Chi vince tra i migliori fondi pensione e il TFR?

Quali sono i migliori fondi pensione degli ultimi anni? Ma soprattutto, conviene, in termini di rendimenti, tenere il TFR in azienda? Chi vince su un orizzonte temporale di 20 anni? Il miglior fondo pensione a vent'anni è il TFR. Effettivamente è quello che è emerso dalla relazione del 2020 della COVIP su un orizzonte temporale di vent'anni. Il miglior rendimento lo ha avuto il TFR.

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Quali sono i migliori fondi pensione degli ultimi anni? Ma soprattutto, conviene, in termini di rendimenti, tenere il TFR in azienda? Chi vince su un orizzonte temporale di 20 anni? Vediamo di scoprirlo.

Le posizioni in essere

Alla fine di dicembre 2020, le posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari sono 9,353 milioni; la crescita rispetto alla fine del 2019, pari a 236.000 unità (2,6 per cento), risulta inferiore rispetto ai periodi precedenti all’emergere dalla crisi epidemiologica.

A tale numero di posizioni, che include anche quelle di coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, corrisponde un totale degli iscritti che può essere stimato in 8,480 milioni di individui.

Rispetto alla fine del 2019, nei fondi negoziali si registrano circa 101.000 posizioni in più (3,2 per cento), portandone il totale a fine anno a 3,261 milioni. I maggiori incrementi si riscontrano nel fondo destinato ai lavoratori del settore edile, (20.600 unità in più) e nel fondo rivolto ai dipendenti pubblici (14.000 unità in più).

Nelle forme pensionistiche di mercato, i fondi aperti contano 1,628 milioni di posizioni, 76.000 unità in più (4,9 per cento). Pei i PIP “nuovi” il totale delle posizioni, 3,508 milioni, è in aumento di 89.000 unità (2,6 per cento), sempre rispetto alla fine del 2019.

Le risorse in gestione e i contributi

A dicembre 2020, le risorse destinate alle prestazioni sono pari a circa 196 miliardi di euro, 11 miliardi in più rispetto alla fine del 2019. Il patrimonio dei fondi negoziali risulta pari a 60,4 miliardi di euro, il 7,5 per cento in più. Per i fondi aperti si attesta a 25,4 miliardi e a 39,2 miliardi per i PIP “nuovi” aumentando, rispettivamente, dell’11,1 e del 10,4 per cento.

I flussi contributivi nel 2020 hanno totalizzato 12,4 miliardi di euro (3 per cento in più rispetto al 2019), attenuando la propria crescita rispetto al trend degli anni precedenti (poco sopra il 5 per cento annuo), ma mantenendosi comunque in territorio positivo nonostante la crisi determinata dalla pandemia.

Il calo dei contributi osservato nel secondo trimestre, in corrispondenza della fase più acuta della crisi, è stato quindi recuperato. Un’analisi che tiene conto della stagionalità in effetti conferma che il calo dei contributi specificamente imputabile all’emergere della pandemia sia comunque stato di ammontare limitato.

La differenza tra il flusso complessivo incassato nel 2020 e quello del 2019 è positiva per circa 350 milioni di euro a livello di sistema; nelle diverse tipologie di forma pensionistica è positiva sia per i fondi negoziali e per i fondi aperti sia, seppure in misura marginale, per i PIP.

I rendimenti

Dopo una prima parte dell’anno nella quale si sono registrate tensioni, i mercati finanziari hanno progressivamente recuperato nel corso della restante parte del 2020. Rispetto alla fine del 2019, i rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine sono scesi per i principali Paesi, in particolare nell’ultimo trimestre dell’anno per quanto riguarda l’Area dell’euro; i differenziali di rendimento dei titoli governativi italiani rispetto ai titoli tedeschi si sono portati al di sotto dei livelli di fine 2019.

I listini azionari, che nella prima parte dell’anno avevano subito perdite rilevanti, sono saliti sensibilmente, riportandosi a valori superiori di quelli di inizio anno negli Stati Uniti e in Giappone, e recuperando comunque gran parte delle perdite anche nell’Area dell’euro; la volatilità è progressivamente scesa dopo i massimi raggiunti nel mese di marzo.

I risultati delle forme complementari hanno a loro volta beneficiato di tali condizioni più distese dei mercati finanziari. Al netto dei costi di gestione e della fiscalità, i rendimenti sono stati positivi per i fondi negoziali e per i fondi aperti: rispettivamente, 3,1 e 2,9 per cento; sono risultati negativi, ma solo marginalmente (-0,2 per cento), per i PIP di ramo III.

Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato, e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato pari all’1,4 per cento.

Valutando i rendimenti su orizzonti più propri del risparmio previdenziale, essi restano nel complesso soddisfacenti. Nei dieci anni da inizio 2011 a fine 2020, il rendimento medio annuo composto è stato pari al 3,6 per cento per i fondi negoziali, al 3,7 per i fondi aperti, al 3,3 per i PIP di ramo III e al 2,4 per cento per le gestioni di ramo I; nello stesso periodo, la rivalutazione del TFR è risultata pari all’1,8 per cento annuo.

Ma se allarghiamo l'orizzonte temporale e lo portiamo, per esempio, a 20 anni? Che poi è il periodo in cui, storicamente, qualunque investimento borsistico non può perdere, statisticamente? Cosa succede?

A 20 anni...

Rullo di tamburi: il miglior fondo pensione a vent'anni è il TFR. Non ci crederete mai, ma effettivamente è quello che è emerso dalla relazione del 2020 della COVIP su un orizzonte temporale di vent'anni. Il miglior rendimento lo ha avuto il TFR.

Davvero sembra stranissimo. Ma la COVIP ha pubblicato una tabella, la tabella dei rendimenti netti medi annui composti. Da essa si evince che il TFR ha avuto una rivalutazione negli ultimi vent'anni del 2,4 per cento contro i fondi pensione aperti, che hanno avuto una media del 2 per cento.

Addirittura i fondi aperti azionari sono all'1,8 per cento. Un po' meglio hanno fatto i fondi negoziali, col 3 3 per cento, anche se c'erano pochissimi fondi negoziali all'inizio degli anni 2000, e non c'erano proprio i PIP, perché sono nati nel 2008.

Analizzando meglio questa tabella, possiamo capire una cosa principale, il fatto che all'inizio del 2000 eravamo in piena bolla di Internet, la bolla delle dot.com, e l'inizio del calcolo si fa proprio sulla cresta di quest'onda.

Purtroppo dopo i primi anni 2000 c'è stato il crollo; appena ci si è ripresi abbiamo poi avuto la crisi dei mutui suprime, con conseguente crisi del debito sovrano in Europa, e i fondi pensione azionari hanno fatto molta molta fatica. Se andiamo invece ad analizzare i rendimenti più recenti, quindi quelli  dell'ultimo anno, degli ultimi 3 o 5, o anche a dieci anni, notiamo che comunque i fondi pensione superano di gran lunga il TFR.

La rivalutazione media del TFR è stata del 2 per cento, mentre nella rivalutazione dei fondi negoziali in media abbiamo 3,6%, 3,8%, 2,6% per i PIP, e rimaniamo sulla media. Consideriamo che se ci spostiamo sull'azionario, sono tutti superiori ai cinque punti e mezzo.

Perché tutto ciò? Ed è veramente vero?

Comunque questi rendimenti ci hanno molto stupito, soprattutto in un orizzonte temporale così lungo. Dovessero esserci nuovi shock, la soluzione sarebbe quella per sicurezza, per chi non volesse rischiare di  tenere i soldi in azienda?

Sì e no, perché dobbiamo leggere completamente la relazione della COVIP. Perché, soprattutto nelle appendici, realmente non è proprio così. Se proseguiamo infatti con l'analisi, a pagina 266 troviamo le serie storiche dei rendimenti dei fondi pensione.

Possiamo vedere che all'inizio del 2000 il rendimento del fondo aperto è stato del 2,9 per cento. Ma se andiamo un solo anno prima, con il rendimento del 1999 il rendimento dei fondi aperti è stato il 24 per cento, contro un 3 per cento del TFR.

Praticamente solamente con un anno di differenza (per ovvi motivi di durata ventennale, l'anno prossimo non ci sarà più l'anno 2000, ma ci sarà il 2001, e ci sarà il 2021), il rendimento del TFR e dei fondi pensione aperti è completamente sfasato. Pensate che se avessimo preso il rendimento del 1999 in considerazione, avremmo avuto un rendimento totale in vent'anni superiore all'80 per cento, a fronte di un rendimento di circa il 64 per cento del TFR.

Quindi è vero che in certi casi, in certe occasioni, il TFR può far meglio, perché il TFR non ha praticamente volatilità. Però non ha nemmeno un grosso rendimento. Ricordate che il TFR è riconosciuto dal datore di lavoro con un rendimento medio annuo dell'1,5 per cento, più il 75 per cento dell'inflazione attuale.

Quindi oggi possiamo capire che il rendimento del TFR sarà l'uno e mezzo. Se ci sarà inflazione potrà crescere di qualcosa.

Le linee di investimento di chi investe in forme pensionistiche complementari

Sono prevalenti i profili caratterizzati da una minore quota di azioni: il 42,7 per cento degli iscritti è concentrato nei profili garantiti e il 12,9 in quelli obbligazionari; nei profili bilanciati si colloca il 37,5 per cento degli aderenti mentre è residuale, pari al 6,9 per cento, il peso dei profili azionari.

Nelle diverse tipologie di forma pensionistica, circa un quarto degli iscritti ai fondi negoziali ha un profilo garantito; salgono di 0,8 punti, al 44,6 per cento, gli iscritti nei fondi preesistenti (gestioni assicurative). Il peso degli iscritti ai profili garantiti nei fondi aperti e nei PIP (gestioni separate),è rispettivamente del 17,7 e 74,2 per cento

Nei fondi aperti, il 69,9 per cento degli aderenti ha profili bilanciati e azionari; tale percentuale è del 55,9 nei fondi negoziali, del 40,7 per cento nei fondi preesistenti e del 21,6 per cento nei PIP. In generale, la percentuale di iscritti con profilo azionario risulta significativa solo per i fondi aperti (16,3 per cento).

Osservando la distribuzione degli iscritti per profilo di investimento ed età si nota, a livello di sistema, una propensione maggiore per i profili azionari e bilanciati nelle classi di età molto giovani (fino a 29 anni); nelle fasce centrali (30-54 anni), dove si colloca la maggioranza degli iscritti, la quota dei profili a rischio più basso si mantiene intorno al 50 per cento, di cui i tre quarti costituiti da garantiti. Questi ultimi profili assumono via via un peso predominante a partire dai 55 anni.

Distinguendo in base al genere, emerge una maggiore propensione degli uomini per i profili più rischiosi che si mantiene intorno ai 10-15 punti percentuali per tutte le classi di età fino ai 54 anni. Il peso dei comparti azionari è peraltro simile tra i due generi in tutte le fasce; è comune anche il forte incremento dei profili garantiti nelle classi più anziane.

Tra le diverse tipologie di forma pensionistica, gli iscritti ai PIP scelgono in larga prevalenza e a prescindere dall’età un profilo garantito (si tratta delle gestioni separate di ramo I). Invece, nelle altre tipologie di forma si notano tendenze all’aumento del peso delle linee garantite al crescere dell’età.

Per quanto riguarda i fondi negoziali, si osserva l’ampia prevalenza di iscritti di età compresa tra 35 e 54 anni con profilo bilanciato e l’aumento della frequenza dei profili meno rischiosi al crescere dell’età. Nei fondi aperti, il peso delle linee azionarie è relativamente maggiore rispetto alle altre forme per tutte le classi di età, così come risulta minore l’incidenza dei comparti garantiti.