Cedolare secca anche per i negozi, cosa cambia per gli esercenti e quanto si risparmia

La proposta di estendere la cedolare secca ai negozi può essere per molti un gran risparmio, o una spesa extra. Ecco cosa cambia per gli esercenti.

È ancora una proposta, ma fa ben sperare: introdurre la cedolare secca anche per i negozi, addirittura abbassando l’aliquota IRPEF di diversi punti percentuali.

Già a marzo si parlava di introdurre questo sconto fiscale per gli esercenti, lo stesso viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, nel corso dell’audizione sulla riforma fiscale nelle commissioni Finanze congiunte di Camera e Senato a marzo 2023, aveva proposto di introdurla definitivamente per gli esercenti.

“Definitivamente” perché anche oggi sarebbe possibile, anche se l’Agenzia delle Entrate ha messo dei paletti non insignificanti per aderire alla cedolare secca come immobile commerciale.

Cedolare secca anche per i negozi: cosa cambia per gli esercenti

Ad oggi sarebbe già possibile aderire alla cedolare secca in qualità di proprietario di un immobile commerciale.

O meglio, per un immobile avente come categoria catastale la C/1, prevista quindi per negozi e botteghe, compresi i ristoranti, le trattorie, i bar e tanto altro. L’Agenzia delle Entrate permette l’utilizzo della cedolare solo se l’immobile detiene una superficie non superiore a 600 metri quadrati, escluse le pertinenze.

Altrimenti, come già previsto, non potrà essere applicata per immobili nell’esercizio di attività di impresa o di arti e professioni.

Perché la cedolare è indirizzata per lo più alle persone fisiche titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento di immobili che appartengono alle categorie catastali da A1 a A11 (esclusa la A10 per gli uffici).

Nella proposta governativa invece si tratterebbe non solo di introdurla anche per i negozi, ma addirittura di abbassarla dall’attuale 21% al 15%, ma solo per gli immobili commerciali siti in Comuni con meno di 5mila abitanti.

Quali immobili commerciali possono usufruire della cedolare secca

Come già anticipato, ad oggi solo gli immobili C1 con meno di 600 metri quadrati di superficie possono godere della cedolare secca.

Se dovesse passare la proposta governativa, la platea beneficiaria si estenderebbe notevolmente. Ad oggi, secondo i dati 2019 del Ministero delle Finanze, ci sono 1.979.320 immobili C1, buona parte rientranti nei requisiti della cedolare.

Con l’estensione, si potrebbero aggiungere altri milioni di edifici. Anche se l’obiettivo del governo è quello di contrastare lo spopolamento dei borghi, ad essere interessati dalla misura sarebbero moltissimi altri immobili non residenziali, quali:

  • uffici (categoria A/10),

  • laboratori (C/3),

  • fabbricati del gruppo D, come ad esempio gli alberghi (D/2).

Sempre secondo il report del MEF 2019, sarebbero all’incirca 3,2 milioni gli immobili non residenziali che potrebbero beneficiarne, ovviamente nell’ipotesi che tutti questi rientrino nei requisiti previsti dalla norma.

Allo stato attuale la cedolare secca non sarà applicata in modalità automatica. Serve selezionarla al momento della registrazione del contratto in essere attraverso il modello RLI.

Se la proposta non dovesse andare in porto, come previsto dal comma 59 dell’art.1 della Legge n 145/2018, l’opzione rimarrebbe in vigore solo per i contratti di locazione di tipo strumentale stipulati nel 2019.

Quanto si risparmia con la cedolare secca per i negozi

Salvo il caso dei negozi che possono già beneficiare della cedolare secca oggi, per un esercente l’introduzione di una flat tax al 15% per l’affitto del proprio immobile potrebbe essere molto conveniente.

Ovviamente dovrà trovarsi in un Comune poco abitato, e probabilmente ci saranno requisiti come quelli della cedolare secca per gli affitti.

Il punto è che come alternativa ci sarebbe solo la tassazione ordinaria IRPEF, secondo le aliquote oggi disponibili (a meno che non passi la nuova riforma a tre aliquote IRPEF).

Già nel 2019 Solo Affitti aveva stimato per un negozio avente come reddito da locazione 30.000 euro un risparmio che andava dai 1.800 euro se locato a Roma fino a 2.800 euro se a Milano. E questo con la tassazione al 21%, prevista nella Manovra di Bilancio.

Con l’abbassamento al 15%, si aggiungerebbe un 6% di risparmio, anche se questo significherebbe dover perdere ben tre vantaggi propri della tassazione ordinaria:

  • adeguamento all’inflazione,

  • accesso alle detrazioni d’imposta,

  • computazione ridotta del reddito da locazione ai fini ISEE.

Alla maniera delle “perdite” previste per chi passa alla flat tax come Partita IVA, il sistema non permette di avere accesso ai benefici previsti dalla tassazione ordinaria, più onerosa e per questo bisognosa di riduzioni e deduzioni per chi vi aderisce.

Ripetiamo però che la proposta del Governo deve passare comunque tutto l’iter di valutazione istituzionale, anche perché come flat tax significa doversi privare di entrate erariali altrimenti previste con la tassazione ordinaria.

Pertanto, se il negoziante può guadagnarci o meno dalla propria situazione, è assodato che lo Stato probabilmente ci perderà nel lungo periodo.

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