciplinata sempre e solo da un accordo scritto con il datore del lavoro dove vengono definiti in modo puntuale tutti gli elementi principali dello svolgimento di questa prestazione lavorativa di tipo agile.

Quindi in questo accordo scritto si deve sempre specificare se lo stesso ha natura temporanea o è di tipo indeterminato, e tutte le regole che disciplinano le modalità di alternanza tra lavoro in presenza e lavoro da remoto.

Deve essere altresì specificato in questo accordo dove non si può in alcun modo svolgere l’attività di lavoro, quale sia la strumentazione necessaria al lavoratore a poter svolgere la propria prestazione lavorativa, e tutte le modalità con cui si controlla l’esecuzione della prestazione del lavoro.

Cosa però indubbiamente più importante è la specificazione, all’interno dell’accordo, dei tempi di lavoro e di riposo e di tutte le modalità con cui si garantisce il diritto alla disconnessione per il lavoratore.

Se il lavoratore non vuole aderire a questo accordo comunque questo non può essere causa di licenziamento non potendosi a tal fine invocare né la giusta causa né il giustificato motivo, né può essere appiglio per dare i via a qualunque provvedimento di natura disciplinare.

Smart working: altre condizioni

Quello che è fondamentale rilevare per il lavoro da remoto tanto per la PA che per il settore privato, è che questo si caratterizza per un’elevata autonomia riguardo lo svolgimento della prestazione, quindi anche in questo caso il lavoratore non avrà un orario di lavoro stabilito da contratto ragionando sempre per scopi ed obiettivi.

Vero è che ogni lavoratore avrà diritto ad una suddivisione del lavoro in fasce orarie con la previsione obbligatoria di una fascia oraria di disconnessione all’interno della quale il lavoratore non deve svolgere le sue mansioni.

Nel settore privato il lavoratore “agile” ha diritto a tutti i permessi che gli sono riconosciuti sulla base di accordi collettivi ma non può svolgere straordinario.

Se poi il lavoratore è in ferie o è assente dal lavoro per malattia, infortunio o anche per permessi retribuito, questo non è tenuto in alcun modo ad alcuna comunicazione con l’azienda, come tale può disattivare ogni dispositivo che consenta tale tipo di contatto, così come se in questo lasso temporale dovesse ricevere mail aziendali, non è tenuto in alcun modo a prenderne visione fino al momento in cui riprenderà regolarmente il suo servizio.

Smart working: numeri

Al di là poi di tutte le altre statuizioni, senza dubbio le più importanti sia per il settore del pubblico impiego che per quello del settore provato è arrivare a regolamentare e a sancire in qualche modo il cosiddetto diritto alla disconnessione. 

Questo perché, se è vero che lo smart working ha consentito di evitare il blocco totale di ogni attività durante la fase più acuta della crisi pandemica, dall’altro il ricorso allo smart working in maniera possiamo dire quasi indiscriminata e senza alcun tipo di regola, ha reso ancora più evidente ed acuito un fenomeno comunemente noto come tecnostress.

Se poi, come confermano le previsioni, lo smart working acquisterà questa portata così vasta, non è un fenomeno che può essere sottaciuto.

Per capire la portata del fenomeno e di che balzo ha avuto per effetto della pandemia, basti pensare che al 2019 nella situazione ante crisi, gli smart worker erano appena 221 mila unità.

A seguito del primo lockdown del 2020, il numero complessivo dei lavoratori in smart working sia della PA che del settore privato, è balzato a 1,8 milioni di unità ed è cresciuto progressivamente fino ad arrivare a 6,38 milioni di unità.

Secondo poi quanto evidenziato dalla ricerca del Politecnico di Milano sullo smart working per il 2021, come era ragionevole attenderci, i dati dimostrano che l’effetto combinato della campagna vaccinale e del green pass, hanno ridotto il numero dei lavoratori in smart working nel 2021 arrivando a 5,37 milioni di unità nel primo trimetre, ai 4,07 milioni del terzo trimestre.

Per il mese di settembre sono sempre le grandi imprese che contano il numero maggiore di smart workers con 1,77 milioni di unità, seguiti dalle 860 mila unità della PA, dalle 810 mila unità delle micro imprese e dalle 630 mila unità delle piccole imprese.

E comunque seppur in diminuzione il fenomeno non sembra destinato a ridursi e non sembra essere tantomeno destinato a scomparire tanto che per il futuro, uno studio condotto dal World Economic Forum ci dice che nel 2030, saranno almeno 1,8 miliardi i lavoratori che lavoreranno da remoto. pari all’83,5% dei lavoratori totali.

Smart working e tecnostress

Con questi numeri dunque, è evidente che la sindrome da tecnostress non potrà essere a lungo ignorata. Ma che cos’è il tecnostress.

E’ una forma di stress legata all’utilizzo eccessivo, smodato e disfunzionale di tecnologie legate alla informazione e alla comunicazione tale che si producano effetti negativi sulla vita sociale e lavorativa di  un individuo.

Questo stress si genera perché l’individuo si trova dover gestire un numero sempre più elevato di informazioni, ad utilizzare per un numero prolungato di ore questi apparecchi e con sempre maggiore fretta. 

Tra le cause che sicuramente hanno aumentato questa forma di stress, di sicuro è da annoverare lo smart working che appunto trova nella tecnologia il mezzo principale di utilizzo.

In effetti lo smart working se da un lato restituisce al lavoratore un ritrovato senso di libertà, è forse proprio questo senso di libertà che può risultare un grave problema, provocando rischi che possono provocare danni tanto al fisico che alla mente.

Smart working e tecnostress: rischi connessi

Tra i rischi connessi allo smart working quelli legati ad un possibile abuso di cibo proprio perché non avendo nessun tipo di controllo ed una autonoma gestione del tempo, ci si possono concedere più pause approfittando per fare spuntini più spesso, con conseguenze di sicuro non salutari sul fisico.

Al tempo stesso i livelli di stress connesso all’uso delle tecnologie da casa, molte volte caratterizzato dall’utilizzo di due o più dispositivi in contemporanea, aumenta il cortisolo che è l’ormone dello stress, che a sua volta ha effetti negativi sul metabolismo ed è causa di iperglicemia da cui dipendono tutta un’altra serie di disturbi come la stanchezza, la difficoltà di concentrazione o piccoli stati di confusione mentale. 

Di sicuro cose che non fanno bene alla persona ma che a lungo andare possono intaccare anche la produttività del lavoro stesso.

Chi è in smart working infatti, spesso ha la netta sensazione di una non chiara distinzione tra i tempi di separazione tra vita lavorativa e vita privata.

In entrambe le situazioni infatti, l’uso di strumenti tecnologici è sempre presente, la connessione è sempre attiva, per cui il cervello è continuamente sovraccaricato di informazioni senza soluzione di continuità potendo generare sindrome ufficialmente riconosciute come quelle da “information overload” o la “internet addiction disorder”, malattia che rientra nel manuale mondiale delle malattie psichiatriche.

Lo stesso tecnostress è stato riconosciuto dall’Inail come malattia professionale che può provocare danni molto seri oltre a quelli già visti, come attacchi di panico, depressione, disturbi cardiaci, insonnia, ipertensione. 

Tutti aspetti che debbono essere necessariamente valutati perché, se è vero che il momento impone un cambiamento epocale nel modo di lavorare, questo non può essere fatto a discapito della salute dei lavoratori.