L’Italia non riesce a spendere il Recovery Fund! Allarme!

L'Italia non riesce a spendere il Recovery Fund e i fondi potrebbero ritornare al mittente. Il rischio c'è e vi spieghiamo qual è!

L’Italia non riesce a spendere i fondi del Recovery Fund ed è subito allarme. Se il nostro paese non riuscisse a spendere le risorse, queste ritornerebbero direttamente al mittente. Nel frattempo, l’inflazione è alle stelle, il costo della vita è diventato altissimo e gli stipendi continuano a restare bassi.

Anzi, nell’ultimo periodo alcuni imprenditori come Flavio Briatore e Alessandro Borghese hanno ricominciato a parlare dei giovani e del loro rapporto con il lavoro. Questi, lamentano il fatto di non riuscire a trovare dei giovani lavoratori pronti a sacrificarsi per più di 8 ore di lavoro per pochi euro.

Quando, però, l’inflazione è così alta questi pochi euro non ti fanno campare, anzi. Molti giovani sono costretti il più delle volte a lavorare all’estero pur di guadagnare qualche soldo, ma quello che trovano è solo sfruttamento e mazzate.

L’ondata inflazionistica e lo stop alla modifica del PNRR

L’inflazione in Europa è, ormai, giunta a dei livelli record e sta causando forti rincari nelle materie prime, alcune delle quali sono necessarie a realizzare gli obiettivi previsti dalla Commissione Europea e che l’Italia ha sottoscritto. Obiettivi che, in sostanza, il nostro paese deve raggiungere rispettando la tabella di marcia, altrimenti il rischio è che i fondi ritornino presto a chi ce li ha concessi.

A rendere la posizione del nostro paese ancora più difficile è anche la decisione della Commissione Europea di bloccare le modifiche al Pnrr, ossia il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza approvato lo scorso 22 giugno.

I primi segnali d’allarme che riguardano il carente utilizzo delle risorse del programma Next Generation EU sono arrivati in questi giorni, più precisamente dal 14 aprile. Prima, però, bisogna ricordare che l’uso delle risorse viene monitorato e questi dati vengono poi valutati in sede di bilancio.

Questo report è stato presentato proprio ad aprile all’ufficio parlamentare di bilancio ed evidenziava un calo nella realizzazione degli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il report dice che addirittura il ritmo è inferiore a quanto era stato ipotizzato inizialmente. Infatti, secondo quanto riporta il report,

“erano stati ipotizzati interventi per 13,7 miliardi a fronte dei 5,1 miliardi che sono stati effettivamente spesi”

Questi ultimi interventi riguardano, poi, dei progetti già in essere, ovvero progetti già esistenti, bloccati, e poi ripartiti grazie ai fondi del Pnrr. Ma quale sarà il motivo di questa tendenza? Certamente l’inflazione non sta aiutando.

Moltissimi cantieri si trovano in difficoltà con l’acquisto dei materiali, il cui costo è aumentato proprio con l’arrivo dell’ondata inflazionistica. A complicare le cose, successivamente, anche il blocco della cessione del credito che aveva messo ulteriormente in ginocchio le imprese edili.

Il PNRR rischia di fallire?

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, dunque, rischia di fallire. Come spiega anche il quotidiano Today, tre giorni dopo la pubblicazione delle cifre, “dalle colonne de Il Sole 24 Ore è arrivato un appello ad un’accelerazione di circa 6 volte nella spesa effettiva dei progetti Pnrr dal momento che nei termini concreti degli investimenti la sfida vera del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si gioca fra quest’anno e il prossimo”.

Tuttavia, non si riesce a comprendere dove siano finiti i 5 miliardi di euro spesi. Secondo le fonti, quasi la metà di questi fondi sono stati assegnati all’alta velocità ferroviaria, questo è quello che afferma il giornalista del Il Sole 24 Ore, Gianni Trovati

E ancora, “1,2 miliardi sono andati agli ecobonus in edilizia”. Altri 990 milioni di euro, poi, sono stati assorbiti dal piano Transizione 4.0, il quale prevede diversi crediti d’imposta per stimolare gli investimenti. Anche altri 390 milioni di euro sono stati destinati alla scuola e, anche in questo caso, all’edilizia.

Ma il sud è riuscito a spendere questi fondi? Il problema non sono i fondi, questi ci sono, ma l’incapacità delle nostre amministrazioni di gestirli e spenderli per riqualificare il paese. A complicare questa situazione vi è anche la burocrazia, sempre più ingarbugliata e complessa rispetto agli altri paesi d’Europa.

L’Italia è il paese della burocrazia per eccellenza. Abbiamo documento e pratiche per qualsiasi cosa, peccato, però, che questa riesca solamente a rallentare le procedure e non ad accelerarle.

Per questo, l’Italia ha cominciato a non essere più il primo beneficiario dei fondi, come lo era in origine. Ad esempio, nell’ultimo periodo, il nostro paese è stato superato dalla Spagna, la quale riceverà ben 69,5 miliardi di sussidi, contro i 68,9 dell’Italia.

Ad ogni modo, il nostro paese rimane comunque uno degli Stati primi in classifica nel ricevere i fondi richiesti.

Infatti, nel suo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’Italia è riuscita ad inserire anche i fondi destinati all’economia interna, fino ad arrivare alla modica somma di 200 miliardi di euro, rispetto ai 600 miliardi richiesti in totale da tutti i paesi dell’Unione Europea che sono riusciti a fare domanda per ricevere i fondi. 

Questi, sono ancora destinati al programma di ripresa, a seguito della crisi pandemica. Tuttavia, adesso l’ondata di inflazione non rende sicuramente la situazione di facile gestione. Secondo gli economisti, i fondi vanno ricalcolati in base all’inflazione. 

Il Decreto Aiuti? Solamente un tappa buchi!

Gli aumenti, legati sicuramente alla guerra in Ucraina, sono già cresciuti del 25%. Però, la Commissione Europea non permette più modifiche al piano. Quindi, siamo al punto di partenza? Il governo solamente negli ultimi giorni ha deciso di approvare il Decreto aiuti, mettendo così solamente una piccola pezza al grande buco che l’inflazione sta creando alle tasche italiane.

Nella sua ultima conferenza stampa, il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha previsto una modica somma consistente in 200 euro riservati a lavoratori dipendenti e ai pensionati (che riceveranno l’importo direttamente in busta paga e nella pensione nei mesi di giugno e luglio), mentre per i lavoratori autonomi sarà creato un fondo ad hoc.

“Un intervento – dice il premier Draghi – introdotto senza creare scostamenti di bilancio”

Ma si tratta, ad ogni modo, di una somma una tantum, appunto. Una pezza per riuscire momentaneamente a coprire il buco, nulla di più. Nonostante ciò, il nostro governo ha già chiesto alla Commissione Europea di poter modificare nuovamente il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, dice il ministro dell’Economia Daniele Franco.

Ma la Commissione europea sembra restia a nuove modifiche, anche se poi prevede solamente dei ritocchi mirati, ossia piccole modifiche. Secondo il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, “la vera sfida è realizzare l’operazione”.

Ma contro questa decisone di rimodifica del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è il capo di gabinetto, Marco Buti, secondo il quale “Metterci ora a riscrivere il Piano ci farebbe cadere nella trappola delle politiche procicliche del passato”.

Sicuramente un’opinione, questa, da tenere in considerazione. Rispettare le scadenze è importante, perché quello che la guerra in Ucraina e la crisi energetica ci hanno insegnato è proprio non perdere tempo. Se la burocrazia non ci avesse tarpato le ali, adesso non saremmo così dipendenti dal gas russo.

E, invece, siamo ancora qua, a parlare di fondi, di crisi energetica e di inflazione.

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