La longue durée. Tendenze e controtendenze secolari

Nel mare, scrive Fernand Braudel nel 1949, il tempo scorre con tre velocità. In superficie, le onde creano increspature caotiche.

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Nel mare, scrive Fernand Braudel nel 1949, il tempo scorre con tre velocità. In superficie, le onde creano increspature caotiche. Sotto le onde si muovono, lente ma ancora percepibili, le correnti sottomarine. Alle profondità abissali tutto appare immobile, anche se in realtà anche lì, con tempi quasi geologici, il movimento avviene. Anche nella storia, alla superficie si succedono tumultuosi gli avvenimenti, sotto i quali si muovono più lentamente le strutture istituzionali e politiche. È però in profondità che troviamo le strutture storiche e sociali di lunga durata, come feudalesimo e capitalismo, che determinano in ultima istanza quello che accade sopra di loro. Elemento centrale e fecondo di tutta la scuola storiografica francese delle Annales, il concetto di lunga durata ha indotto negli anni gli antichisti ad allargare la loro giurisdizione al tardoantico, fino quasi a Carlo Magno, mentre un medievalista delle Annales come Jaques Le Goff ha potuto sostenere che il medioevo si prolunga fino alla rivoluzione industriale, vero inizio della modernità.

Anche nei mercati è entrato nell’uso sempre più frequente il concetto di secolare. A volte se ne abusa, come quando lo si cita per giustificare valutazioni astronomiche con decenni di crescita futura garantita. A volte si tratta invece di un utile tentativo di andare oltre il contingente e individuare grandi tendenze di fondo. L’invecchiamento della popolazione, l’utilizzo crescente della tecnologia, la globalizzazione, l’emergere della Cina sono tra i temi che in questi anni hanno fatto discutere e, soprattutto, spostato denaro.

La corsa a individuare trend secolari può facilitare carriere accademiche se siete uno studioso, lanciare carriere politiche se avete il timing giusto e produrre arricchimenti veloci se vi muovete bene nei mercati. L’inflazione di trend secolari che ne consegue viene però periodicamente deflazionata dalla realtà, che si incarica di selezionare le previsioni migliori e di abbandonare le più sfortunate. Regolarmente citata è la tesi di Francis Fukuyama sul 1989 come fine della storia e inizio di una nuova era di democrazia liberale globale e perpetua. Elaborata nel 1992, la tesi millenaria, più che secolare, di Fukuyama era già in pezzi nove anni dopo, con l’11 settembre, e suona alle nostre orecchie lontanissima e ingenua.

Il virus di Covid, perverso e inafferrabile, confonde le nostre certezze sui trend secolari cui ci eravamo affezionati, ci costringe a uscire dalla pigrizia mentale e a riconsiderare tutto. Come vedremo, la grandezza di questo virus, se vogliamo chiamarla così, è che non imprime una svolta radicale a tutte le vicende umane, come spesso si sente dire, e nemmeno si limita ad accelerare le tendenze preesistenti, come altri commentatori sostengono. Il virus è più sottile. Mette in moto alcune controtendenze forse secolari clamorose, ma al tempo stesso conferma e rafforza alcune tendenze che erano già avviate e in cui credevamo.

Facciamo un esempio. L’invecchiamento della popolazione è un fatto troppo strutturale per essere messo in discussione dal numero sproporzionato di vittime che il virus sta facendo nelle classi d’età più alte. L’invecchiamento, insomma, continuerà. Ma uno dei suoi corollari, la diffusione di centri per anziani (negli ultimi anni oggetto di interesse sulla borsa americana), appare destinato a un controtrend secolare non solo per la triste decimazione operata dalla falce del virus ma, soprattutto, per la sensazione di pericolosità che verrà a loro associata per qualche tempo.

Oppure pensiamo alle auto, ritenute avviate alla fase discendente della loro storia nell’ambito dei due megatrend (destinati a resistere) della lotta ai cambiamenti climatici e dell’allontanamento dei Millennials dai beni durevoli di proprietà. In realtà le auto potrebbero ora vivere una nuova stagione, grazie al virus, come alternativa di salute rispetto ai pericolosissimi trasporti di massa. E andando a quel sottoinsieme dell’auto che sono il car sharing e il car pooling, potremmo vederli sfidare il controtrend secolare lanciato dal virus contro la sharing economy, veicolo di infezione già nel nome, perché sarà comunque meno pericoloso viaggiare con altri tre sconosciuti in car pooling che con altri cento in un vagone della metropolitana.

Ma se l’auto ha ancora un futuro, come mostrano le autostrade di nuovo ingorgate che attraversano Pechino mentre la sua tentacolare metropolitana è ancora mezza vuota, ha un futuro anche il petrolio? Sicuramente. Il petrolio non è morto e avrà dal virus, oltre ai danni che vediamo oggi evidenti, qualche beneficio. Ci saranno per qualche tempo meno soldi per stimolare la green economy, che risulterà ancora più costosa se paragonata a un petrolio a basso prezzo. E presto uscirà di scena una parte rilevante dello shale oil americano che Russia e Arabia Saudita si sono unite per combattere. A un certo punto la domanda di greggio si risolleverà, mentre l’offerta calerà. Il prezzo non tornerà ai 60 dollari d’inizio anno e si fermerà probabilmente a metà strada tra i massimi e i minimi che abbiamo visto nel 2020, ma si uscirà da questa situazione insostenibile.

Detto questo, il tema secolare delle politiche volte a contrastare i cambiamenti climatici entrerà in una fase di ibernazione ma non scomparirà. Passata la tempesta, sarà anzi al centro della nuova fase di ricostruzione finanziata da investimenti pubblici, soprattutto in Europa. Si allenterà però per forza di cose la pressione regolatoria sulle imprese affinché decarbonizzino la produzione a loro spese.

Dicevamo sopra che il virus non si limita a creare dei controtrend e va anzi a rafforzare alcuni trend secolari. La tecnologia esce vincitrice dalla pandemia e dal mondo di individui solitari che si profila nelle nostre case e nei nostri uffici. Non deve stupire che il Nasdaq sia oggi sopra i livelli di inizio anno.

E la tecnologia va intesa in senso lato. Non c’è solo la televisione a pagamento del nostro bozzolo domestico. Ci sono, su scala ben più ampia e minacciosa, le spese per la difesa dall’esterno e quelle per la sorveglianza interna, oggi con fini sanitari e domani chissà. La difesa era già un settore in espansione in tutto il mondo prima della crisi e le tensioni tra Stati Uniti e Cina, oggi, sembrano continuare a crescere. I governi aumenteranno le spese per la cybersecurity e finanzieranno l’industria aerospaziale militare anche per mitigare l’effetto della crisi dell’aviazione civile. Quanto alla sorveglianza interna, qualcuno l’anno scorso era andato a vedere come mai il Pil dello Xinjiang, la regione turchesca e islamica della Cina, crescesse a ritmi superiori a quelli del resto del paese. Bene, tutta la crescita del Pil era dovuta a investimenti nella sorveglianza, nel riconoscimento facciale, nei droni e nelle infinite telecamere disseminate nella regione. Noi non arriveremo mai a quei livelli, ma anche una piccola frazione spesa in braccialetti elettronici da lockdown o app di monitoraggio finirà nel grande mare in espansione della tecnologia.

Per concludere con una nota più leggera, il virus pare invece mettere in discussione il lavoro da casa. Sembrava un trend secolare, umanista e molto futurista, perfettamente inserito nel megatrend dell’abbandono definitivo del fordismo, il modello di produzione tayloristico combinato con l’automazione che Henry Ford lanciò nel 1913 con la prima catena di montaggio. Nicholas Bloom, economista di Stanford, si era fatto un nome individuando nel lavoro da casa un trend secolare destinato ad aumentare la soddisfazione dei lavoratori e la loro produttività. Oggi Bloom sostiene però che l’esperimento Covid, aggiungendo al quadro futurista i bambini che urlano e a cui va pure insegnato qualcosa visto che non vanno più a scuola, toglie fascino e produttività al lavoro da casa, come già si stava intuendo da esperimenti precedenti l’epidemia.

Chi investe, nell’ambito delle verifiche di portafoglio da compiere in questa fase, potrà dividere gli investimenti in quattro aree. Nella prima metterà il trend secolare della tecnologia, che esce confermato ed è da rafforzare. Nella seconda i controtrend potenzialmente e tatticamente positivi, come l’auto e il petrolio, in cui mantenere un presidio molto limitato e di carattere speculativo purché si tratti di società patrimonialmente forti. Nel terzo i titoli della green economy temporaneamente frenati da Covid ma da mantenere strategicamente. Nel quarto i perdenti, da liquidare o da considerare più avanti quando la selezione naturale li avrà sfoltiti e fatti scendere ulteriormente di prezzo.

Tatticamente, molti nel mercato attendevano, nei giorni scorsi, se non un test dei minimi azionari, un consolidamento significativo del forte recupero di aprile. In realtà è comprensibile che il consolidamento sia al momento quasi impercettibile. Mancano pochi giorni alla fine del lockdown generalizzato e i mercati, sentendo aria di ripresa, sono riluttanti ad aprire fronti di ribasso. Il momento, per chi vorrà vendere, arriverà eventualmente a fine maggio. Lì si vedrà se il ritorno graduale alla normalità sarà stato prematuro e funestato dalla ripresa dell’epidemia o se sarà stato davvero l’inizio della fine dell’incubo.