Partiamo dalle cose positive. Utili aziendali forti, tassi d’interesse ancora bassi, economia in crescita e inflazione moderata sono salutari per i mercati. Negli Stati Uniti, nel mese di febbraio sono stati creati 313.000 nuovi posti di lavoro, ben oltre le attese di 205.000, la disoccupazione è al 4,1%, sui minimi storici, l’inflazione al 2,2% (1,8% al netto di alimentari ed energia), in linea con l’obiettivo della Federal Reserve e il prodotto interno lordo viaggia al passo del 2,5% all’anno. Se il nuovo governatore della Fed Jerome Powell annunciasse un rialzo dei tassi d’interesse mercoledì 21 marzo, cosa già scontata dal mercato, li porterebbe dall’attuale 1,25%-1,50% all’1,50%-1,75%: un livello ancora molto basso, se paragonato al 4%-5%, normali prima della crisi del 2008.
Anche in Europa le cose stanno migliorando. Nonostante la piaga della disoccupazione all’8.6% (11% in Italia), il tasso di crescita dell’economia è stato del 2.6%-2.7% nel quarto trimestre 2017 e dovrebbe attestarsi, secondo la BCE, al 2.4% nel 2018. A febbraio, la crescita del settore manifatturiero dell’eurozona resta elevata (PMI 58.6), in espansione in tutte le nazioni.
L’inflazione europea sottotono, all’1.1% in febbraio (dall’1.3% in gennaio), giustifica il permanere dei tassi a zero deciso dalla BCE nella riunione dell’8 marzo e la continuazione del programma di stimoli monetari, 30 miliardi al mese fino al settembre 2018 o oltre, se necessario. Lo scenario in miglioramento ha portato la BCE a omettere dal testo sulla decisione sui tassi la possibilità di un aumento degli stimoli monetari, possibilità che finora aveva sempre considerato. Ciò lascia intravedere la prossima fine del Quantitative Easing anche in Europa.