Un paese sull'orlo della guerra civile: ecco cosa sta succedendo in Israele

Un paese vicino sempre di più alla guerra tra propri connazionali, lavoratori o militari che siano: e tutto per questa riforma sulla giustizia.

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Un Paese paralizzato, uno scontro istituzionale tra il governo e i vertici dell'esercito, diverse manifestazioni e il rischio della caduta dell'ennesimo governo di coalizione israeliano.

Questo è lo scenario che si è creato negli ultimi mesi a Israele, e tutto a causa della controversa riforma della giustizia a firma di Benjamin Netanyahu. Le città sono da settimane colme di manifestazioni di massa, scioperi, e non mancano le tensioni diplomatiche con Usa e Unione europea.

Ora sembra che lo stesso premier sia disposto a fare un passo indietro, a ritirare la riforma, ma prima dovrà vedersela con i suoi alleati, gli ultraconservatori di estrema destra di Potenza Ebraica.

Un paese sull'orlo della guerra civile: ecco cosa sta succedendo in Israele

In attesa della decisione finale da parte del presidente Benjamin Netanyahu (chiamato comunemente Bibi) in merito a questa controversa riforma, la situazione in Israele si fa sempre più pesante, e non pochi analisti temono in un'escalation da guerra civile.

Ad aver aggravato la situazione sembrerebbe sia stato il licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, a seguito della sua decisione di prendere le distanze dal disegno di legge, così come avevano fatto diversi leader militari.

Ormai il paese sembra sempre più contro la riforma di Netanyahu, al punto che pure un pezzo fondamentale per l'economia israeliana, come l'hi-tech, ha preso posizione. Per non parlare dell'esercito stesso: a inizio mese dozzine di piloti di caccia di riserva in uno squadrone d'élite dell'aeronautica israeliana hanno incrociato le braccia, dichiarando che non si sarebbero presentati all'addestramento.

E così anche altrettante centinaia di riservisti militari. Si attende inoltre la decisione da parte dei sindacati nazionali in merito allo sciopero generale indetto contro la riforma: Israele rischia così anche il blocco dei trasporti, aerei compresi.

La riforma di Netanyahu: la giustizia secondo Bibi

A seguito delle elezioni del 2022 e della formazione del nuovo governo di Bibi Netanyahu con diverse formazioni di estrema destra, il premier s'è subito mosso per portare alla Knesset (il Parlamento israeliano) una serie di provvedimenti alla base di una sistematica riforma della giustizia.

Complessivamente, il testo consentirebbe al governo di nominare i giudici direttamente, e di annullare le decisioni della Corte suprema con una maggioranza semplice della Knesset (oggi servono i due terzi).

La giustificazione di Bibi è quella di arginare l’influenza dei giudici non eletti sul lavoro dei deputati, ma molti critici sospettano sia una mossa per indebolire un apparato che da tempo s'è mosso contro lo stesso premier, a processo per corruzione, e contro le politiche israeliane in merito alla questione palestinese. Si ricordi infatti la decisione della Corte Suprema, nel 2005, di richiedere il ritiro dalla Striscia di Gaza.

Inoltre, una Corte Suprema indebolita renderebbe più facile il varo di progetti e programmi politici quali:

  • la piena annessione della Cisgiordania occupata,

  • il ritiro della legislazione pro-Lgtb,

  • l'abolizione delle leggi a tutela dei diritti delle donne e delle minoranze,

  • l'allentamento delle regole di ingaggio per la polizia e i soldati israeliani.

Il risultato è in manifestazioni mastodontiche, con l'ultimo di oltre 80 mila israeliani di fronte alle cancellate della Knesset, o di interruzioni di servizio e scioperi, come il blocco dei decolli dall'aeroporto Ben Gurion. Più il timore di scontri violenti tra i sostenitori delle forze di opposizione e di maggioranza, nelle piazze e nei parchi di Tel Aviv.

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Il ritiro della riforma, il rischio di una crisi di governo

Recentissima è la decisione di Benyamin Netanyahu di sospendere la seconda e terza lettura alla Knesset della riforma della giustizia: si attende pertanto l'esame del testo di legge nella prossima sessione parlamentare.

Una scelta che dovrebbe alleggerire la situazione, o almeno da parte delle forze di opposizione. Per quanto riguarda la coalizione, o meglio Itamar Ben Gvir, leader del partito di estrema destra Potenza ebraica e ministro per la Sicurezza nazionale, si parla già di ritiro del suo sostegno all'esecutivo.

O almeno di un rinvio della riforma dopo la Pasqua ebraica, a patto che il governo esamini la creazione di una 'Guardia nazionale', una specie di polizia speciale sotto la guida dello stesso Ben Gvir.

La situazione per Bibi Netanyahu è sempre più grave. All'inizio ha cercato di resistere alle pressioni interne ed esterne al Paese, ma dopo il licenziamento del ministro della Difesa, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha chiamato Netanyahu per esprimere la sua "grande preoccupazione" in merito all'evolversi degli eventi. E anche per chiedere di raggiungere un compromesso con l'opposizione.

Perché la situazione potrebbe diventare il prologo di una guerra civile, tra forze estremiste e moderate.