Petrolio: Cina e India ci sguazzano! E le sorti del dollaro?

La tarantella dei nuovi assetti geopolitici vede Cina e Arabia Saudita in un fiorente commercio a suon di renminbi, mentre Putin si reca in visita a Nuova Delhi da Narendra Modi. Il loro sodalizio si fonda, oltre che su un'affinità ideologica, anche sulla possibilità di scambiarsi il greggio con rubli e rupie. Il dollaro inizia già a risentire di questi inediti accordi. L'analisi.

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Il dollaro è pronto a essere detronizzato?

"Il renminbi della Cina, senza destare troppo scalpore, sta spodestando il dollaro statunitense, con buona pace degli USA: fate largo al petroyuan."

scrive ilsole24.com

La Repubblica  Popolare Cinese si sta rivelando molto abile nel cavalcare l'onda d'urto generata dal conflitto ucraino e pare che i negoziati con l'Arabia Saudita sul fronte petrolifero stiano portando ottimi frutti.

Questo va tutto a discapito del dollaro, che sta perdendo la sua egemonia come valuta d'elezione per l'acquisto del sempre più prezioso greggio nei commerci globali.

Il dissesto internazionale causato dalle sanzioni alla Russia sta aprendo scenari inaspettati.

Tutti i paesi si stanno organizzando per far fronte ai rincari, mentre la Russia volge lo sguardo verso l'India. In tutto questo sparigliare le carte, non mancano tendenze apparentemente contraddittorie:

"Perito un despota, ne sale al trono uno nuovo. Boris Johnson deve aver certamente formulato questo pensiero nel momento in cui si è recato in quel di Riad a contrattare i prezzi dell'oro nero in nome della Gran Bretagna."

questo scrive con perspicacia il collega Lorenzo Bagnato su trend-online.com offrendoci anche uno spunto di tipo etico.

Da un lato il Primo Ministro inglese si indignava e invocava la forca per Putin, battendo i piedi per processarlo con l'accusa di crimini di guerra verso la popolazione ucraina, dall'altro spingeva i suoi negoziati in una nazione che poc'anzi, con gran disinvoltura, aveva fucilato la bellezza di ottantuno detenuti. 

Bontà sua, sappiamo che le questioni economiche esulano spesso da quelle morali.

Il sodalizio tra Riad e Pechino dunque non è il solo che scuote l'orizzonte, ma è attualmente il più interessante: sarebbe la stretta di mano tra il maggior produttore e il più rilevante tra gli importatori.

Oltre che il più generoso: secondo quanto afferma un diplomatico saudita, la Cina sta incentivando le operazioni e la sua controparte senza badare a spese.

Comprensibile la reazione scocciata statunitense: gli analisti economici di matrice USA reputano improbabile il cambio di valuta verso lo yuan, considerato instabile.

come riportato da agi.it

Inoltre ci tengono particolarmente a riportare sulla superficie della memoria collettiva di come andò a finire quella volta che i sauditi avevano già tentato la strada di Pechino dopo aver avuto forti dissapori con Washington. 

Ricordiamo a tal proposito cosa accadeva nell'ormai lontano 2002, sotto il governo di George W Bush, quando nella primavera dello stesso anno si vociferava della probabile invasione statunitense dell'Iraq e della Seconda Guerra del Golfo che ha visto il progressivo annientamento di Saddam Hussein.

Tornare a quell'epoca ci torna utile per provare a ipotizzare degli scenari possibili, data la ciclicità storica che alla luce dei fatti correnti non si può negare.

Come si comporta l'economia durante un conflitto che coinvolge più nazioni?

In che modo vengono delineati commerci e negoziati secondo inediti assetti?

La ciclicità della storia

Nel 2002, infastiditi per l'accanimento mediatico e per il vertiginoso incremento delle tensioni tra i due Paesi, i petrolieri sauditi si ritirarono alla chetichella dai mercati statunitensi verso quelli d'Europa.

La diaspora delle risorse finanziare saudite, oltre a indebolire i dollaro, contribuì notevolmente alla destabilizzazione degli scenari geopolitici.

Per lungo tempo l'incesto commerciale tra gli USA, sedicenti promotori della democrazia nel mondo, e il feudalesimo spinto della dinastia di Saud, hanno mantenuto in equilibrio sui piatti della bilancia la finanza internazionali e gli assetti relativi al discorso prettamente geopolitico.

In seguito all'11 settembre e agli attacchi terroristici di matrice islamica il sodalizio si frantumò.

La maggior parte dei responsabili dell'attentato erano riconducibili a Riad.

A rendere le relazioni insanabili ci si mise anche il processo giudiziario che vide come suoi vincitori i parenti delle vittime dell'attentato, che riuscirono così a riscuotere svariati milioni di dollari presso i principi sauditi con la pesante accusa di aver agevolato Al Qaeda.

Il governo statunitense non ci pensò due volte a congelare i conti sauditi, presunti complici e finanziatori dei fondamentalisti islamici, mentre la stampa di tutto il mondo metteva alla gogna l'autocrazia del regime di Riad.

E non è tutto: la gran parte degli statunitensi aveva accolto con un senso di liberazione l'interruzione dei negoziati tra Washington e Riad.

Effettivamente questo risvolto era stato perfettamente previsto da Osama Bin Laden, il quale auspicava chiaramente la scissione tra USA e Islam, in modo da cacciare le invadenti truppe americane dai suoi territori, così come le loro multinazionali.

Qualcosa di quanto narrato fino ad ora vi suona familiare?

Abbiamo l'autocrate. Abbiamo il congelamento dei conti correnti degli oligarchi e la confisca dei loro beni di lusso. I media contro. 

Abbiamo la solita, proverbiale, arrogante ingerenza USA nei Paesi dove affonda le grinfie e abbiamo personaggi che non digeriscono affatto questa ingerenza.

Abbiamo un regime dittatoriale e poco in sintonia con la concezione dei diritti umani promossa in Occidente.

Insomma, bisogna essere immemori per non notare qualche similitudine.

E la Cina, bella come il sole, che ora come allora tenta il colpaccio sul greggio.

Intanto la Russia trova la sua alleata nell'India

L'India è da sempre neutrale ed estranea a certe dinamiche, ma attualmente si sta mettendo in gioco in modo che la banca Centrale della federazione Russa possa continuare ad avere uno spessore finanziario internazionale, aiutandola di fatto ad aggirare le sanzioni.

Leggiamo su linkiesta.it

Lo zar ha un terrore atavico del Covid 19, cosa che non gli ha permesso spesso di allontanarsi dalle sue inquiete stanze e lo ha fatto sprofondare ulteriormente nella solitudine, causata anche dal fatto che ormai non ripone più molta fiducia neanche nei suoi fedelissimi vassalli storici. 

Ciononostante nel 2021 si è spinto fuori dai suoi confini per raggiungere la capitale indiana per l'ultimo di una copiosa serie di incontri con il primo ministro Narendra Modi.

Quest'ultimo non può permettere in alcun modo che la Russia diventi dipendente da Pechino, conseguenza prevedibile delle sanzioni e della completa chiusura sul fronte occidentale.

Pechino che, come abbiamo già avuto modo di vedere, è stata accusato dalla stampa statunitense non solo di prestare il fianco alla Russia per raggirare i provvedimenti punitivi che stanno man mano prosciugando le banche della Federazione.

La Cina, cosa ancora più grave, è stata tacciata di aver munito Mosca di armi belliche per sostenerla nell'invasione della terra ucraina.

Modi, al contrario della maggioranza, non si è gran che esposta a favore dell'Ucraina ed anzi, ha iniziato da subito a comprendere come instaurare negoziati vantaggiosi con il Cremlino inginocchiato e penalizzato.

L'India per il momento scivola indenne sulla via della neutralità, per quanto siano grevi le minacce statunitensi verso ogni potenziale alleanza con Putin e fumosi i rapporti con Pechino.

Siamo di fronte a un inaspettato prodotto della guerra: il sodalizio tra l'India e la Russia.

Le coordinate della sinergia tra i due leader sono molteplici: dal fervore nazionalista al mito del Superuomo nietzschiano, non sorprende che i due si trovino a proprio agio tra loro.

L'indipendentismo dell'India è contrassegnato da una connaturata instabilità, che però affonda le radici nell'autoritarismo e nel tradizionalismo, tendenze nelle quali la questione dell'etnia diventa preponderante.

Putin e Modi si uniscono anzitutto sul fronte della difesa bellica, collaborazione che trova i suoi prodromi nel secolo scorso: Mosca è stata la prima e principale dispensatrice di armi per Nuova Delhi, detenendo più della metà in percentuale sulla compravendita del settore.

Da sottolineare come i due siano stati previdenti nel preservare i propri commerci: una quantita sconsiderata di armamenti di ogni foggia e funzione erano stati prenotati furbescamente da Modi prima che scattassero le sanzioni, evitando così, con eleganza orientale, ogni rappresaglia da Washington DC.

Perchè il dollaro passerà dei brutti momenti

Torniamo a capo del discorso: la valuta statunitense rischia di venire scalzata su più fronti.

Come Riad e Pechino se la cantano e se la suonano sguazzando nel petrolio pagato con valuta cinese, allo stesso modo, e sullo stesso modello, Putin e Modi sarebbero nelle condizioni di commerciare il greggio russo, favorendo il pagamento reciproco in rubli e rupie.

Insomma, parrebbe un vero boicottaggio al boicottaggio europeo: e come Xi Jimping viene definito munifico nei confronti dell'Arabia Saudita, possiamo pensare che Putin sarà lieto di cedere il suo petrolio all'india a un prezzo più che conveniente.

Modi ha comunque tentato di mantenere una facciata di neutralità interpellando contestualmente anche l'Ucraina sulla questione rifugiati: ha offerto accoglienza a quindicimila cittadini in fuga dalle granate su Kiev, Odessa, Mariupol, Kharkiv.

Del fatto che gli USA si lascino trascinare dall'astio dovrebbe importare qualcosa a Modi, dal momento che gli states sono acquirenti tradizionali e di lunga data dei prodotti indiani, riferendosi alle categorie merceologiche più svariate.

Quello che si stenta a capire in questo frangente, infatti, è il motivo per cui l'India si sia in realtà schierata in modo netto e palese, a dispetto delle iniziative umanitarie che mette in atto per bilanciare le cose con Kiev.

Le ipotesi immediatamente individuabili sono due: da un lato non vuole permettere alla Cina di essere l'unico interlocutore di Mosca, perchè ciò significherebbe dargli il coltello dalla parte del manico su due fronti.

Sia sul fronte prettamente geografico, sia su quello economico, visto che Pechino potrebbe sottomettere la Federazione come unico acquirente di risorse energetiche.

Di certo possiamo intuire un destino infelice per il dollaro, che in questa tarantella di interessi e negoziati più o meno sommersi, non ne esce per nulla vincitore.