Smartworking dopo 31 marzo: cosa cambia? Le 5 proposte

La domanda è: se il Paese non è più in situazione emergenziale, allora si tornerà alla normalità, anche dal punto di vista lavorativo, quindi recandosi sul posto di lavoro ogni giorno? Cosa succederà allo smartworking dopo 31 marzo ovvero all’indomani della fine dello stato di emergenza? Ecco gli scenari possibili.

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Se è vero che è una modalità di lavoro che ha subito un’impennata a causa dell’emergenza pandemica, ora è però diventato parte integrante della vita quotidiana di tanti lavoratori.

Viene dunque spontaneo chiedersi cosa succederà allo smartworking dopo 31 marzo ovvero all’indomani della fine dello stato di emergenza. La domanda è: se il Paese non è più in situazione emergenziale, allora si tornerà alla normalità, anche dal punto di vista lavorativo, quindi recandosi sul posto di lavoro ogni giorno?

Davanti a questo bivio, le opinioni si dividono. Infatti c’è chi non vuole assolutamente rientrare in ufficio, dopo aver preso il ritmo tra le mura domestiche  e magari aver investito nella realizzazione di un piccolo ufficio in casa. E c’è chi invece non vede l’ora di riprendere il proprio posto alla scrivania, di ritrovare i momenti di confronto con i colleghi e non farsi più fagocitare dallo stress di gestire casa, figli e lavoro nello stesso luogo (discorso valido soprattutto per le donne).

Alla luce delle dichiarazioni di Pasqualino Albi, ordinario di Diritto del lavoro all'Università di Pisa e avvocato giuslavorista

lo smartworking sarà decisamente più dinamico di quello che abbiamo conosciuto durante la pandemia, che è stato fondamentalmente il lavoro svolto 'da casa' in una situazione di sostanziale isolamento, a volte anche prolungato nel tempo.

Non dunque un ritorno alla situazione pre-pandemica, viste anche le trasformazioni ormai in atto negli spazi aziendali dedicati al lavoro ma neppure identica allo status quo.

Ecco le proposte al vaglio, da definire entro il prossimo mese.

Smartworking dopo 31 marzo: 5 nuove proposte

Al momento in cui si scrive, siamo di fronte a quella che potremmo definire una exit strategy, da parte del governo. Il virus sembra fare meno paura, sono sparite le mascherine all’aperto, hanno riaperto le discoteche e presto riapriranno anche le porte degli stadi.

Al momento, la fine dello stato di emergenza è confermata per il 31 marzo 2022. 

Una volta terminato lo stato di emergenza, dunque tutto sarà come prima? Difficile fare previsioni ma, perlomeno per quanto concerne lo smartworking, sembra alquanto improbabile.

Il boom dello smartworking è stata inizialmente una risposta allo scoppio della pandemia ma, col passare dei mesi, ha innescato una serie di cambiamenti che è difficile ora cancellare con un colpo di spugna, per far tornare tutto come era prima.

Certamente lo smartworking dopo 31 marzo non sarà più come ora, vale a dire una sorta di isolamento forzato tra le pareti domestiche. Ma continuerà ad esistere, per quanto in forma più dinamica.

Fino al 31 marzo 2022, la differenza sostanziale è che, per il settore pubblico, è necessario l’accordo individuale, come previsto dalla legge 81/2017, mentre nel settore privato è ancora ammessa la forma semplificata di smart working, con attivazione unilaterale da parte del datore di lavoro.

Quali sono le proposte al vaglio e per le quali urge una definizione, entro il prossimo mese di marzo?

Le riportiamo nell’elenco che segue.

Smartworking dopo 31 marzo, l’alternanza casa-lavoro

L’intervista all’avvocato giuslavorista Pasqualino Albi nonché ordinario di Diritto del lavoro all'Università di Pisa mette in luce una serie di aspetti interessanti da prendere in considerazione, nel definire ciò che sarà lo smartworking dopo 31 marzo.

La legge n.81 del 2017 già disciplinava lo smartworking, modalità di lavoro caratterizzata dall’alternanza tra il lavoro svolto da remoto e la presenza saltuaria in ufficio.

Una delle ipotesi più probabili dunque è che si torni a questo schema, eliminando quindi il tratto prettamente emergenziale dello stare a casa per lavorare. Il nostro tipo di economia contempla numerose figure professionali in grado di lavorare da casa, senza che la produttività dell’azienda ne risenta. Motivo per cui il lavoro agile, così inteso, potrebbe diventare una stabile realtà.

Smartworking dopo 31 marzo, parola d’ordine: flessibilità

La flessibilità è ciò che dovrà caratterizzare il futuro lavorativo dei dipendenti e delle aziende. Innanzitutto, si pensa a una versione ancora più smart del lavoro agile, vale a dire calato nel contesto della transizione green

Si cercano infatti modi per conciliare la vita personale dei dipendenti con il tragitto da compiere per raggiungere il posto di lavoro. Sedi più vicine al loro domicilio, magari raggiungibili a piedi oppure in bicicletta, per ridurre anche l’impatto dell’inquinamento sull’ambiente.

Le aziende, dal canto loro, hanno già iniziato a riorganizzare gli spazi di lavoro. In alcuni casi, si sono scelte sedi più piccole in cui ospitare a rotazione i vari dipendenti, sfruttando l’alternanza con il lavoro da remoto.

Anche in questo senso dunque, si chiede flessibilità, mantenendo come obiettivo la produttività ma giungendo a forme sempre più elevate di conciliazione tra lavoro e vita familiare.

Smartworking dopo 31 marzo: priorità a lavoratori fragili e disabili

Lo scenario che si prospetta a partire dal mese di aprile 2022 dunque, vede un consolidamento dello smartworking e non certamente un suo superamento, “per tornare alle origini”.

Tra le categorie che maggiormente rispetto ad altre potranno continuare a beneficiare della modalità agile del lavoro, troviamo i lavoratori fragili o che presentano disabilità.

Proseguendo nella sua intervista, il dott. Albi afferma

Nell’ottica di incentivazione e tutela, il Protocollo dello scorso 7 dicembre prevede l’impegno delle parti sociali a facilitare l’accesso al lavoro agile per i lavoratori in condizioni di fragilità e di disabilità.

A seguire, proponiamo un video a cura di Workitect, in collaborazione con Fondazione Telethon, su come agevolare l’inclusione da remoto e in ufficio, dei lavoratori disabili.

L’autonomia lavorativa va perfezionata, in linea con la produttività aziendale

Senza dubbio, giunti a questo punto delle nostre considerazioni riguardanti lo smartworking dopo 31 marzo, possiamo affermare che si tratta di una modalità di lavoro che ha giovato sia ai dipendenti che alle aziende.

L’autonomia lavorativa, il procedere per obiettivi e non solo considerando il trascorrere delle ore sull'orologio, rappresenta un enorme beneficio per il benessere del singolo e della conciliazione del lavoro con la sua vita privata (work life balance), senza però nulla togliere alla produttività aziendale.

Lo smartworking -è innegabile- garantisce un grado di libertà più elevato al lavoratore, che ha la facoltà di meglio organizzare la propria giornata, anche alla luce delle esigenze familiari. Il fatto stesso di eliminare il tragitto in andata e ritorno dal posto di lavoro, offre la possibilità di tempo supplementare per se stesso o per i propri familiari.

Certamente ciò avviene non senza criticità, che dovranno essere spianate. Il rischio, con i figli a casa e la gestione del menage familiare, è quello di creare una discriminazione di genere, per le donne impegnate su più fronti, contemporaneamente e nello stesso luogo.

Tutelare il diritto alla disconnessione

Le ultime considerazioni appena esposte ci conducono a un altro punto critico, che però lo smartworking ha messo in luce e che andrà definito, dopo il 31 marzo.

Si tratta del diritto alla disconnessione del dipendente, in quanto rappresenta un vero e proprio rischio che potrebbe sfociare nella sua sovrautilizzazione.

Il fatto ad esempio, che non si abbia più necessità di spostarsi per raggiungere il posto di lavoro, fa sì che la giornata risulti più proficua, purché non si cadi nella trappola di non rispettare più gli orari di lavoro giornalieri. Ogni giorno è uguale all’altro e c’è la concreta possibilità di non riuscire a disconnettersi nelle ore serali o nel weekend, pressati da messaggi “urgenti” o tentati dal leggere sempre in tempo reale i messaggi whatsapp da parte dei manager aziendali.

Definire la fascia di disconnessione, durante la quale il lavoratore non deve più essere disponibile, rappresenta senza dubbio una delle priorità, in questo contesto.

Chi sta in smartworking, deve avere il green pass?

La risposta è affermativa. Alla luce delle nuove disposizioni in materia, risale proprio a pochi giorni fa, al 15 febbraio per la precisione, l’introduzione dell’obbligo vaccinale per gli over 50.

Proprio in vista delle novità riguardanti il perdurare dello smartworking dopo 31 marzo, al di là della fine dello stato di emergenza, l’argomento è più che mai attuale. I dipendenti che hanno un contratto di lavoro che contempla anche la modalità in smartworking, hanno l’obbligo di possedere un super green pass in corso di validità.

La suddetta certificazione verde si ottiene a seguito di ciclo vaccinale completo (inclusa dose booster, se sono passati oltre sei mesi dalla seconda) nonché dopo avvenuta guarigione.

Il fatto che si vada verso la fine dello stato di emergenza non significa però che si vada incontro all’abolizione in automatico del green pass.

Le affermazioni di Costa in tal senso, lasciano aperto lo spiraglio verso l’eliminazione della certificazione verde, perlomeno all’aperto. Il fatto che però l’obbligo vaccinale degli over 50 perduri fino ad almeno il 15 giugno, stride con tali dichiarazioni.

Molto più plausibile dunque l’ipotesi che, al termine dello stato di emergenza, continuino a sussistere sia lo smartworking che il super green pass.

La prospettiva si estende verosimilmente a tutti i mesi estivi. E nel frattempo? Chi ha un posto di lavoro e non vuole sottoporsi alla vaccinazione, cosa deve attendersi?

L’attuale normativa prevede che il lavoratore no-vax, che non voglia sottoporsi al vaccino contro il Covid-19, possa conservare il proprio posto di lavoro, pur dovendo rinunciare alla retribuzione.

L’altro aspetto da non trascurare, riguarda invece le multe che è possibile ricevere in seguito a controllo, da parte delle Forze dell’Ordine. Chi dunque ha compiuto già i 50 anni e si ritrova senza super green pass, può incorrere in verifiche a random e ricevere una multa pari a 100 euro. Ricordiamo infine che la seconda dose ha una validità di sei mesi al massimo, essendo necessaria in seguito la dose booster.