In alcuni casi, i lavoratori hanno ricevuto nel corso dell’anno il riconoscimento del trattamento integrativo direttamente in busta paga, anche se non rispettavano tutte le condizioni obbligatorie per poterlo ricevere.
A questo proposito, il rischio è che si ritrovano a dover restituire il trattamento integrativo al momento del conguaglio fiscale nel modello 730.
Chi sono le persone che rischiano di dover restituire il trattamento integrativo e quali le motivazioni alla base del rischio di restituzione del sostegno economico?
Vediamo, quindi, in questo articolo, quali sono le situazioni più comuni in cui i lavoratori hanno percepito in maniera indebita il trattamento integrativo e cosa fare in questi casi.
Trattamento integrativo: come funziona
Prima di andare a chiarire chi sono coloro che rischiano di dover restituire il trattamento integrativo percepito indebitamente, occorre innanzitutto approfondire in cosa consiste questa misura e come funziona la sua erogazione.
A questo proposito, il trattamento integrativo sui redditi da lavoro dipendente e assimilati rappresenta un importo che viene riconosciuto annualmente nei confronti di alcune categorie di lavoratori dipendenti, fino ad un massimo di 1.200 euro.
Si tratta della misura che è andata a sostituire l’ex bonus Renzi, e che fa parte dei contributi introdotti dal decreto Cura Italia, entrato in vigore già a partire dal primo luglio 2020.
In tal senso, all’interno della busta paga, viene inserita una voce “Trattamento integrativo L. 21/2020” in cui appunti si indica la presenza del bonus sullo stipendio del lavoratore.
A chi spetta il trattamento integrativo
Non tutti i lavoratori dipendenti potranno accedere in egual misura al trattamento integrativo in busta paga. È proprio per questo motivo che, in alcuni casi, c’è il rischio che il lavoratore si ritrova costretto poi a dover restituire il trattamento integrativo indebitamente percepito.
Per questo, è bene specificare quali sono le categorie di lavoratori dipendenti a cui spetta a tutti gli effetti il trattamento integrativo. Si tratta, dunque, delle seguenti categorie: soci lavoratori di cooperative, lavoratori in cassa integrazione, stagisti e tirocinanti, ma anche collaboratori con contratto a progetto o co.co.co.
Ma non solo, si intendono inclusi nella possibilità di accedere regolarmente al trattamento integrativo, anche i percettori di borse di studio, di assegno o premio per studio, ma anche sacerdoti, oltre che i cittadini in stato di disoccupazione che percepiscono Naspi, DIS-COLL e disoccupazione agricola.
Infine, possono avere il trattamento integrativo anche i lavoratori socialmente utili, i lavoratori in maternità per congedo obbligatorio e quelli in congedo di paternità.
Non basta, tuttavia, rientrare in una di queste categorie per poter accedere al trattamento integrativo. È importante, infatti, verificare anche il requisito obbligatorio legato al reddito percepito dal lavoratore.
A questo proposito, il trattamento integrativo viene riconosciuto esclusivamente nei confronti dei lavoratori con redditi fino a 28 mila euro.
Chi rischia di restituire il trattamento integrativo
Abbiamo quindi visto nei paragrafi precedenti che il trattamento integrativo rappresenta una riduzione dell’Irpef trattenuta in busta paga, nei confronti dei lavoratori dipendenti.
Ciò significa che per poterne fruire i lavoratori devono pagare l’IRPEF. È proprio per tale motivazione che il trattamento integrativo può essere riconosciuto esclusivamente per i redditi superiori agli 8.000 euro annui.
Questo perché fino a 8mila euro annui di reddito, le detrazioni spettanti nei confronti dei lavoratori annullano l’Irpef dovuta e non si è tenuti quindi al versamento di tale imposta.
In questi casi, quindi, senza un imposta da pagare non vi è la possibilità per il lavoratore di percepire un trattamento integrativo.
Ecco quindi che emergono le categorie di lavoratori di rischiano di dover restituire il trattamento integrativo che hanno percepito erroneamente, a seguito della presentazione del modello 730.
Si tratta non solo dei lavoratori che superano il reddito annuo di 28mila euro, ma anche di coloro che hanno un reddito annuo inferiore agli 8mila euro.
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