Smart working, le nuove linee guida per i privati dal 2022!

Come cambia lo smart working per i privati in questa nuova fase dell'emergenza pandemica? Ecco le nuove linee guida predisposte a dicembre e valide dal 2022.

Dopo avere visto la luce già dal 2020 a causa della pandemia di Covid 19, ora lo smart working finalmente si evolve. Almeno per il settore privato

Per quello pubblico, invece, l’uso del lavoro agile è stato sì incentivato dal Ministro per la Pubblica AmministrtazioneRenato Brunetta. Ma solo per far fronte alla situazione di emergenza causata dalla quarta ondata di contagi: in precedenza lo stesso Brunetta si era infatti schierato contro lo smart working, pensando di aumentare la ricchezza nazionale proprio riducendo l’uso di quest’ultimo.

Per quanto riguarda i privati, è stato il Ministro del Lavoro Andrea Orlando a delineare l’accordo dello scorso 7 dicembre con le parti sociali, stabilendo una serie di linee guida entrate in vigore con l’inizio del 2022. Si tratta del cosiddetto Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile.

Come lo stesso Ministro Orlando ha dichiarato:

Il lavoro agile, il cosiddetto smart working, è cresciuto molto durante la pandemia, ma al di là dell’emergenza sarà una modalità che caratterizzerà il lavoro in futuro. 

Il Protocollo fissa il quadro di riferimento per la definizione dello svolgimento del lavoro in smart working, individuando le linee di indirizzo per la contrattazione collettiva nazionale, aziendale e territoriale […], e affidando alla contrattazione collettiva quanto necessario all’attuazione dei diversi e specifici contesti produttivi.

Sostanzialmente, dunque, l’accordo che è stato trovato è di tipo programmatico, vale a dire che identifica delle precise linee guida che poi andranno declinate specificatamente a seconda delle varie tipologie di contrattazione collettiva

Un concetto, quest’ultimo, che viene descritto molto bene in questo breve video tratto dal canale YouTube dell’avvocato del lavoro David Satta Mazzone.

Entriamo ora nel dettaglio, partendo dalla crescente importanza che il lavoro agile ha rivestito negli scorsi due anni, per giungere successivamente alla descrizione dell’accordo attualmente in vigore, scoprendo cosa cambia rispetto al passato con il nuovo protocollo per lo smart working. 

Il salvagente dello smart working durante i lockdown

In primo luogo lo smart working si è dimostrato un elemento fondamentale fin dalla prima ondata di casi di Covid 19, nel marzo-aprile 2020.

I lockdown attuati in tutto il mondo ed in particolare nel nostro paese sono stati devastanti a livello economico, ma grazie alla possibilità offerta dal lavoro agile da casa molte aziende sono riuscite a garantire comunque la prosecuzione delle proprie attività.

In questo senso lo smart working ha funzionato da vero e proprio salvagente per l’economia globale. Ma non solo. Addirittura, da svariate ricerche ed analisi, ci si è resi conto che i lavoratori dipendenti hanno aumentato il proprio livello di produttività lavorando da remoto.

Come è possibile che si verifichi questa situazione? La maggior soddisfazione del personale, unita ad un più alto grado di autonomia, minori spese di viaggio, ed in generale alla flessibilità permessa dallo smart working, fanno sì che il rendimento medio dei lavoratori sia superiore rispetto al tradizionale impiego in ufficio.

Le aziende stesse, inoltre, hanno un notevole risparmio dal punto di vista economico, ad esempio sulle spese per le infrastrutture. E, visto che sono ormai molte le imprese che praticano la cosiddetta Corporate Social Responsibility (Responsabilità Sociale d’Impresa), dal punto di vista sociale ed ecologico l’implementazione del lavoro agile può sicuramente avere un’impatto importante e positivo.

Un salvagente, dunque, ma non solo: lo smart working ha dimostrato di poter essere uno strumento molto utile anche per il futuro post-pandemia, sia dal punto di vista dei dipendenti, che da quello dei datori di lavoro.

Smart working, il protocollo in vigore

Nonostante i pregi appena descritti, in Italia lo smart working è stato spesso sottovalutato anche negli scorsi mesi. Uno dei problemi era sicuramente la mancanza di una vera e propria regolamentazione in questo ambito, ad esempio per ciò che riguarda le fasce orarie lavorative.

Lo scorso 7 dicembre, finalmente, le parti sociali e il Ministero del Lavoro, come abbiamo visto, hanno raggiunto l’accordo per un nuovo protocollo riguardo al lavoro agile.

Un primo importante elemento è dato dalla volontarietà da parte del lavoratore di accettare questa modalità. Quest’ultimo, infatti, può anche rifiutare l’eventuale proposta aziendale di lavorare da remoto, e ciò non può assolutamente sfociare in una situazione che integri gli estremi per un licenziamento per giusta causa, né può portare ad altri interventi sul piano disciplinare contro il lavoratore stesso.

Lo smart working deve invece essere frutto di un accordo individuale (che prevede quindi anche il diritto di recesso) tra le parti in causa, datore e lavoratore, ovviamente restando tra i confini di quanto previsto dalla contrattazione collettiva.

L’accordo individuale che regola lo smart working

In cosa consiste l’accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente? Serve per stabilire una serie di punti che andranno a regolare le modalità lavorative della persona che si troverà ad operare da remoto.

Queste cosiddette linee di indirizzo devono prevedere, tra le altre cose, la durata dell’accordo stesso e l’elenco specifico dei luoghi in cui non è possibile svolgere la propria prestazione di lavoro, ad esempio per motivi legati alla sicurezza dei dati.

Va poi stabilito quali sono gli strumenti professionali da utilizzare, le modalità in cui viene monitorata la prestazione del dipendente, così come quali sono i tempi di riposo a cui quest’ultimo ha diritto.

Vanno regolamentati anche tutti gli aspetti legati alla salute, alla sicurezza, alle malattie che potrebbero derivare dall’uso continuativo dei videoterminali.

Infine, anche i lavoratori agili devono avere pari opportunità di accesso agli strumenti di lavoro, dunque vanno previsti a questo riguardo degli specifici percorsi formativi, i quali permettano ai dipendenti in smart working di acquisire competenze tecniche per un uso più efficace e sicuro degli strumenti da utilizzare durante la propria attività professionale.

Smart working, via alle fasce orarie flessibili

Molto importante e di grande interesse è quanto viene previsto dal Protocollo riguardo agli orari di lavoro in smart working.

In passato molti dipendenti in lavoro da remoto hanno lamentato la problematica di orari di lavoro lunghi, in una sorta di reperibilità che, senza i limiti fisici imposti dalle tempistiche degli uffici, rasentava le 24 ore complete ed i 7 giorni a settimana.

Un lavoratore costretto ad essere sempre reperibile operando in smart working si ritrova sostanzialmente impossibilitato ad uscire di casa, accentuando problematiche già di per sé insite nel lavoro agile, quali l’isolamento e la mancanza di interazione.

Ecco allora che il diritto alla disconnessione diventa un elemento fondamentale affinché lavorare da remoto non costituisca un handicap invece che un vantaggio, soprattutto dal punto di vista della salute mentale dei lavoratori.

Il Protocollo ora in vigore non prevede un preciso orario di lavoro per chi opera in smart working, ma lascia piuttosto al dipendente una piena autonomia …:

…nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati, nel rispetto dell’organizzazione delle attività assegnate dal responsabile a garanzia dell’operatività dell’azienda e dell’interconnessione tra le varie funzioni aziendali.

In sostanza gli obiettivi contano più rispetto agli orari veri e propri, fermo restando che il lavoro è suddiviso in fasce orarie e che deve essere garantita la cosiddetta fascia di disconnessione, ovvero quel lasso di tempo in cui il lavoratore non è tenuto a fornire la propria prestazione.

Lavoratore il quale, peraltro, può disconnettere i propri dispositivi professionali anche in caso di malattia, ferie o permessi; insomma, durante tutti i casi di assenza giustificata.

Va infine sottolineato che, in regime di smart working, non è invece previsto lo straordinario, mentre può venire richiesto dal dipendente un permesso orario, ad esempio per motivi familiari, così come previsto dalle norme di legge e dai contratti collettivi.

Niente accordo tra le parti per lo smart working in fase di emergenza

L’accordo individuale di cui abbiamo precedentemente parlato sarà la modalità prevista per attivare lo smart working al termine dello stato di emergenza procurato dalla pandemia di Covid 19.

Uno stato di emergenza che doveva avere termine il 31 dicembre 2021, ma che invece, come già capitato molte volte negli ultimi 2 anni, è stato nuovamente prorogato fino al 31 marzo 2022

Tale proroga permette quindi, fino al 1º aprile 2022, di poter usufruire di un protocollo emergenziale, lo stesso che è stato utilizzato da marzo 2020 ad oggi, il quale sfrutta una procedura semplificata priva dell’accordo individuale.

Questo avviene perché, come abbiamo spiegato, nel nostro paese lo smart working pre-pandemia non era uno strumento preso in gran considerazione: nel 2019, in Italia, meno del 5% sul totale dei lavoratori operavano in smart working, uno dei dati peggiori in questo senso in tutta Europa.

A marzo 2020, tuttavia, ci si è trovati a non poter fare a meno del lavoro da remoto. E dunque si è introdotta per l’appunto una procedura d’emergenza, la quale giocoforza è servita nell’immediato, ma che non tiene nella dovuta considerazione le esigenze professionali e quotidiane sia delle aziende che, soprattutto, dei lavoratori che devono fornire da casa la loro prestazione.

Ed è stata proprio l’esigenza di avere un protocollo che detti delle linee guida specifiche come quelle che abbiamo visto, ad esempio in merito alle fasce orarie ed al diritto alla disconnessione, che ha portato all’accordo del 7 dicembre tra Ministero e parti sociali.

Ora però il problema diventa capire quando terminerà lo stato di emergenza, in modo che tale protocollo possa entrare effettivamente in vigore. Sarà davvero il 31 marzo il giorno fatidico, oppure la situazione si dilungherà ulteriormente anche in primavera? Dati gli ultimi sviluppi causati dalla variante Omicron, sembrerebbe ad oggi di poter propendere per la seconda ipotesi.

Ma, anche se così fosse, le aziende devono iniziare già da ora a pensare agli accordi individuali per lo smart working dei propri dipendenti, in modo da farsi trovare pronte ed essere in grado di poter proseguire l’uso di questo strumento che, in molti settori, sarà in futuro una delle armi principali per mantenere alto il livello di competitività sul mercato. 

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