ISTAT fotografa il climate change: ecco le città più calde!

L’ISTAT fotografa il cambiamento climatico attraverso la pubblicazione delle temperature nelle maggiori città italiane. Temperature in aumento ovunque! Dove?

L’ISTAT fotografa il cambiamento climatico attraverso la pubblicazione delle temperature nelle maggiori città italiane. Temperature in aumento ovunque, da Nord a Sud Italia, e questo sembra essere solo l’inizio. Il dato che più preoccupa è l’avvicinamento alla soglia che segnerebbe la strada del non ritorno.

Infatti, se le temperature dovessero superare la soglia del 1,5 gradi (soglia stabilita dagli accordi di Parigi sul clima) potremmo non avere più scampo. Ma c’è di più. Adesso questo rischio potrebbe non essere così irraggiungibile.

In ogni città, come vedremo, si è registrato un aumento di circa 2 grandi. Non dimenticheremo il record superato la scorsa estate, con picchi di circa 45° in Sicilia, e non solo. Anche i mari e gli oceani stanno diventando sempre più caldi e questo porta inevitabilmente ad un cambiamento del clima, come una reazione a catena. Semplicemente il gatto che si morde la coda.

A causa dell’aumento delle temperature, molte città si sono già adoperate nella progettazione di giardini e foreste verticali, ma è chiaro che tutto ciò non basterà. Anche la nascita di conflitti e di guerre non fa bene al clima: queste contribuiscono ad un innalzamento dei livelli di CO2 nell’aria, alla distruzione di flora e fauna e alla distruzione e all’inquinamento dei fondali marini.

Ma vediamo i dettagli pubblicati dall’ISTAT.

ISTAT – Pubblicate le temperature delle maggiori città italiane: tutti i capoluoghi a rischio!

Le grandi metropoli e tutte i grandi capoluoghi di regione possono essere considerati dei veri e propri hotspot, punti caldi, dove, soprattutto durante la stagione, le temperature possono raggiugere dei veri e propri record. L’ultimo record è stato raggiunto lo scorso 2021 in Sicilia, dove in alcune città si sono raggiunti picchi di ben 45°: dei forni a cielo aperto!

Nel giro di 50 anni la colonnina di mercurio ha registrato un aumento di 1,2 gradi, arrivando a raggiungere la media di 15,8 gradi dal 1971 al 2000. I dati registrati dall’Istat hanno rilevato dei picchi particolarmente alti in alcune zone d’Italia.

L’aumento maggiore è stato rilevato a Perugia, con +2,1 gradi. Anche la grande metropoli romana ha registrato un aumento di 2 gradi, seguita da Milano, con +1,9 gradi, Bologna, con +1,8 gradi, e Torino, con +1,7 gradi.

Non sono delle notizie incoraggianti, sul fronte dei cambiamenti climatici. Come abbiamo detto appena sopra, tra il 2020 e il 2021, durante la stagione estiva si sono registrate temperature da record, al di sopra dei 45 gradi. Proprio nelle notti tropicali, la temperatura, soprattutto nelle grandi città, non scende al di sotto dei 20 gradi.

Secondo https://www.rinnovabili.it/ 

La variazione è consistente: considerando i soli capoluoghi di regione, l’anomalia media è di +15 giorni estivi (ma Aosta ne guadagna 41, Perugia 35 e Roma 27) e +18 notti tropicali (si boccheggia di più a Napoli con ben 53 notti in più, a Milano con 34 e Catanzaro con 33.

Ma l’ISTAT non registra solamente le temperature dei giorni di caldo estremo, registra anche i giorni piovosi. Quello che emerge è che durante il 2020 l’Italia ha registrato una siccità mai vista, stessa cosa vale per l’anno 2021. Lo scorso anno, infatti, la precipitazione totale annua registrata è stata pari a 661 mm.

A risentirne soprattutto i grandi fiumi, come il Po, le cui acque sono necessarie per irrigare i campi presenti lungo il loro corso. Ad ogni modo, nelle città le piogge sono calate a -132 mm tra il 2006 e il 2015. Ma il calo più sostanzioso si registra al sud, più precisamente a Napoli, con – 423,5 mm, seguita da Catanzaro, con -416 mm, e Catania, con -359,7 mm.

In questi ultimi anni, invece, l’ISTAT ha registrato ancora un calo: 11 giorni in più senza pioggia, rispetto al 2006-2015.

Con l’aumento della siccità, diminuisce anche la distribuzione d’acqua attraverso la rete idrica comunale, provinciale e delle città metropolitane:

nel 2020 la perdita totale in distribuzione è stata di 0,9 miliardi di metri cubi, pari al 36,2% dell’acqua immessa in rete.”

Ma cosa stanno facendo i comuni e le regioni per compensare questo fastidioso problema? Molti comuni hanno già cominciato a progettare e installare impianti di forestazione urbana, o più semplicemente le foreste verticali, oppure ancora i giardini sui condomini e sui grandi palazzi.

Il verde in città è molto utile a mitigare le temperature troppo alte delle stagioni estive, ma ovviamente non serve a contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Per riuscire nell’intento, sono necessarie da parte dei governi degli stati delle politiche molto più incisive, come la Carbon Tax, volte a punire chi inquina, in base alla logica del “Chi inquina, paga!

Gli accordi internazionali e le politiche di transizione energetica

Il problema del cambiamento climatico va risolto adesso. Proprio la scorsa settimana, molti giovani e non solo sono scesi in piazza contro la guerra, contro il cambiamento climatico e a sostegno delle politiche di transizione energetica.

Molti conflitti – dicono i manifestanti – sorgono a causa di un attaccamento morboso agli interessi economici e a modelli energetici che ormai non dovrebbero più essere portati avanti. Perché il governo italiano, ad esempio, ha dovuto aspettare il sorgere di un conflitto europeo per accelerare la burocrazia di diversi progetti volti alla transizione energetica? 

Una domanda che tutti ci poniamo e di cui già conosciamo la risposta. Investire sulle rinnovabili non conviene. Molte multinazionali del gas e del petrolio premono affinché questi progetti vengano realizzati il più tardi possibile, o per lo meno, fino a che le fonti si esauriscano.

Ma, purtroppo, il pianeta terra non aspetta i nostri tempi economici. Tutto va ormai troppo veloce: la globalizzazione, così come il cambiamento climatico. Ma gli Stati non sono stati con le mani in mano. Proprio nel 2015, è stato firmato il famoso Accordo di Parigi sul clima, uno dei primi accordi internazionali sul cambiamento climatico.

L’accordo di Parigi segna una linea di demarcazione tra le parole e i fatti. Fu proprio da quel momento in poi che gli Stati hanno cominciato ad impegnarsi sul serio. Questo, infatti, programma il raggiungimento della decarbonizzazione, con obiettivi a lungo termine volti a combattere il cambiamento climatico, e una struttura flessibile basata sui contributi dei singoli governi.

Secondo https://www.enelgreenpower.com/

I governi firmatari si sono impegnati a limitare l’aumento della temperatura al di sotto di 2° centigradi rispetto ai livelli preindustriali con sforzi per rimanere entro 1,5°, per raggiungere il picco delle emissioni il prima possibile e raggiungere la carbon neutrality nella seconda metà del secolo.

Ma dal 2015 al 2021 tantissime cose sono state lasciate in sospeso e in molte occasioni gli Stati hanno dovuto ribadire l’impegno del raggiungimento della Carbon neutrality entro il 2050 a livello globale. 

Proprio per questo motivo, nella famosa manifestazione Fryday for future, la famosa attivista Greta Thumberg ha più volte accusato gli stati di inerzia e di “parlare, parlare e parlare” senza poi far realmente qualcosa per cambiare le cose.

 

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