Cina alleata della Russia ma contro l’invasione: i rapporti!

La Cina è come un funambolo e le vengono mosse accuse pesanti dagli Usa, che Pechino ricambia attaccando Biden, senza troncare con Putin.

Che fine farà quella che fu definita, non senza un afflato di romanticismo, “l’eterna amicizia” tra Russia e Cina?

Fino ad oggi, l’atteggiamento cinese è stato paragonabile a quello di un funambolo che mantiene il suo equilibrio a strapiombo sull’abisso.

Da un lato, il governo di Xi Jinping non voleva disintegrare i rapporti con la Russia, nè tanto meno con lo stesso Putin, dall’altro si è visto rivolgere dall’Occidente uno sguardo a metà tra l’interrogativo e l’accusatorio. 

Facciamo un passo indietro.

Era chiaro sin da subito che la Cina avrebbe preferito tenere il piede in due scarpe: restare moralmente al fianco della Russia, senza rinunciare alle proprie velleità di infiltrazione nei negoziati e nei commerci occidentali, cosa che l’hanno resa la superpotenza economica che conosciamo oggi.

L’amicizia con il leader russo, peraltro, si era già incrinata con l’invasione bellica sul territorio ucraino: parliamo di una terra ricchissima di materie prime su cui Pechino aveva già affondato gli artigli dei propri interessi finanziari.

C’è da pensare che anche per loro il conflitto in atto fosse una situazione scomoda, a meno che non ci fosse un accordo preliminare con Putin anche in questo senso, cose però della quale non ci è dato di sapere.

Prima di irrompere con le sue truppe in terra ucraina, Putin era andato a far visita al leader Xi Jimping, il giorno precedente all’inaugurazione delle Olimpiadi, e fa specie credere che i due non si siano scambiati delle confidenze.

Una volta esplosa la bomba del conflitto, si parla di un pugno di giorni in seguito al dialogo tra i due leader, Pechino si è dovuta un po’ arrangiare nel porsi in relazione con l’opinione pubblica mondiale, della quale stava subendo lo sguardo inquisitore.

Quello che ricordiamo certamente delle dichiarazioni della diplomazia cinese, espresse nelle scorse settimane, si può sintetizzare in tre punti principali:

  • – La Russia è un grande Paese. Non deve rendere conto a nessuno delle proprie azioni.
  • – Noi crediamo nella libertà di autodeterminazione dei popoli e quello che accade in Ucraina era tutto ciò che non volevamo vedere.
  • – Quello che hanno fatto, lo hanno fatto da soli. Noi non ne sapevamo nulla.

Ed è così che in primissima battuta ha pensato di togliere le castagne dal fuoco.

Ciò che ha destato pruriginosi sospetti sul fronte occidentale però, era la possibilità che la Cina potesse aiutare in qualche modo la Russia a raggirare i provvedimenti punitivi e le sanzioni iniziate con l’esclusione degli istituti finanziari russi dallo Swift.

Chiaro che se Pechino si fosse reso complice di una simile manovra, sarebbe stato sanzionato a sua volta e sarebbe andato incontro a una serie di grane diplomatiche difficili anche da prevedere.

Sia come sia, l’ultima dichiarazione della diplomazia cinese è stata:

“La Cina non intende voltare le spalle alla Russia, ma non ha alcuna intenzione di perire per le scelte di Putin”

leggiamo su ilfattoquotidiano.it

Ciò che sappiamo per certo, alla luce di questa accorata affermazione, è che la Cina non desidera scivolare nel baratro per manina con la Russia, nè tantomeno prodursi in un qualche suicidio economico. 

Amici si. Ma rivediamo pure un attimo il concetto di eternità. 

E rivediamo anche le mosse concrete che la Cina ha già attuato a suffragio di queste parole:

“L’istituto di credito asiatico, specializzato nell’ambito infrastrutturale e gestito dalla Cina, ha sospeso ogni attività connesse a Mosca e alla Bielorussia, nella fiduciosa attesa di un auspicabile dispiegamento delle tensioni e della fine della belligeranza con l’Ucraina.”

apprendiamo sul sito specializzato devex.com

Da questo possiamo dedurre che un certo tipo di atteggiamento era già stato adottato dal governo cinese onde mantenere i propri affari al sicuro, fuori da un tornado finanziario che non avrebbe esitato a fagocitarli.

L’incontro tra le due diplomazie a Roma

Tornando all’incontro avvenuto due giorni fa, cerchiamo ora di capire quali siano stati gli esiti del confronto tra le due diplomazie che hanno disquisito per lungo tempo in un noto albergo capitolino, dettaglio che ci fa intuire come Roma sia in qualche modo presente nei fascicoli ucraini, cosa che andrebbe approfondita a tempo debito.

L’impressione a caldo, è che gli USA abbiano voluto sovvertire l’idea di stabilità e pseudo neutralità cinese costringendoli a prendere delle posizioni nette, ufficiali, non ambigue.

Che si sia voluto tagliare il filo su cui Pechino cercava di restare in asse tra Occidente e Oriente e porlo di fronte a una scelta drastica: accettare la mano statunitense e risalire il crinale o cadere nel baratro.

Nel corso del vertice tra Il consigliere della Sicurezza nazionale, Jake Sullivan e il diplomatico del partito comunista, Yang Jiechi, il tema delle sanzioni e della non ingerenza Cinese è stato infatti centrale, ma non è stato l’unico argomento in oggetto.

Washington è sospettosa, e non solo relativamente alla possibilità che la Cina possa favorire un raggiro delle sanzioni: nell’aria c’è anche un sospetto, in merito a un presunto accordo con Pechino, su una fornitura di armi per rafforzare la belligeranza russa. 

Ne hanno parlato anche sul New York Times:

“Mosca chiede a Pechino di agevolarla nel conflitto ucraino con un sopporto bellico, dopo l’irruzione delle truppe russe ordinata da Putin.”

leggiamo su nytimes.com

E questo non sarebbe un dettaglio da poco.

La versione del New York Times suona davvero come un’accusa.

Scrivono esplicitamente che il leader  Xi Jinping non si è distanziato, ma ha consolidato i suoi rapporti con Putin anche mentre il fronte ucraino era infuocato da esplosioni missilistiche su civili, ospedali, corridoi cosiddetti “umanitari” dove si spara in modo arbitrario.

Scrivono, in soldoni, che la Cina è un sorvegliato speciale e che verrà monitorata in ogni sua mossa. 

Ed è qui che i contorni del dialogo diplomatico si fanno più nitidi.

La risposta di Pechino

Ora comprendiamo meglio le ragioni dell’affrancamento (apparente) di Pechino da Mosca e il motivo per cui, d’improvviso, si siano lasciati andare a dichiarazioni che non risentono più dei toni vaghi sfoderati all’inizio per tenere calma l’opinione pubblica.

L’Occidente, gli USA, la NATO, non stanno stringendo la tenaglia soltanto attorno al collo di Putin, ma anche attorno al collo di Xi Jimping.

E fu così che una forbice tagliò il filo del funambolo ed egli dovette accettare quella mano tesa per non cadere nell’abisso. O almeno, fece finta di afferrarla.

Quello prefigurato dagli USA assomiglierebbe a un baratro senza sconti, che prevede precise azioni all’insegna della coerenza e della chiarezza d’intenti.

Questa, a chiacchiere, è stata la promessa cinese.

Ma nei fatti, come si sta esprimendo la politica interna cinese?

Cosa dicono i loro media?

“Pechino desidera impegnarsi per promuovere la pace, ma la questione va vista nella sua complessità e da ogni punto di vista.”

come da riassunto emesso dal ministero per gli affari Esteri cinese e ripreso da askanews.it 

In pratica, dicono, bisogna tenere conto anche delle ragioni di Mosca.

Tecnicamente sarebbe un’affermazione corretta: la verità non risiede mai solo da una parte e la precedenza decisionale andrebbe data alla cessazione di un massacro e alla salvaguardia dei civili.

Invece dal punto di vista meramente diplomatico, un riscontro del genere suona deludente.

Suona deludente perchè dopo tanto parlarsi addosso e dopo una potente opera di destabilizzazione delle relazioni tra i due alleati perpetuata (probabilmente anche con malcelate minacce) dalla diplomazia USA, la Cina non da la soddisfazione di spostarsi di un millimetro dal suo piedistallo.

E con gli States il dialogo si ammanta di una coltre gelata.

La guerra in Ucraina e le relazioni tra Cina e USA: scenari possibili

La Cina non molla i commerci con l’occidente e non tradisce neanche il suo alleato più prossimo.

Rimane velata quell’antica idea che il mondo intero ha formulato sugli States, a seguito della loro già nota politica internazionale: le mire espansionistiche statunitensi hanno stufato.

Non c’è nulla che possa mettere Pechino e il suo governo nelle condizioni di affermare il contrario.

E anche qui, non viene nemmeno da dargli torto, se prendiamo singolarmente l’affermazione, isolandola da ogni contesto.

Insomma, i rappresentanti delle due diplomazie si sono incontrati per cosa?

Per parole parole a cui non si è dato alcun seguito, sembrerebbe, utili solo a evitare ulteriori crepe ma inutili sul piano meramente pratico. Una pura formalità.

Il funambolo mantiene l’indole del funambolo, anche quando è il burattinaio del mondo a tagliargli il filo da sotto i piedi, perchè lui non soffre di vertigini e di quel baratro non ha mai avuto un vero timore.

I cinesi sanno che continuando a sostenere la Russia andranno incontro a delle ripercussioni, infatti apparentemente non lo faranno, come hanno già dimostrato con la ritirata sul fronte bancario.

Hanno promesso anche un maggiore dialogo e delle comunicazioni più serrate verso Washington, con rapporti, dossier, ma non ci contiamo troppo.

Si sono resi disponibili a promulgare i valori della pace e su questo, al dato attuale, almeno a parole sembrano coerenti.

Hanno garantito una trasparenza mediatica scevra da ogni ambizione propagandistica e notizia fuorviante, mentre vediamo che la loro stampa interna, dopo l’ultima diplomatica stretta di mano, ha già ripreso a fare ciò che ha sempre fatto: servire il regime.

Gli stati uniti hanno stretto la morsa, tentato l’accelerata sugli accordi, come sorpresi in un nevrotico tentativo di mettere i pezzi del mosaico dove piace a loro, disegnando scenari mai verificati.

Eppure pare abbiano fallito miseramente il colpo. 

Xi Jinping resta convinto di un fatto basilare: che a Biden non importa nulla nè della guerra nè dei civili, ma che stia tentando di approfittare di questo scenario drammatico e instabile per portare avanti i suoi progetti personali.

Chiaro che ogni tentativo di mediazione, basato su un presupposto come questo, giusto o sbagliato che sia, è destinato al fallimento.

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