Omicidio Elena del Pozzo, il gip: “La bimba non è morta subito. Nessun pentimento”

Martina Patti al gip confessa: "Mentre colpivo mia figlia mi sono girata, perché non volevo guardare" La madre non mostra segni di pentimento!

CATANIA – Ogni giorno emergono dettagli sempre più raccapriccianti dell’omicidio di Elena del Pozzo, la bambina uccisa dalla madre, Martina Patti. Durante l’interrogatorio, Martina Patti confessa al gip: “Mentre colpivo mia figlia mi sono girata, perché non volevo guardare”.

Secondo l’ordinanza, con la quale è stato convalidato il fermo, “Per la piccola è stata una lenta agonia, dalla madre nessun segno di pentimento”. Martina Patti, secondo gli inquirenti, ha agito con freddezza e premeditazione, ma ogni volta che le si chiede di raccontare il momento esatto in cui ha colpito la figlia dice “Non ricordo”. Poi, però, puntualizza: “Perché ero girata e non volevo guardare”.

Per il gip, Daniela Monaco Crea, la bambina non è morta subito e certamente avrà cercato di sfuggire alla furia insensata della madre: 

“Patti ha inferto più colpi d’arma da punta e taglio alla figlia, che è stata vittima di una morte violenta. Particolarmente cruenta e probabilmente lenta, alla quale è anche verosimile ritenere che abbia, pur solo istintivamente, tentato di opporsi e sfuggire… tutto induce a dedurre che la madre volesse uccidere e che il suo sia stato un gesto premeditato.”

Ricordiamo che, secondo l’autopsia effettuata dall’Ospedale Cannizzaro di Catania, la bambina è stata uccisa con 11 coltellate: “I colpi – informa una nota della Procura – sono compatibili con un coltello da cucina, che non è stato ancora trovato. Uno solo dei quali è stato letale, perché ha reciso i vasi dell’arteria succlavia. Ma la morte della bambina non è stata immediata”.

Sempre secondo l’autopsia, sembra che “La morte della bambina sarebbe avvenuta dopo più di un’ora dal pasto che la bimba aveva consumato a scuola intorno alle 13”. Ma qui di seguito, la ricostruzione dei fatti (che combacia con quella fatta ai carabinieri da Martina Patti), raccontata dalla gip:

“Perché uccidere un figlio in tenera età e, quindi indifeso, oltre a integrare un gravissimo delitto, è un comportamento innaturale, ripugnante, eticamente immorale, riprovevole e disprezzabile, per nulla accettabile in alcun contesto… indice di un istinto criminale spiccato e di elevato grado di pericolosità”

Inoltre, Martina ad oggi non ha manifestato alcun segno di pentimento, inscenando tutto con estrema lucidità: “…non ha manifestato segni di ravvedimento e pentimento. Tutti elementi che denotano una particolare spregiudicatezza, insensibilità, assoluta mancanza di resipiscenza”. La gip la definisce “lucida e calcolatrice” che, se non arrestata, “potrebbe darsi alla fuga”.

Non c’è, quindi, nessun rischio che possa suicidarsi in preda a qualche tormento interiore.

La dinamica dei fatti

Una mamma assassina che ha tradito la fiducia di una povera creatura. Quel 13 giugno, Martina tornava dalla facoltà di Scienze Infermieristiche ed indossava un corpetto e una gonna bianca e azzurra.

Dopodiché, alle ore 13 decide di andare a prendere la figlia all’asilo, la porta a casa e le consente di mangiare, addirittura, un budino al cioccolato e di guardare i cartoni sul suo cellulare.

Ma quelli saranno gli ultimi momenti spensierati di Elena, perché poi la mamma decide di farla salire in auto, portando con sé un coltello, una pala, una zappa e cinque sacchi della spazzatura. Dunque, si ferma a 600 metri da casa, in un terreno dove aveva già scavato la fossa, per compiere l’immondo gesto.

Martina si trova la gonna sporca di terra nera dell’Etna e di sangue. Decide di tornare a casa e di fare una doccia. Proprio in queste ore, infatti, nella casa di Martina sono state trovate macchie di sangue. In quelle ore decide di cambiare i suoi vestiti sporchi di sangue con altri puliti per incominciare a inscenare il rapimento.

Ai carabinieri, alle ore 16, racconta di alcuni uomini incappucciati e armati incontrati lungo la strada di casa, che le avevano gridato: “A te non facciamo niente, ma la bambina la ammazziamo”.

L’alibi perfetto, poi cade

La messinscena del rapimento in un primo momento convince le autorità, perché veniva rafforzata dalla storia delle minacce ricevute dall’ex marito. L’alibi perfetto è stato ulteriormente rafforzato dall’accusa di violenza fatta da Martina nei confronti dell’ex marito. Un castello di bugie destinato a crollare.

Il rapporto tra i due era burrascoso e la bambina, come confermato anche dall’audizione della versione dell’ex, Elena veniva utilizzata come strumento per inviare delle ripicche reciproche:

“Giorni fa Martina mi ha detto che Elena era arrabbiata con me perché la mamma le aveva fatto vedere una mia foto insieme alla mia compagna. Forse ho sbagliato, ma pure io ho fatto vedere a Elena le foto di sua madre con il suo compagno… credo che Martina provi ancora qualcosa per me”

Martina non voleva bene la bambina, anzi, era gelosa di lei e del fatto che cominciava a provare dell’affetto per la compagna del padre. A pagare le conseguenze di un rapporto malato, alla fine, è stata la povera Elena, uccisa a sangue freddo dalla madre “con 11 colpi, di cui uno solo letale”.

Alla fine di tutto ciò la domanda che ci poniamo tutti è a cosa è servito tutto ciò? Le minacce, i litigi, l’uccisione della bambina? Cosa sperava di ottenere Martina con l’omicidio della figlia? Questo non lo sappiamo, ancora.

L’unica cosa che sappiamo è che Elena ormai non c’è più. I funerali della bambina si svolgeranno domani nel Duomo di Catania.

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