Stipendi, in Italia i più bassi d’Europa: ecco il perché

A parità di potere d’acquisto con altri Paesi UE gli stipendi in Italia sono nettamente più bassi, circa 10-15 mila euro in meno annui. Perché?

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A parità di potere d’acquisto con altri Paesi UE, come Francia o Germania, gli stipendi in Italia sono nettamente più bassi, pari circa a 10-15 mila euro in meno annui. Perché? Andiamo a scoprirlo insieme.

Stipendi, in Italia i più bassi d’Europa: il perché

In realtà, non esiste un’unica motivazione al perché in Italia abbiamo gli stipendi più bassi d’Europa, ma differenti, quali:

  • la mancata crescita economica del Bel Paese, con un conseguente stallo degli stipendi;

  • il basso investimento sulla formazione dei lavoratori;

  • la scarsa preparazione dei manager e degli imprenditori;

  • la mancata crescita della produttività del lavoro;

  • una troppo lenta adozione delle innovazioni tecnologiche.

Per riassumere, gli stipendi sono la punta dell’iceberg di un sistema che non è riuscito ad evolversi correttamente e al pari di altri Paesi UE.

Il Bel Paese è rimasto a vent’anni fa

Cosa è successo all’Italia? Semplice, l’impennata del PIL relativa agli anni del boom economico (1960) è arrivata al capolinea negli anni Novanta. Dagli anni del dopoguerra al 1990, infatti, l’economia del Bel Paese è cresciuta di pari passo agli altri Paesi UE, ma poi qualcosa si è inceppato e, da allora, è rimasta pressoché costante, se non per le recessioni del biennio 2008-2009 e del 2020.

In sostanza, lo stallo del PIL ha impedito agli stipendi italiani di crescere quanto gli altri Paesi UE. Facciamo un confronto: la retribuzione media in Italia rispetto a 20 anni fa è cresciuta dello 0.5%, in Francia del 23.9% e in Germania del 20.1%.

Stipendi bassi in Italia: il nostro Paese non investe in istruzione e formazione

In Italia gli stipendi più bassi d’Europa, vediamo insieme la seconda causa: il mancato investimento in istruzione e formazione e, in particolare, ci riferiamo all’istruzione e formazione sia degli imprenditori, che dei dipendenti.

Nello specifico, un manager istruito e ben formato sarà in grado di migliorare l’efficienza aziendale e di ricercare dipendenti più istruiti e specializzati, attribuendo loro il giusto valore. Sì, perché un dipendente più istruito e formato “vale di più” in termini economici rispetto ad un dipendente poco istruito e formato.

I manager italiani, invece, tendono a puntare al ribasso e questo non rappresenta una spinta alla formazione per chi si propone al mondo del lavoro e, inoltre, spinge verso il basso le competenze medie dei lavoratori.

Secondo l’economista del lavoro Andrea Garnero, bassa offerta e bassa domanda di competenze fanno sì che il Bel Paese non sia in diretta concorrenza con gli altri Stati d’Europa, ma piuttosto con i Paesi emergenti.

Garnero, inoltre, evidenzia come il problema della valorizzazione dell’istruzione e della formazione dei dipendenti si noti in particolare dal gap retributivo fra i giovani under 30, in media più istruiti, e i lavoratori più anziani.

I giovani neolaureati, infatti, hanno una retribuzione oraria minore del 39% rispetto a un lavoratore over 50 e del 26% di un dipendente fra i 30 e i 49 anni.

In poche parole, le aziende italiane, nella stragrande maggioranza dei casi, non riconoscono il vero valore che può apportare all’azienda un dipendente più istruito, se questo viene retribuito meno rispetto a un lavoratore con lo stesso ruolo ma più anziano.

Questo non è altro che un disincentivo alla formazione, oltre che al generale sviluppo delle imprese.

Stipendi, in Italia i più bassi d’Europa: la mancata crescita della produttività del lavoro

Il rallentamento, o meglio, lo stanziamento dell’economia italiana dagli anni ’90 ad oggi riguarda, secondo numerosi esperti, un problema di produttività. In che senso?

Semplice, più le aziende producono, più queste si arricchiscono e di conseguenza possono aumentare gli stipendi dei lavoratori e reinvestire i guadagni per divenire ancora più produttive, oppure creare utili per l’imprenditore.

Ma cosa accade se non aumenta la produttività? Non aumentano stipendi, investimenti e utili. Insomma, più uno Stato è produttivo, più avrà stipendi alti per i dipendenti. La produttività, in ogni caso, dipende da diversi fattori, quali:

  • la sopracitata istruzione e formazione di lavoratori dipendenti e manager

  • lo sviluppo tecnologico

  • gli investimenti di ricerca

  • l’inserimento degli stessi lavoratori nelle dinamiche aziendali.

Se si confronta la produttività del Bel Paese con quella tedesca o francese si nota come nel 2020 ogni ora lavorata in Italia ha prodotto circa 55 dollari di PIL; molto meno rispetto ai 67 tedeschi e 68 francesi.

Ecco perché non aumenta la produttività in Italia

 In Italia abbiamo stipendi più bassi rispetto agli altri paesi d’Europa anche per una mancata crescita della produttività del lavoro. Secondo Garnero, questo rallentamento della crescita ha riguardato tutti gli Stati del mondo, ma in Italia è stato più importante a causa di problematiche 100% made in Italy. Quali? Secondo l’economista, le cause sarebbero differenti:

  • l’inefficienza del settore pubblico

  • una scarsa meritocrazia

  • una contrattazione aziendale poco sviluppata.

Ma non è tutto, poiché una delle motivazioni più importanti è che il nostro Paese ha mancato la rivoluzione informatica degli anni Novanta. In breve, l’Italia non ha ben accolto e integrato l’innovazione nelle dinamiche aziendali, compresa la formazione dei lavoratori.

Stipendi bassi in Italia anche a causa dei sindacati

Secondo molti economisti, inoltre, tra i “perché” l’Italia ha stipendi più bassi rispetto agli altri Paesi d’Europa bisogna inserire il ruolo svolto sindacati.

Secondo Itinerari previdenziali quasi il 100% dei dipendenti italiani è assunto con l’applicazione di un contratto collettivo del lavoro, ovvero con un contratto standardizzato negoziato a livello nazionale da:

  • sindacati

  • organizzazioni che rappresentano i lavoratori

  • associazioni datoriali, in rappresentanza delle imprese

In questi contratti vengono definite le condizioni di base del rapporto lavorativo, quali ore di lavoro, ferie, retribuzione minima (che cambia a seconda del ruolo e dell’esperienza).

Nonostante il ruolo dei sindacati sia fondamentale, questo tipo di contrattazione ha impedito lo sviluppo della contrattazione singola tra lavoratori e aziende, che sarebbe servita a cogliere peculiarità di determinati rapporti di lavoro, quali: la maggior specializzazione di un dipendente o un più alto grado di istruzione, che avrebbero come normale conseguenza una retribuzione più elevata rispetto a un minor grado di istruzione o specializzazione.

Questo, nella quasi totalità dei casi non avviene e le conseguenze sono disastrose: la contrattazione collettiva spinge gli stipendi verso il basso, anche per chi meriterebbe di più, e blocca il sistema.

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