Il lato oscuro di Shein e del fast fashion: un'inchiesta rivela i brand più dannosi

Tra i brand più dannosi per via del fast fashion vi è Shein, a cui se ne aggiungono altri grazie all'inchiesta condotta negli ultimi mesi: ecco il lato oscuro della moda.

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Negli ultimi tempi il mondo della moda ha subito diverse modifiche, dati i prezzi in aumento dei materiali che fanno di conseguenza impennare i costi necessari per l'acquisto dei capi.

Questo porta la maggior parte delle persone a optare per scelte a basso prezzo, molte volte riversandosi su brand disponibili online, tra cui spunta Shein, alimentando così il fast fashion.

Un'inchiesta svela però il lato oscuro di Shein e di altre marche che sono dannose per l'ecosistema: scopriamo insieme tutti i dettagli.

Shein: il lato oscuro del fast fashion

Non è la prima volta che questo brand finisce sotto i riflettori, in quanto qualche mese fa si era parlato del fatto che Shein sfruttasse i suoi lavoratori, a discapito di una produzione in breve tempo di tutti i capi richiesti dai clienti.

Moda rapida a basso costo: questa la ricetta alla base dell'azienda che in pochi anni ha conquistato il mondo, data la possibilità di acquistare i capi più disparati senza spendere cifre disparate.

Nato nel 2008 da un imprenditore cinese, Shein si diffonde per la vendita di gioielli online, per poi aprirsi anche alla moda, fatturando miliardi di dollari.

Fast Fashion: l'inchiesta svela i retroscena di Shein

Sono circa 6.000 i prodotti che giornalmente vengono aggiunti su Shein e, ad acquistarli, sono principalmente i giovani, i quali hanno spesso pochi soldi a disposizione da spendere per acquistare capi d'abbigliamento e non solo.

A contribuire alla sua diffusione partecipano anche alcuni dei più grandi influencer social, i quali promuovono la piattaforma, dieto ovviamente lauto consenso.

Dietro però questa velocità di produzione e il basso costo, si nascondono però dei segreti che necessitano di essere rivelati.

Il lato oscuro di Shein: l'inchiesta svela lo sfruttamento dei lavoratori

Già qualche mese vi è era stata una sfida social indotta contro il fast fashion di Shein, soprattutto quando sono stati rivelati i segreti che si nascondono dietro questa impresa.

I lavoratori sono infatti costretti a lavorare 17 ore al giorno, con un giorno libero al mese e in condizioni sanitarie abbastanza discutibili.

A questo si aggiunge la misera paga che intascano, pari a 4 centesimi al capo, e l'impatto ambientale, dato che la produzione di una T-shirt richiede in media 2.7000 litri d'acqua.

Il processo di lavorazione dei capi, inoltre, richiede fertilizzanti chimici e diserbanti che vengono assorbiti dal terreno, inquinando inevitabilmente le falde.

Shein però non è l'unico brand che contribuisce allo sfruttamento e all'inquinamento del pianeta: scopriamo cosa ha rivelato l'inchiesta riguardo nomi molto conosciuti nella moda.

I brand più dannosi: l'inchiesta rivela verità inaspettate

Shein non è l'unico a essere messo sotto torchio dall'inchiesta, in quanto anche altri brand vengono accusati di sfruttamento e inquinamento ambientale.

Tra questi rientrano Zara, H&M, Bershka e Pull&Bear, forse anche più noti di Shein, i quali generano enorme quantità di rifiuti tessili.

Più volte negli anni sono state denunciate le pessime condizioni di lavoro e i bassi salari intascati dai dipendenti, i quali sono costretti a lavorare ore e ore per guadagnare poco denaro.

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