Scuola e Abbigliamento: l’importanza della pancia scoperta

Continuano le polemiche l'abbigliamento che gli studenti dovrebbero indossare all’interno dei vari istituti, ma è più importante la scuola o il dress code?

Continuano le polemiche per il tipo di abbigliamento che i giovani studenti dovrebbero indossare all’interno degli istituti superiori. In particolare, si parla ancora delle proteste del liceo pedagogico di Brunico, a Bolzano. 

A seguito di alcuni episodi di “pancia scoperta“, la preside dell’istituto ha deciso di scrivere una lettera alle famiglie degli alunni in cui richiedeva:

“un abbigliamento appropriato per chi entra a scuola, senza magliette che lascino la pancia completamente nuda”.

Inutile dire che, sull’onda delle minigonne del liceo Righi di Roma, tutti gli studenti si sono presentati in classe, nelle giornate seguenti, con delle t-shirt molto corte.

La dirigente dell’istituto di Bolzano, Isolde Maria Künig, ha poi parlato al Corriere dell’Alto Adige per chiarire la questione:

“Ci sono state molte lamentele per la leggerezza degli abiti di alcuni studenti con la salute dei ragazzi come primaria preoccupazione. È rischioso, per esempio, accettare che si possa imporre una sorta di ideale di pancia piatta che potrebbe portare a diete pericolose con l’obiettivo di raggiungerlo.

Come sempre, però, tutto fa polemica e la preside si è dovuta “spiegare meglio” per il tono della lettera, che è stata presa in considerazione con un significato completamente opposto dalle intenzioni iniziali. Infine, la dirigente ha chiarito che, forse, sulla questione dell’abbigliamento a scuola e su eventuali rischi, avrebbe dovuto interagire direttamente con gli studenti

Inutile dire che, pur nella piena ragione, la preside ha dovuto porgere le sue scuse per l’incomprensione, chiedendo agli alunni di elaborare, insieme ai professori, quello che potrebbe essere un dress code condiviso a livello scolastico. 

Il codice di abbigliamento, a cui si fa spesso riferimento con l’equivalente termine inglese dress code è un insieme di regole scritte, o il più delle volte tacite, relative all’abbigliamento

Scuola e Abbigliamento, il caso del liceo Righi

Come dicevamo poc’anzi, le polemiche non riguardano un unico liceo o un istituto, ma sono diffuse, ormai, da nord a sud della Penisola dove, al posto di manifestare per ricevere un’istruzione adeguata si manifesta per il diritto di indossare capi di abbigliamento inadeguati al luogo e al contesto in cui ci si trova

La scuola, infatti, è un luogo di apprendimento, dove i giovani affondano le radici per il loro futuro, come individui, ma anche come professionisti. Non deve essere, dunque, presa come una passerella. 

Con questo non si vuole affermare che i giovani studenti non debbano avere la possibilità di vestirsi come meglio credono, anzi, devono farlo, ma non negli istituti scolastici. 

Ovviamente, però, nel 2022 la capacità di comunicare è tutto. Tutto ruota attorno alle parole e a quel continuo politically correct che deve essere rispettato. Proprio per questo, la frase della docente del liceo Righi alla sua alunna “Ma che stai sulla Salaria?” ha indignato i più. 

Senza alcun tipo di dubbio, la battuta dell’insegnate sull’abbigliamento della giovane ragazza con la pancia scoperta (anche in questo caso) era, prima di tutto triste, oltre che fuori luogo

La professoressa, però, quasi sicuramente voleva far passare un altro messaggio: “quella maglietta con la pancia scoperta non è idonea al luogo e al contesto in cui ti trovi“.

Scuola, abbigliamento non consono al contesto scolastico, ma interviene l’associazione GEA

Sull’accaduto del liceo di Roma si è mobilitata addirittura la presidente dell’associazione antiviolenza Gea, Christine Clignon, la quale avrebbe dichiarato:

“Mi chiedo davvero chi possa definire un abbigliamento “adeguato”. Quali norme possano descrivere in modo oggettivo questa condizione? Gli standard culturali sono molto discutibili perché spesso imposti dagli uomini in carica in un preciso luogo. Le norme igieniche? In sauna basta un asciugamano. I gradi esterni? Spesso gli adolescenti hanno vampate di calore che noi ignoriamo.”

La presidente ha poi continuato il suo discorso affermando che, dopo aver parlato della questione anche con sua figlia, è arrivata alla conclusione che ogni soggetto può scegliere in maniera autonoma cosa indossare e cosa considerare appropriato per i differenti luoghi, oltre che come si sente a suo agio. 

Christine Clignon ha poi dichiarato di essere a conoscenza di alcuni ambienti privati che impongono un abbigliamento da seguire, anche se secondo lei, ognuno è libero di decidere se appoggiare queste “linee guida” del vestiario, oppure no.

“Nei luoghi pubblici, invece, ciascuno dovrebbe avere la possibilità di esprimersi liberamente anche se volesse indossare la tuta da sci in sauna.”

Insomma, sulla questione dell’abbigliamento ci sono molti pareri discordanti. Se, da un lato, alcuni condividono l’idea che negli istituti scolastici, nelle Università e negli ambienti di lavoro, si dovrebbe seguire quel famoso “dress code”, il codice di abbigliamento condiviso tenendo conto del luogo in cui ci si trova, altri credono che questo sia del tutto fuori luogo. 

La Scuola può richiedere agli studenti di rispettare un certo tipo di abbigliamento?

Ma la domanda che ci poniamo, a questo punto, è: la scuola può imporre un codice di abbigliamento da seguire ai propri studenti? 

La risposta è affermativa, poiché, di fatto, non c’è nulla che vieti ad ogni istituto di stabilire ciò che è ritenuto consono o me no all’interno delle proprie mura. 

Al giorno d’oggi, infatti, non è presente alcuna legge in cui si parli di eventuali regole da seguire per l’abbigliamento all’interno di un contesto scolastico, sia per quanto concerne gli studenti, che per gli insegnanti.

Proprio per questo, ogni istituto nell’ambito della propria autonomia didattica riconosciuta sul territorio nazionale ha il diritto di stabilire, mediante un regolamento scritto, il dress-code, o codice di abbigliamento, dei propri studenti.

Per farla breve, le scuole possono decidere in maniera autonoma se imporre un determinato codice di abbigliamento o meno, fino anche a optare per la scelta di grembiuli o divise obbligatorie, per far apparire gli studenti “tutti uguali”, senza che si creino distinzioni, che molto spesso sono differenze economiche tra i ragazzi.  

Forse, però, gli studenti, al posto di preoccuparsi e protestare per l’abbigliamento da indossare a scuola, dovrebbero guardare i dati Europei e allarmarsi (Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione per il 2021), poiché abbastanza preoccupanti.

Scuola e Abbigliamento? Forse qualcosa di più importante! I dati

Analizziamo, ora, i dati relativi ai traguardi che si è posta l’Unione Europea per il 2030. Andiamo a confrontare i dati relativi al presente e al passato del nostro Paese con gli altri Stati dell’Unione Europea.

Partiamo con l’analisi dei quindicenni che hanno scarsi risultati in letteratura, matematica, scienze. Il traguardo per il 2030 è che, in tutti e tre gli ambiti, gli studenti con scarsi risultati siano inferiori del 15%; i dati di oggi, però sono i seguenti:

Letteratura:

  • Italia 2010: 21%
  • Italia 2020: 23.3%
  • EU 2010: 19.7%
  • EU 2020: 22.5%

Matematica:

  • Italia 2010: 25%
  • Italia 2020: 23.8%
  • EU 2010: 22.7%
  • EU 2020: 22.9%

Scienze:

  • Italia 2010: 20.6%
  • Italia 2020: 25.9%
  • EU 2010: 17.8%
  • EU 2020: 22.3%

Come possiamo osservare, i risultati del nostro Paese sono più scarsi del resto dell’UE, in tutti e tre gli ambiti. In Italia, inoltre, nel 2010 l’abbandono precoce dell’istruzione della formazione dai 18 ai 24 anni era del 18.6%, mentre nel resto d’Europa del 13.8%

Fortunatamente il dato è diminuito di 5 punti percentuali per il nostro Paese, ed è arrivato a 13.1% nel 2020, ancora alto se confrontato con il resto dell’UE con 9.9%. Il traguardo del 2030 per l’unione europea è di un abbandono dell’istruzione formazione inferiore al 9%.

Ma non è finita qui, poiché anche i dati per il completamento dell’istruzione terziaria dai 25 ai 34 anni è abbastanza scarso nel nostro Paese. Nel 2010 terminavano gli studi il 20.8% degli studenti, percentuale che è salita al 28.9% nel 2020, ma che risulta essere ancora bassa rispetto ai dati del resto dell’Unione, che partiva con un buon 32.2% nel 2010 ed è arrivata al 40.5% nel 2020.

L’obiettivo UE per il 2025 è che più del 45% degli studenti dai 25 ai 34 anni portino a termine l’istruzione terziaria.

L’ultimo dato che dovrebbe fare imbestialire gli studenti – al posto delle regole di abbigliamento da seguire a scuola – riguarda gli investimenti del nostro Paese per l’istruzione. Leggiamo, infatti, che:

Gli investimenti dell’Italia nell’istruzione sono tra i più bassi dell’UE. Nel 2019 la spesa dell’Italia per l’istruzione è rimasta ben al di sotto della media UE, sia in percentuale del PIL (il 3,9 % contro il 4,7 % dell’UE) sia in percentuale della spesa pubblica totale (l’8 % contro il 10 % dell’UE). La spesa pubblica per l’istruzione terziaria (8 % della spesa totale) è la metà della media UE (16 %) e rimane la più bassa dell’UE.

È ancora così importante ribellarsi per la pancia scoperta a scuola o, forse, è più importante ribellarsi per questi dati?

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