Smart working: buone novità in vista dopo il 31 Marzo!

Smart working: cambiamenti in vista dopo il 31 Marzo! La proroga dello stato di emergenza ha consentito sia nel settore pubblico che nel settore privato, la possibilità di ricorrere allo smart working attraverso la modalità di comunicazione semplificata. A partire dal 31 marzo, in assenza di ulteriori condizioni di eccezionalità, si stabilisce che è solo la presenza di un accordo individuale, la condizione fondamentale affinché un lavoratore possa essere messo in smart working. Leggi l'articolo e resta aggiornato!

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Il 31 marzo 2022 si sta avvicinando e le voci che con l’arrivo di questa data lo stato di emergenza potrebbe non essere prorogato, prendono sempre più corpo.

La fine dello stato di emergenza comporterebbe dunque, una profonda revisione di determinati stato di fatto che ad oggi sono diventati piuttosto automatici da accettare.

Si pensi ad esempio ai poteri straordinari di cui il Governo o la Protezione civile hanno goduto in questo periodo, nonché tutta la tematica relativa allo smart working in ambito lavorativo e la possibilità di ricorrere a questa modalità in modo sostanzioso, come via alternativa al lavoro in presenza.

Tutto sembrerebbe essere destinato ad essere cambiato.

Almeno, con riferimento al lavoro agile, tutto sembrerebbe essere destinato a cambiare, rispetto al meccanismo che fino ad oggi abbiamo visto operare.

Ricordiamo infatti che la proroga dello stato di emergenza aveva consentito sia nel settore pubblico che nel settore privato, la possibilità di ricorrere allo smart working attraverso la modalità di comunicazione semplificata.

Questo implicava la possibilità per la PA di mettere in smart working i lavoratori anche in assenza di specifici accordi o contratti collettivi che stabilissero in tal senso, e per il privato, la possibilità di ricorrere al lavoro agile per i lavoratori senza la preventiva firma di un accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore stesso.

La legge impone che in assenza di condizioni di eccezionalità, sia invece la presenza di un accordo individuale, la condizione fondamentale affinché un lavoratore possa essere messo in smart working, e a questa situazione di fatto, si vuole effettivamente ritornare una volta che finirà lo stato d’emergenza.

Si vogliono quindi far decadere gli effetti del decreto del 1° marzo del 2022, che nel momento in cui dichiarava lo stato di emergenza all’interno del nostro paese, dichiarava contestualmente la possibilità di collocare in smart working i lavoratori con comunicazione semplificata.

Questo per grandi linee quello che potrebbe succedere all’indomani del 31 marzo, se lo stato di emergenza non dovesse essere ulteriormente prorogato, però prima di entrare maggiormente nella descrizione dei dettagli, vediamo che cosa è lo smart working e come questa modalità lavorativa sia stata utilizzata nel nostro paese durante questo periodo di crisi pandemica.

Smart working: che cosa è

La disciplina dello smart working in Italia si ha per la prima volta con il decreto legislativo del 10 maggio del 2017 che lo definì espressamente come "l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi di lavoro subordinato".

Di fatto lo smart working viene pensato come una nuova modalità di lavoro smart, intelligente appunto, che consentisse a tutti i lavoratori, di mantenere il giusto equilibrio tra vita privata e lavorativa, senza che questo possa inciderà sulla produttiva del lavoro stesso.

La caratteristica di questa modalità di lavoro intelligente sta nel fatto che si ripensa al rapporto di lavoro liberato totalmente da vincoli spaziali e temporali, in cui si lavora, si riorganizza per obiettivi e progetti che di volta in volta, vengono concordati tra lavoratore e datore di lavoro.

È dunque una revisione profonda del concetto tradizionale del rapporto di lavorativo in cui sottoposta a profonda revisione sono sia l’organizzazione che i processi di leadership aziendali, puntando in maniera più decisa su un modello di tipo collaborativo tra gli individui.

Il decreto del 2017 si rivolgeva sia al settore pubblico che al settore privato ma l’accoglienza avuto dallo stesso, è stata decisamente differente.

Per chi fosse interessato un articolo tratto dal canale David Conti - YouTube, offre spunti interesanti sul tema.

Smart working: settore pubblico e privato dopo il decreto del 2017

In effetti, le reazioni sono state decisamente discordanti e si sono riscontrate tutte nei numeri registrati ad appena un anno dall’entrata in vigore del decreto stesso.

I dati infatti, riferivano che era soprattutto per effetto del decreto, se nel settore della PA erano stati adottati il 60% dei progetti di smart working. Solo il 23% delle PA pensava infatti prima del decreto, di far ricorso allo smart working e di queste poi, una sparuta percentuale del 17% lo aveva effettivamente fatto.

Di tutt’altro tenore invece la situazione nel settore privato dove i dati mettevano in evidenza che, ancor prima che il decreto entrasse effettivamente in vigore, ben l’82% delle grandi imprese e il 76% delle PMI, aveva fatto ricorso o pensavano di far ricorso allo smart working.

L’effetto del decreto come spinta ad una decisione positiva in tal senso, è stato stimato in una percentuale pari al 17%.

Pertanto alla luce della situazione già esistente nel settore privato, dopo un anno che il decreto del 2017 era entrato in vigore, ha avuto reazioni nettamente differenti nel settore privato.

In effetti una percentuale pari al 49% e una percentuale pari al 46% delle imprese, considerava il contributo del decreto all’adozione dello smart working nullo o addirittura negativo, mentre solo un esiguo 6% delle imprese, valutava positivamente l’impatto del decreto sullo smart working.

Nella PA una percentuale un po' più alta, pari al 27% considerava positivo l’impatto del decreto sul lavoro agile, mentre una percentuale del 30% e una del 43%, valutava tale impatto negativo o addirittura nullo.

Smart working e pandemia

È però con la pandemia che lo smart working in Italia conosce un periodo di rinnovato vigore.

In effetti questa modalità è stata adottata con un provvedimento d’urgenza attraverso il decreto del 23 febbraio del 2020. Per effetto di tale decreto infatti, si sospendevano le attività di tutte le imprese e si conveniva che coloro che avessero dovuto continuare a svolgere la propria attività lavorativa, avrebbero dovuta eseguirla da remoto.

Lo smart working si presentava dunque, come uno strumento per combattere la diffusione dei contagi nei momenti più acuti della crisi pandemica allo scopo di ridurre al minimo i contatti sociali.

In effetti nelle fasi peggiori della pandemia i dati rilevati dall’Osservatorio Smart Working, dicono che hanno fatto ricorso allo smart working ben il 97% delle grandi imprese e il 58% delle PMI, mentre nel settore pubblico, vi ha fatto ricorso il 94% della PA italiana.

In termini numerici queste percentuali si traducono in 6,58 milioni di lavoratori in modalità agile, corrispondenti a circa un terzo della forza lavoro complessiva del nostro paese, con un numero più che decuplicato rispetto ai casi del precedente 2019.

È abbastanza evidente che con il passare del tempo e con l’allentarsi delle restrizioni imposte, il numero dei lavoratori in smart working è progressivamente diminuito, ma questo calo non si può definire come il declino del lavoro agile.

Al contrario, sia nel settore pubblico che in quello privato, si sono poste in essere una serie di attività per fare in modo che lo smart working diventasse a tutti gli effetti una nuova modalità di lavoro non più sostitutiva, ma che potesse affiancare a pieno diritto, la modalità di lavoro di tipo tradizionale.

In questo senso quindi, si è sempre più delineato una modalità di lavoro di tipo ibrido che prevede l’alternanza di giorni di lavoro in presenza e di giorni di lavoro da remoto.

Smart Working: lo stato dell’arte e la proroga

E veniamo quindi a vedere che cosa sta accadendo ai giorni nostri. Il Consiglio dei ministri, lo scorso 14 dicembre, causa la crescita esponenziale dei casi Omicron e la necessità di tenere sotto controllo la diffusione del virus, ha prorogato lo stato di emergenza fino al prossimo 31 marzo 2022, e con esso la proroga dello smart working fino alla stessa data.

Non solo, in virtù dell’elevato numero dei contagi, ha esteso anche la modalità di comunicazione semplificata come via preferenziale, sia per il settore pubblico che per il privato, per poter collocare i lavoratori in smart working.

Attraverso questa modalità semplificata di comunicazione si è voluto dunque velocizzare la procedura per collocare in smart working i lavoratori, perché in questa eventualità ciò che effettivamente conta, è esclusivamente la volontà del datore di lavoro di attivare il lavoro da remoto per un determinato numero di lavoratori.

A tal fine, la procedura di comunicazione risulta valida semplicemente quando si sia manifestata la volontà del datore in tal senso non essendo necessario, in nessun caso, alcun consenso esplicito da parte del lavoratore stesso.

Quanto appena scritto comporta che la Pubblica Amministrazione possa decidere di attivare lo smart working per alcuni dei suoi lavoratori senza che ad esempio, questo sia stato espressamente stabilito da accordi e contratti collettivi.

Nel settore privato la procedura di comunicazione semplificata farà sì invece, che il datore di lavoro possa scegliere il lavoratore o i lavoratori da collocare in smart working senza che per questo lo stesso datore, sia obbligato a sottoscrivere con gli stessi un accordo scritto, come prevede la norma generale in condizioni di normalità.

Smart working: cosa succederà dopo il 31 marzo 2022

Ecco perché alla luce di quanto detto, tutti guardano con attenzione a quello che può accadere allo smart working, all’indomani del 31 marzo 2022 qualora lo stato di emergenza non dovesse essere prorogato.

Il sentiment generale è comune, si preannuncia il ritorno alle regole generali e al fatto che ci sia necessità di un preventivo accordo individuale che debba essere sottoscritto dalle parti.

In effetti la cessazione dello stato di emergenza decreterà anche la fine dello stato temporaneo che ha reso necessaria l’utilizzo della comunicazione semplificata, ragion per cui il Governo si sta attivando affinché si possa procedere al ritorno alla normalità prendendo anche e necessariamente in considerazione il “Protocollo Nazionale sul Lavoro Agile nel settore privato” che è stato sottoscritto lo scorso 7 dicembre tra Ministro del lavoro e parti sociali.

Il protocollo suddetto si basa su questa visione:

 “il lavoro agile, il cosiddetto Smart Working, è cresciuto molto durante la pandemia, ma al di là dell’emergenza sarà una modalità che caratterizzerà il lavoro in futuro “.

Sarà dunque a questo testo che bisognerà fare riferimento per definire le linee guida delle modalità di svolgimento dello smart working che saranno di indirizzo per la contrattazione collettiva sia a livello nazionale, aziendale che territoriale.

Nello specifico si rimanda poi alla contrattazione collettiva la definizione dei principi fondamentali per le modalità di attuazione dello smart working a livello dei singoli settori produttivi.

Smart working: regole generali post emergenza

Di fatto quindi, dopo la fine dello stato di emergenza lo smart working sarà destinato a cambiare almeno nella modalità con la quale lo abbiano conosciuto in questi ultimi mesi.

Il ritorno ad una condizione di non emergenza sanitaria farà sì dunque, che riprenderanno ad operare le vecchie regole previste dagli artt. 19 e 21 della Legge n. 81/2017 e dai contratti collettivi in virtù dei quali, per poter attivare una procedura di smart working, sarà sempre necessario un preventivo accordo individuale tra datore e lavoratore stesso.

Tuttavia bisogna dire cha ad oggi ravvisiamo uno scarto di operosità tra settore pubblico e privato, perché nel pubblico questa transizione è già in atto in quanto sono stati già stipulati dei contratti individuali per disciplinare lo smart working anche con uno stato di emergenza ancora in vigore.

Non la stessa cosa è accaduta nel settore privato, per cui si aspetta la fine di marzo affinché si possa vedere il ripristino delle regole generali.

Ad ogni modo in questi accordi non si ha la presenza di alcun obbligo riguardo la scelta del luogo o dell’orario di lavoro, così come non si ha la previsione di alcun straordinario.

Si potrà agire liberamente organizzandosi la giornata nel rispetto degli obiettivi aziendali, anche se poi contrattualmente, l’orario complessivo è quello che di fatto, risulta definito in via ufficiale all’interno dei contratti.

Scopo fondamentale dello smart working con o senza lo stato di emergenza, sarà sempre quello di arrivare ad una nuova modalità di lavoro che, conciliando in maniera più adeguata vita lavorativa e privata, possa incidere in modo più positivo sulla produttività dei lavoratori stessi.