Smart working, lavoro sempre meno agile! Vediamo il perché!

Lo smart working sarebbe potuto diventare la vera novità dell'Italia, che si rialzava dopo la pandemia. Il lavoro agile era arrivato per necessità. Sarebbe potuto diventare una vera e propria opportunità per cambiare abitudini, stili di vita e perché no, riprendersi un po' in mano la propria vita, senza obbligarsi a stare un'infinità di ore a fare la coda in auto.

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Lo smart working sarebbe potuto diventare la vera novità dell'Italia, che si rialzava dopo la pandemia. Il lavoro agile era arrivato per necessità. Sarebbe potuto diventare una vera e propria opportunità per cambiare abitudini, stili di vita e perché no, riprendersi un po' in mano la propria vita, senza obbligarsi a stare un'infinità di ore a fare la coda in auto. I sindacati, però, sembrano proprio aver messo mano sullo smart working: in sintesi è questo il risultato del protocollo che è stato firmato dal Governo, guidato da Mario Draghi, e dalle più importanti associazioni lo scorso 7 dicembre.

Originariamente il lavoratore poteva svolgere i propri compiti in smart working: poco importava se stesse a casa, in garage o scegliesse qualche altra soluzione, che non fosse il tradizionale ufficio. La possibilità di ricorrere al lavoro agile era prevista all'interno di accordi aziendali sperimentali. Non esistenza, in altre parole, una disciplina normativa che potesse essere presa come riferimento. Il lavoratore, comunque, continuava a rimanere tutelato dalle norme e dai diritti previsti dal contratto di lavoro. Poi è successo qualcosa. Ma proviamo ad entrare nel dettaglio.

Smart working: arriva la legge n. 81/2017

A dettare le norme e a regolamentare lo smart working è arrivata la legge n. 81 del 2017. Il lavoro agile è stato inserito in una cornice normativa molto precisa, ma al di là di alcuni principi, molti aspetti potevano essere disciplinati individualmente, tramite un accordo tra azienda e lavoratore. Alla fine della fiera, prima dello scoppio della pandemia, lo smart working interessava una parte molto modesta del mondo del lavoro e questo giustifica il fatto che sia stato lasciato molto spazio alle parti. La disciplina era molto semplice ed era sufficiente per regolamentare il lavoro agile. Il Covid 19 ha cambiato le carte in tavola: lo smart working, laddove era possibile applicarlo e sfruttarlo, è diventato l'unico modo per svolgere le propre attività lavorative.

Solo per comprendere come sia cambiato il rapporto tra lavoratori e smart working basta guardare qualche numero. Assolombarda ha messo in evidenza che nel 2019 solo e soltanto il 4,8% dei lavoratori sfruttava il lavoro agile. Nel corso del mese di marzo 2020, la percentuale è salita al 44%, arrivando a coinvolgere 6,6 milioni di persone. Le stime prevedono che questo numero sia destinato a ridursi nel futuro, e si pensa che possa stabilizzarsi intorno ai 5 milioni di soggetti coinvolti. Mentre c'era la pandemia, il fatto che si sia dovuto ricorrere in maniera massiccia a questa soluzione, ha fatto sì che ci fosse una deregolamentazione dello smart working: si è arrivati all'eliminazione dell'obbligo dell'accordo individuale in forma scritta. Bastava un accordo verbale. Sono stati eliminati anche molti adempimenti burocratici ed amministrativi.

Adesso si è fatto un ulteriore passo avanti, che ha portato Governo e sindacati a darsi un compito molto preciso: sarà necessario dare attuazione allo smart working in molti settori produttivi. Si è quindi arrivati a mettere tutta una serie di paletti normativi su un territorio che fino ad oggi è sempre stato molto libero. La Legge 81 aveva sostanzialmente poche finalità e le più importanti erano dare maggiore competitività e conciliare meglio vita e lavoro. Oggi, se il nuovo protocollo diventasse norma di legge, il lavoro agile diventerebbe quasi impraticabile se mancasse un accordo collettivo.

Smart working: nuove regole all'orizzonte!

Il Governo ha sostanzialmente ceduto il passo ai sindacati. Adesso per accedere allo smart working non sarà più sufficiente un accordo individuale tra lavoratore e datore di lavoro. A disciplinare il lavoro agile saranno le regole dettate dalla contrattazione collettiva. Continuerà a rimanere facoltativa, ma soprattutto volontaria, la scelta di aderire allo smart working: su questo fronte nulla di nuovo. L'accordo, però, darà meno possibilità di regolamentare in maniera agile lo svolgimento del lavoro, quanto meno rispetto a come siamo stati abituati fino ad oggi.

È importante, comunque, ricordare che lo smart working non è un contratto di lavoro, ma è semplicemente un modo di svolgere il lavoro da parte del dipendente, che avrà un contratto di lavoro subordinato. Nell'accordo sarà indicato che sarà possibile svolgere parte del proprio lavoro solo in parte in ufficio. Si avrà libertà di orario, con un vincolo che impedisce di superare un tetto massimo di ore lavorate la settimana. Ma soprattutto sarà permesso al lavoratore di assentarsi dalla propria postazione fissa, per i periodi di lavoro svolti fuori dall'azienda.

Quella che abbiamo davanti, sostanzialmente, è una riforma dello smart working. Un po' nascosta, un po' sottotono, ma senza dubbio una riforma della Legge 81/2017. Sostanzialmente il protocollo del 7 dicembre fissa il quadro per la

Lavoro agile: i nuovi principi base!

Continuano a rimanere tre i principi base dello smart working: l'adesione volontaria ed il presupposto, come spiega ItaliaOggi, di un

Punto molto importante del protocollo sono anche gli orari e la disconnessione. Il protocollo ha previsto che siano presenti due aspetti:

  • non sia tratteggiato un preciso orario di lavoro;

  • autonomia nello svolgimento della prestazione nell'ambito degli obiettivi prefissati.

Come spiega ItaliaOggi: