Smart working, finisce l’emergenza. Al via le nuove regole!

Lo smart working, come visto in fase emergenziale nel 2020, è finito. Ora diventa un nuovo modello per lavorare, plasmato alla nuova realtà. Ecco le news!

Nuove direttive fino a marzo 2022, per tutti coloro che lavorano e per i quali è previsto lo smart working. A quanto sembra, si tratta di una modalità per lavorare che resterà in vigore per un lungo periodo, ben oltre Omicron

L’obiettivo principale è proprio quello di arginare la diffusione del virus pandemico che ha stravolto le nostre esistenze. Ma ora le regole in gioco devono cambiare, rispetto alla fase emergenziale del 2020 in cui abbiamo conosciuto lo smart working, proprio in vista di una prospettiva futura che potrebbe coinvolgere migliaia di persone.

A oggi la proroga dello smart working, a causa del diffondersi della variante Omicron, è realtà così come ormai è ufficiale la chiusura delle scuole per molte regioni italiane.

Lo annuncia una circolare del Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, co-firmata da Andrea Orlando, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali

Ciascuna amministrazione può equilibrare il rapporto lavoro in presenza/lavoro agile secondo le modalità organizzative più congeniali alla propria situazione, tenendo conto dell’andamento epidemiologico nel breve e nel medio periodo, e delle contingenze che possono riguardare i propri dipendenti.

Ovviamente non solo il pubblico impiego è interessato da tale provvedimento. Ecco cosa succede nelle aziende private e nella scuola, all’indomani dell’introduzione -e del ritorno- dello smart working e della Dad.

Smart working green pass: è obbligatorio?

Siamo ormai in un momento di totale smarrimento, in cui si è perso il controllo sui tracciamenti, non esiste più un monitoraggio effettivo della situazione: una vera e propria guerra. La chiamata alle armi è arrivata in maniera generalizzata all’intera popolazione ma non tutti hanno risposto all’unanimità e coloro che lo hanno fatto, hanno dovuto munirsi di vaccino.

Purtroppo, come invece speravamo, questo non è bastato a proteggerci e oggi ci ritroviamo nella stessa situazione di due anni fa. Ospedali al collasso, scuole chiuse e attività lavorative (laddove possibile) in smart working.

Paradossalmente una condizione che di certo non incentiva la vaccinazione, dal momento che, da un punto di vista formale, chi lavora in smart working non ha necessità di avere il super green pass.

Risulta ben evidente, d’altro canto, che l’opzione del lavoro in smart working non può rappresentare una scusa per eludere il vaccino, per tutti coloro che eventualmente volessero sottrarsi a tale procedura.

Ma è altrettanto certo che non esiste ad oggi una norma che vieti ai non vaccinati di lavorare da remoto. Anzi, tale modalità li esenta anche dall’effettuare un tampone regolarmente per poter entrare in ufficio e, di certo, si tratta di una pratica che non favorisce il contenimento della pandemia.

Certo che le ultime novità diffuse a oggi dal governo prevedono, anche per tutti coloro che devono recarsi sul posto di lavoro, l’obbligo di avere il super green pass (che in generale, nel momento in cui si scrive, esiste solo per le persone che hanno più di 50 anni). 

Tutti coloro che dal lockdown del 2020 stanno lavorando in smart working potranno dunque beneficiare ancora di tale opzione fino a marzo 2022, data che coincide con la fine dello stato di emergenza. Ma allo stato attuale della situazione, e visto ormai il protrarsi della pandemia da due anni, non c’è da escludere l’eventualità di un prolungamento nel tempo della modalità di lavoro da remoto o smart working.

Smart working e Pubblica Amministrazione

Torna dunque la modalità di lavoro in smart working anche per il pubblico impiego. L’ultima circolare che porta la firma del Ministro della pubblica amministrazione Brunetta, come abbiamo già avuto modo di riportare, non lascia spazio ad alcun dubbio.

Ogni ufficio pubblico dunque ha facoltà di valutare la situazione e il livello di rischio per i propri lavoratori, in base alla curva dei contagi e altri fattori cruciali da monitorare, così da predisporre adeguati provvedimenti. 

Ad esempio, si può stabilire una rotazione dei vari dipendenti, da far entrare a turno in sede lavorativa oppure una flessibilità negli orari di lavoro. Le disposizioni in merito allo smart working nella pubblica amministrazione prevedono infatti che tale modalità sia presente al massimo fino al 49% dei lavoratori (a meno di una situazione epidemiologica talmente grave da imporre misure ancora più restrittive).

La ratio è quella di garantire ai cittadini meno “digitali”, e con scarsa propensione ad utilizzare i servizi telematici, comunque l’accesso ai pubblici uffici, per l’espletamento delle pratiche di interesse.

Ancora radicata la concezione del lavoro agile pubblico quasi come misura di welfare, invece che come conseguenza delle nuove modalità di produzione ed organizzazione del lavoro. Ciò che serve è invece una vera transizione digitale della pubblica amministrazione.

Smart working privati: cosa succede in azienda?

Una modalità di lavoro da plasmare in base a una nuova normalità. Così a oggi, le aziende guardano allo smart working.

Stando ai dati emersi da un’indagine condotta dal centro studi di Confindustria

il 34,2% delle aziende intervistate vuole mantenerlo anche dopo il Covid. Dal report è emerso che nel 2020 in media due imprese associate su tre hanno fatto ricorso allo smart working, coinvolgendo quasi il 40% dei dipendenti.

Tutelare la salute delle persone e in particolare dei lavoratori: questo è l’obiettivo dei nostri tempi. Lo smart working, la vaccinazione di massa, i dispositivi di protezione personale non sono strumenti da utilizzare “per fare tornare tutto come prima”.

Si tratta di una nuova realtà, alla quale dobbiamo iniziare ad abituarci o perlomeno entrare nell’ottica mentale di conviverci.

Inutile pensare di poter stare chiusi in casa senza ricorrere a nulla di tutto ciò, senza lavorare né vivere, “aspettando che passi la nottata”.

Lo smart working rientra nelle novità di cui tener conto d’ora in avanti e la sensazione a oggi è che non verrà più abbandonato.

D’altro canto, per poter permettere che ciò avvenga, è necessario potenziare il lavoro agile, sia dal punto di vista organizzativo che operativo. Prevedere alcune giornate in presenza sul posto di lavoro, riorganizzare gli spazi in azienda ma anche fornire le attrezzature idonee al lavoro a distanza.

Anche dal punto di vista delle competenze tecniche e tecnologiche, la strada da percorrere è impegnativa. Quello a cui abbiamo assistito nel 2020 è stato uno smart working di emergenza, a cui però è seguito un fisiologico cambiamento, verso il miglioramento.

Sono diversi gli aspetti che ora entreranno a far parte delle nuove contrattazioni: il bilanciamento della vita lavorativa con quella privata (worklife balance), la tutela del diritto alla salute ma anche alla sicurezza, pur lavorando da casa propria. Il diritto alla disconnessione al di fuori degli orari di lavoro così come un aggiornamento dei benefit (come i buoni pasto) ma anche dei premi di produttività.

Smart working scuola: torna la Dad

Tasto dolente da ormai due anni, quello che vede coinvolti da una parte gli insegnanti in modalità di lavoro da remoto e gli alunni che invece devo seguire le lezioni in Dad (la famigerata didattica a distanza).

Un espediente anche questo accettabile nelle primissime fasi emergenziali dello scoppio della pandemia ma che, a distanza di ormai due anni, appare alquanto discutibile.

La normativa delle scuole primarie e secondarie al riguardo prevede a oggi che solo a partire da tre positivi all’interno della stessa classe scatti la quarantena per tutta la classe e quindi la didattica a distanza.

Motivo per cui appare misteriosa la decisione di alcuni sindaci di chiudere a prescindere le scuole, solo perché “potrebbero” verificarsi dei casi. Dopo due anni di tempo per correre ai ripari e la maggior parte degli over 12 vaccinati, l’unica soluzione possibile sembra essere sempre e comunque quella di rinchiudere tutti dentro casa.

Solo per fare un esempio: se il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva è uno dei fattori cruciali da monitorare (come è sacrosanto che sia) perché allora non potenziarli anziché cercare di aggirare il problema chiudendo le porte delle scuole?

L’obiezione principale di chi protende per tali disposizioni è che il rischio principale non è nelle aule bensì in tutto l’indotto (trasporti e mense in primis) che innalza il rischio di assembramenti. Anche in questo caso, la soluzione è bloccare tutto il sistema invece di potenziare i mezzi di trasporto, intensificare le corse o prevedere più turni a mensa?

Intanto le scuole iniziano a raccogliere i nominativi di tutti gli alunni che sono vaccinati e di quelli che invece non si sottopongono (ovviamente per volere dei genitori, essendo minorenni) al vaccino. Un elenco pubblico di nomi e cognomi sulle chat interne della classe, con tanto di date relative alla prima e alla seconda dose.

Alla faccia della privacy.

Ciò che si prospetta per il rientro è la didattica a distanza solo per i non vaccinati, mentre gli altri studenti potranno rientrare in classe.

Ad esempio, per quanto riguarda la scuola secondaria

Con due casi nella stessa classe è prevista la didattica digitale integrata per coloro che hanno concluso il ciclo vaccinale primario da più di 120 giorni, che sono guariti da più di 120 giorni, che non hanno avuto la dose di richiamo. Per tutti gli altri, è prevista la prosecuzione delle attività in presenza con l’auto-sorveglianza e l’utilizzo di mascherine FFP2 in classe.

Da vaccinata che ha vaccinato la propria figlia, la misura appare alquanto scriteriata, in barba a qualsiasi forma di rispetto dell’individuo. Segno evidente del caos che ormai ha mandato allo sbando l’intero sistema nazionale.

Un ulteriore stop and go che perlomeno -si spera- serva invece ad aumentare il numero di vaccinazioni possibili tra le fasce dei più giovani, così da riprendere quanto prima le lezioni in presenza, le uniche degne di questo nome, parlando di didattica e insegnamento.

Un passo in avanti per le nuove generazioni, che poco gioveranno dal restar chiusi forzatamente e in isolamento, malgrado un vaccino a disposizione.

Natalia Piemontese
Natalia Piemontese
Consulente lavoro online e professioni digitali, classe 1977. Sono Natalia, Piemontese di cognome, pugliese di nascita e calabrese d'adozione. Laureata in Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Bari, ho conseguito un Master in Selezione e Gestione delle risorse umane. Mamma bis, scrivo sul web dal 2008. Sono specializzata in tematiche del lavoro, business nel digitale e finanza personale. Responsabile del blog #mammachebrand, ho scritto un e-book "Mamme Online, come gestire casa, lavoro e figli".
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